La Stampa, 17 gennaio 2018
Intervista ad Albert Rivera: Italia, Spagna e Francia un patto per cambiare l’Ue
Macron, Renzi, Rivera: i protagonisti sono diversi per età e soprattutto per ruolo, ma lo spagnolo Albert Rivera spera di unirli per cambiare l’Europa. Il leader di Ciudadanos, 38 anni, è in grande spolvero: dopo aver vinto le elezioni catalane (pur senza togliere la maggioranza assoluta agli indipendentisti) il suo partito centrista è volato in testa ai sondaggi superando popolari e socialisti e surclassando Podemos, e già parla da leader. Ma se le elezioni spagnole sono lontane (2020, a meno di sorprese), l’anno prossimo si voterà per le Europee e «sarebbe bello farlo con liste trasnazionali – dice Rivera a Roma prima di vedere Renzi per un pranzo – Macron è d’accordo e lo è anche il segretario del Pd».
Rivera, lei propone liste comuni: ma Renzi fa parte del gruppo socialista e voi dei liberali. Come si fa?
«Ci sono delle differenze, ma Renzi è un europeista che ha superato i dogmi ideologici, aprendo la porta a un socialismo liberale che io condivido. Abbiamo rotto la logica conservatori-progressisti, come ha fatto Macron».
Cos’è Ciudadanos?
«Una piattaforma civica che è diventata un partito. Molto legato alla classe media e urbana. La Spagna ha molti problemi, per questo proponiamo rigenerazione».
Come Podemos?
«Podemos nasce come reazione, come vendetta contro la classe politica, noi vogliamo modernizzarla».
Ci passi le categorie novecentesche: siete progressisti o conservatori?
«Siamo progressisti che non sacrificano l’economia. Progressisti soprattutto nel campo dei diritti civili, ma non vogliamo commettere l’errore di penalizzare lo sviluppo».
Renzi sta vivendo una campagna elettorale in salita, lei come vede l’Italia?
«Non mi immischio».
Come si cambia l’Europa?
«Bisogna fare le riforme economiche, quella del sistema bancario, progettare la difesa comune, lavorare per la cultura e i valori. Ma l’obiettivo finale dev’essere quello di un presidente europeo eletto dai cittadini».
Le liste transnazionali sono un obiettivo possibile?
«Spagna Italia e Francia, con i loro 73 deputati, possono superare le attuali resistenze. Nel 2019 possiamo arrivarci».
L’Europa sembra dominata dall’alleanza franco-tedesca, bisogna contrapporne un’altra tra Italia e Spagna?
«I nostri due Paesi devono giocare la Champions, sommandosi alla guida franco-tedesca ed essere il cuore della rinascita. Macron ne è cosciente e Merkel ora è più debole. Ne ho parlato con Tajani e Renzi, li ho trovati concordi su questo punto».
I sondaggi vi danno in testa. Alle elezioni del 2015 e del 2016 dovevate essere la grande sorpresa, ma poi siete arrivati quarti. Stavolta si fida?
«Sono prudente. Ma c’è una tendenza chiara. Gli altri scendono e noi saliamo. È un fatto strutturale ormai».
Come se lo spiega?
«Gli spagnoli vogliono uscire dal bipolarismo. E poi influisce la nostra recente vittoria alle elezioni catalane».
Un anno e mezzo fa avete dato il via libera al governo Rajoy. Come vede il suo esecutivo?
«Nel caos. In Catalogna hanno raggiunto il peggior risultato della storia. Hanno perso la metà degli elettori».
L’ala destra del Partito Popolare, a cominciare dall’ex premier Aznar, critica Rajoy ed esalta Ciudadanos. La imbarazza?
«Sono mosse interne contro Rajoy. Siccome nel Partito Popolare non è ammesso il dissenso pubblico, non ci sono primarie, allora si parla all’esterno».
Il capo del governo è intervenuto in Catalogna sospendendo l’autonomia e sciogliendo il governo, come chiedevate voi. Soddisfatti?
«Siamo d’accordo sul fatto che, applicando l’articolo 155 della Costituzione, si è risolta la crisi in modo legale. Ma ora bisogna riconoscere gli enormi errori commessi».
Ad esempio il referendum con le botte della polizia ai votanti?
«Quel giorno è stato un disastro. Da un punto di vista dell’organizzazione, con i seggi aperti nonostante i divieti e la polizia a caricare, e da un punto di vista dell’immagine internazionale. I media stranieri non erano assistiti, passava solo il messaggio dei separatisti dando la sensazione della sconfitta dello Stato. Rajoy non ha usato i mezzi che aveva, si figuri che neanche ha chiamato i suoi predecessori per un consiglio. Al suo posto sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto».
Puigdemont ha vinto le elezioni, ha la maggioranza in parlamento, può fare il presidente della Catalogna da Bruxelles?
«Chiariamo: non è a Bruxelles per fare l’erasmus. È indagato per reati gravissimi. Uno che scappa così non può essere presidente».
Rajoy dice: se Puigdemont tornerà a essere presidente dall’estero il 155 continuerà. È d’accordo?
«Incredibile: Rajoy pare dia per scontato che Puigdemont, violando tutti i regolamenti, sarà presidente. Invece a me, pochi giorni fa, aveva detto che avrebbe fatto rispettare la legge che impedisce l’investitura telematica. Parla come un osservatore terzo, non come il capo del governo».