Corriere della Sera, 18 gennaio 2018
La rivoluzione illuminista di Strehler
In Italia l’Illuminismo (e, in genere, il Settecento) ha affascinato molti uomini di cultura. Leonardo Sciascia e Giorgio Strehler, per esempio, nati entrambi nel 1921. Il primo, attratto soprattutto da Voltaire e Montesquieu; il secondo, da Goldoni e Mozart. E proprio al rapporto fra il registra teatrale, il drammaturgo e il musicista è dedicata la rassegna milanese di Palazzo Reale (sino al 4 febbraio, catalogo Skira), curata da Lorenzo Arruga, per i vent’anni della morte del fondatore (con Paolo Grassi e Nina Vinchi) del Piccolo Teatro.
Dall’idea di uno spettacolo alla sua realizzazione, alle invenzioni sul palcoscenico, durante le prove, del genio di Strehler. Da qui, una sorta di lungo racconto per immagini di quasi mezzo secolo di attività del regista che ha rivoluzionato il teatro italiano.
Strehler rivive sulla scena, con la sua mimica di direttore d’orchestra, di divo sprezzante e irascibile (a Versailles, racconta Arruga, ai fotoreporter chiamati dal sovrintendente Liebermann per assistere ad una prova, Strehler, stizzito per la «sorpresa», dice loro: «Andate a fotografare il culo di Liebermann»), di finissimo dicitore, di saltimbanco, di perfezionista che interviene su tutto – luci comprese – e suscita amore e odio.
«I tecnici – ricorderà Giancarlo Dettori – io li ho visti veramente impazzire. Il loro sogno ricorrente? L’uccisione di Strehler». Al tempo stesso, però, il regista era prodigo di riconoscimenti ed anche generoso.
Nel 1990, all’Isef di piazza Sant’Alessandro (facoltà di Medicina della Statale), a corsi universitari iniziati, viene a mancare il docente di Letteratura italiana e Maggiorino Proto, un primario, amico, mi chiede il favore di sostituirlo. Non posso, il giornalismo mi assorbe del tutto. Questione di un paio di mesi, vengo rassicurato. Di quali autori parlare a studenti destinati all’insegnamento di Educazione fisica? Opto per i contemporanei: letture di libri e tesine scritte. E incontri con qualche protagonista. Vengono Carlo Bo (critica) e Mario Luzi (poesia). Alessandro Quasimodo parla di suo padre e di Pirandello di cui fa ascoltare la voce registrata. I ragazzi sembrano entusiasti. E per il teatro? Chiedo a Strehler di farli assistere, al Piccolo di via Rovello, alle prove dell’ Arlecchino servitore di due padroni, che sta preparando. Andiamo un pomeriggio, dopo una breve introduzione sulla Commedia dell’arte. Piuttosto incuriositi, i ragazzi assistono in silenzio. Ogni tanto, Strehler fa una pausa per spiegare loro alcuni passaggi. La «lezione» doveva durare sino alle 17. Ma, tranne qualcuno che deve prendere un treno, rimangono tutti sino a tarda sera.
Uomo di spettacolo in teatro, Strehler lo era altrettanto nella vita. In proposito, ricordo un episodio narratomi da Mara Bugni, avvenuto fra lei e Giorgio nella mansarda di corso Venezia dove vivevano. Durante un litigio notturno, il regista afferra Mara per la giacca e la donna, che ha in mano una di quelle borse con le borchie di ferro, allora di moda, per svincolarsi, inavvertitamente lo colpisce in testa col metallo. Giorgio cade per terra e non si muove più. Recita?
Terrorizzata, Mara telefona al suo parrucchiere-amico. «Che faccio, ora?». «Perde sangue?». «No». «Respira?». «Credo di sì». «Passagli un panno bagnato sulla testa».
Trascorre un interminabile quarto d’ora. «Geme», dice Mara all’amico, rimasto al telefono. «Sei sicura che non finge?». «Non so, credo di sì… Anzi, aspetta, sembra che stia aprendo gli occhi… Che faccio?». «E me lo chiedi? Scappa, scappa!».