Il Messaggero, 18 gennaio 2018
Le lacrime del docente in carcere: «Ho provato a uccidermi due volte»
ROMA La prima notte in carcere, la disperazione che prende il sopravvento, la vergogna e la paura che pesano come un macigno sul petto. «Temo per la mia vita, qui dentro me la faranno pagare», continua a dire Massimo De Angelis, il professore dell’istituto Massimo di Roma arrestato due giorni fa per atti sessuali con una studentessa quindicenne. «Non posso andare avanti così – si sfoga da Regina Coeli – Ho provato a uccidermi due volte prima di entrare qui. Lei mi aveva telefonato, mi aveva detto che i genitori avevano trovato i messaggi, che aveva raccontato che avevamo una storia e sarebbe scoppiato l’inferno». È la notte tra il 18 e il 19 dicembre quando la madre e il padre di Barbara – il nome è di fantasia – controllano il cellulare della ragazzina, mentre lei sta dormendo. La chat su whatsapp con il professore è stata cancellata, ma in quel momento De Angelis manda un sms: «Notte amo, scusa», scrive. I genitori svegliano la figlia, chiedono spiegazioni. Lei nega, poi crolla. Tra pianti disperati, ripercorre la storia partendo dal luglio 2017, quando l’insegnante inizia a inviarle messaggi e foto che lo ritraggono nudo. Dice che da settembre, quando ha cominciato a prendere ripetizioni di latino a scuola nel pomeriggio, lei e il professore hanno una relazione.
LA TELEFONATA
«Mi ha telefonato e me l’ha detto. Ho perso la ragione, ho provato a uccidermi. La prima volta con delle medicine. La seconda volta con il gas di scarico della macchina, mi sono addormentato e il motore si è spento. Mi ha salvato la mia compagna», racconta il professore dalla prigione. Anche quando il suo avvocato Fabio Lattanzi gli chiede dettagli per rispondere al gip in vista dell’interrogatorio di garanzia previsto questa mattina, De Angelis piange, è in panico, «non so cosa sia successo – ripete – non ho mai mandato messaggi a nessun’altra ragazzina». Vive nell’angoscia che in prigione possano punirlo, perché reati di questo tipo difficilmente vengono perdonati. Ha paura del compagno di cella: «Vorrei andare in infermeria, da qui non uscirò vivo, ho paura che me la faccia pagare». Ieri ha avuto un colloquio con la psicologa del carcere, «non ho detto che ho tentato il suicidio, mi vergognavo».
A inchiodare De Angelis, 53 anni, i messaggi sul cellulare della quindicenne e i racconti della ragazzina, sentita in audizione protetta dal pm Stefano Pizza. È il 2 gennaio, Barbara racconta di quegli approcci iniziati in luglio, quando l’insegnante le manda sms e foto. Dopo un’iniziale ritrosia, lei risponde. Prof e alunna si scambiano video, messaggi audio erotici. Si telefonano in continuazione. In settembre pianificano «fittizie lezioni di latino per incontrarsi», scrive il gip nell’ordinanza. L’inchiesta scatta il 23 dicembre, con la querela dei genitori. Barbara è disperata, teme conseguenze giudiziarie per De Angelis, si autoaccusa. Gli inquirenti sequestrano il suo cellulare. Nella chat, accanto al nome del docente, c’è un cuore. Le conversazioni sono state cancellate. Era stato lui a chiederlo, sottolinea il giudice, «le aveva detto di serbare il più rigoroso silenzio». Gli investigatori recuperano alcuni messaggi «inequivoci». Scambi che ora De Angelis non riesce a ricostruire: «Non so cosa sia successo», continua a dire. Il gip usa toni pesanti. Il fatto che la ragazzina dichiari di provare affetto per il professore è un’aggravante: l’indagato «approfittando del suo ruolo, mostrando un atteggiamento premuroso, induceva la ragazzina ad acconsentire agli incontri sessuali». Incontri che avvenivano «con notevole frequenza (due o tre volte alla settimana) e per un lungo periodo (tre mesi)», tra i banchi di scuola.