Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 18 Giovedì calendario

Villa Borghese, l’atlante delle emozioni

Se il genius loci è l’anima di un luogo, e Villa Borghese l’anima di Roma, una sua mappa non può che basarsi – come suggeriva Walter Benjamin – su affetti ed emozioni. Fabrizio Bramerini, spinto da una sua personale passione, ha cominciato anni fa a raccogliere reperti letterari, ambientati nel parco più famoso della Capitale. Laureato in architettura, dal 1992 nel Servizio sismico nazionale, e poi nella Protezione civile, Bramerini si occupa per lavoro di mappe della pericolosità sismica, di classificazione del rischio, e ha grande dimestichezza con il mondo della statistica e della cartografia. Per questo, il suo Atlante letterario di Villa Borghese, con tabelle che classificano la ricorrenza di inquietudini, inseguimenti, avvenimenti amorosi o erotici, ricordano le carte dei geologi che attestano la pericolosità di un luogo, e quindi la possibilità che un edificio possa crollare all’improvviso.
DEFORMAZIONI
«Certo – dice l’autore – c’è tutta una serie di deformazioni che ritengo legate alla mia attività e formazione, e tuttavia non considero scandaloso che mi occupi anche di luoghi letterari». Il libro appena pubblicato su Villa Borghese è soltanto una prima parte del suo paziente lavoro di catalogazione e classificazione; e per i prossimi volumi «non ci sono, al momento, obiettivi temporali». 
Ci sarà un giorno una vera e propria mappa del rischio narrativo di Roma? Forse. Ma ciò che emerge, da questa prima esperienza – che deve molto a studi «più ampi» compiuti in precedenza da altri, come quelli di Franco Moretti alla Stanford University – è che Villa Borghese «ben rappresenta Roma nella sua complessità e poliedricità».
BACI APPASSIONATI
A esaminare i reperti scoperti da Bramerini, si scopre che in questo parco «si svolge veramente di tutto, dall’omicidio al bacio appassionato»; certi luoghi in particolare, come il Pincio, si prestano particolarmente per «fantasie e follie» e nessuno, come Alberto Moravia, ha citato tante volte (17 in totale) la Villa nei suoi romanzi. In questo parco la Daisy Miller di Henry James si nasconde a Winterbourne; e il Riccetto di Pasolini si allunga a pancia all’aria. Però, esiste una relazione tra uno specifico luogo e un’emozione? Secondo Bramerini «ci sono posti che hanno una sorta di vocazione, dove si svolgono effettivamente determinati tipi di scene»; anche se le pepite narrative sembrano trovarsi un po’ dappertutto.
LA STORIA
Di certo, la frequenza di ambientazioni letterarie nella Villa inizia all’indomani dell’unità d’Italia, e aumenta a partire da quando il parco viene venduto allo Stato italiano, poi ceduto al Comune di Roma e quindi aperto al pubblico, nel 1903. Il grande giardino creato sull’antico sito degli horti luculliani, e appartenuto dalla fine del Cinquecento ai Borghese, che ne avevano fatto uno scrigno di capolavori, diventa così un luogo di passeggio e di incontro, meta frequente degli stranieri impegnati nel Grand Tour.
MONTECRISTO
Curioso come lo stesso territorio possa ispirare emozioni così divergenti. Pochi ricordano la descrizione del Pincio ne Il conte di Montecristo, che «pareva un vasto anfiteatro di cui tutti i gradini fossero carichi di spettatori»; Alexandre Dumas qui ambienta un’esecuzione capitale, e mostra come la cosa più attraente, nella vita, sia «lo spettacolo della morte». A un altro grande autore francese, André Gide, quella stessa terrazza che si apriva su Piazza del Popolo pare invece «un palco eretto dalla mano dell’uomo riconoscente, per ammirare lo spettacolo più grandioso che un Dio d’amore potesse offrire alle sue creature» (I nutrimenti terrestri, 1897). Francis Scott Fitzgerald ambienta nello stesso posto (Tenera è la notte, 1934) una passeggiata romantica: «Camminando sull’erba tra cherubini e filosofi, fauni e piccole cascate d’acqua, Rosemary strinse felice il suo braccio, come volesse rimanere legata a lui per sempre». Per Gabriele D’Annunzio (Il piacere, 1889), il Pincio diventa il luogo da cui far tracimare la tristezza di Donna Maria, «tra rare carrozze e rari pedoni che interrompevano la pace del monte».
VERSATILITÀ
Altri luoghi mostrano la stessa versatilità. Il giardino zoologico può ispirare un atto sessuale (come in Seratina di Niccolò Ammaniti e Luisa Brancaccio), oppure la curiosità di conoscere il leone, che «prese a ruggire con un’irrequietezza che meravigliò il guardiano» (La Santa di Gabriel García Márquez).
Dunque, ogni location può ispirare qualsiasi cosa? Non esattamente. Se la Casina Valadier e il Pincio sono particolarmente utilizzati per amore e baci, il Muro Torto appare più adatto a inquietudini e paure. La statistica lo dimostra. E l’intera Villa, nel suo complesso, resta un luogo magico, perfetto per tessiture narrative intimistiche (e talvolta inquietanti) come quelle di Henry James e di Nathaniel Hawthorne, che per Roma avevano provato un vero colpo di fulmine, e di tutti i viaggiatori successivi, a passeggio con un taccuino in tasca.