il Giornale, 18 gennaio 2018
«Vorrei chiudere con il Giro. Mi è mancato solo il mondiale». Intervista a Damiano Cunego
Per il Piccolo Principe l’essenziale è invisibile agli occhi, ma anche per Damiano Cunego, 36 anni di cui gran parte spesi in sella ad una bicicletta, il suo cuore porta al Giro d’Italia. «Dove tutto ha avuto inizio, e mi auguro possa avere anche una degna conclusione», dice il veronese, 17 anni di professionismo sulle spalle di uno dei più talentuosi corridori dell’ultima generazione, che nel 2004 fece innamorare l’Italia del pedale, guadagnandosi il nickname del personaggio nato dalla fantasia di Antoine De Saint-Exupery.
Quarantanove vittorie, tra le quali un Giro d’Italia nel 2004 e tre Lombardia, oltre ad un argento ai mondiali di Varese nel 2008 alle spalle di Alessandro Ballan. E adesso?
«Vorrei chiudere al Giro d’Italia (che partirà da Gerusalemme il prossimo 4 maggio, ndr), dove tutto ha avuto inizio. Io da quattro stagioni corro per una piccola formazione di seconda divisione, la Nippo Vini Fantini, e quindi abbiamo bisogno di avere dagli organizzatori l’invito, la necessaria wild-card (dovrebbero essere annunciate domani, ndr) che ci permetterebbe di essere al via, e a me di chiudere come si deve la mia parentesi di corridore».
E se non dovesse arrivare?
«Chiuderò al Giro del Giappone, in casa del nostro sponsor (la Nippo, colosso mondiale delle costruzioni, ndr). Si correrà dal 10 al 27 maggio, in contemporanea proprio con la corsa rosa. Ma non sarebbe la stessa cosa».
In ogni caso a maggio scende di bicicletta.
«È arrivato il momento di dire basta e di voltare pagina. So che c’è chi mi rimprovera di aver ottenuto molto meno di quello che avrei potuto ottenere, ma se avessi vinto l’iride di Varese cosa mi direbbero? La stessa cosa, perché chi mi critica, lo fa a prescindere».
Perché ha deciso di dire basta?
«Ho 36 anni, e io non mi sento più adeguato».
La vittoria più bella?
«Quella di Falzes al Giro d’Italia 2004 e poi il mio terzo Lombardia».
Cosa farà da grande?
«Sarò una guida per i giovani, un testimonial per il mio team e non solo. Voglio concludere gli studi di Scienze Motorie, anche perché la mia vera ambizione è quella di restare nel mondo delle due ruote come preparatore».
Tutti i grandi sono stati piccoli, dice il Piccolo Principe
«Io da piccolo sognavo di diventare un corridore di livello, e ci sono riuscito. Adesso devo rigenerarmi, tornando sui banchi di scuola: c’è ancora tanto da imparare per tornare ad essere grande».
I corridori che più apprezza?
«Peter Sagan: è il vero fenomeno di oggi. Ma anche Vincenzo Nibali ha un talento immenso».
Con quali colleghi è rimasto più legato?
«Gibo Simoni e Ivan Basso. Grande rapporto anche con Leonardo Bertagnolli, Eddy Mazzoleni e Paolo Tiralongo».
Per il ciclismo è il Piccolo Principe: una frase che porta con sè?
«Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle...”. In questo periodo sto sopportando un po’ di bruchi, sperando di potermi gustare a maggio la farfalla rosa: il Giro».
Di bruchi il ciclismo ne ha avuti parecchi: prima Armstrong, adesso Froome.
«Il nostro sport è cambiato tanto in questi ultimi anni. È molto più credibile e affidabile. Il texano aveva conquistato tutti con una storia che pareva essere una fiaba, ma sappiamo il triste epilogo. Di Froome spero che il finale, per il bene di tutti, sia un po’ diverso».
Dice il Piccolo Principe: gli adulti non capiscono mai niente da soli.
«È così. Io ho due figli, Ludovica e Christian, di 12 e 7 anni. Li guido, li seguo, li consiglio, ma ogni giorno sono io ad imparare qualcosa da loro. Insieme a mia moglie Margherita».
Cosa le ha insegnato il ciclismo?
«A percorrere strade, a porsi delle mete: non tanto per il traguardo, ma per il viaggio che siamo chiamati ad affrontare».