Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 18 Giovedì calendario

Il Papa tra i Mapuche, il popolo senza terra in lotta da cinque secoli

TEMUCO «Arauco ha un dolore che non posso tacere, sono ingiustizie di secoli che tutti vedono commettere». Francesco è arrivato nell’Araucanía, la regione che la Gente («Che») della Terra («Mapu»), ovvero il popolo Mapuche, chiama «Wallmapu», la patria. E sceglie le parole di Violeta Parra, cantautrice e poetessa cilena, per dire l’ingiustizia patita dai nativi. «Voglio soffermarmi e salutare in modo speciale i membri del popolo Mapuche, così come gli altri popoli indigeni che vivono in queste terre australi: Rapanui, Aymara, Quechua e Atacama e molti altri». 
La messa si celebra nell’aerodromo di Maquehue. Canti, danze, i colori dei costumi tradizionali. L’atto penitenziale viene recitato in mapudungun, la lingua dei Mapuche. «Mari Mari», saluta il Papa, «buongiorno». «Küme tünngün ta niemün», «la pace sia con voi». Francesco ricorda «le gravi violazioni dei diritti umani» compiute in questo luogo dove Pinochet faceva torturare gli oppositori, compresi molti Indios. Adesso ci sono centocinquantamila persone che pregano. «Offriamo questa celebrazione per tutti coloro che hanno sofferto e sono morti e per quelli che, ogni giorno, portano sulle spalle il peso di tante ingiustizie. Il sacrificio di Gesù sulla croce è carico di tutto il peccato e il dolore dei nostri popoli, un dolore da riscattare». 
Boschi, laghi, le montagne a chiudere l’orizzonte. Qui vive un terzo del popolo Mapuche, un milione e mezzo di persone divise tra Cile e Argentina. Dal Cinquecento si sono difesi dal genocidio e il lavoro schiavo e hanno resistito ai conquistadores spagnoli come avevano fatto con l’Impero Inca. Lo Stato cileno occupò l’Araucanía dal 1861, 9 milioni e mezzo di ettari espropriati. Una legge del 1993 prevedeva indennizzi e restituzioni ma è rimasta lettera morta. Come racconta Luis Sepúlveda nella fiaba del cane Leale, la «Gente della Terra» si saluta dicendo: «marichiweu peñi», dieci volte vinceremo, fratello. A Wallmapu è il mese del raccolto, i frutti della araucarie al limitare della pista sono maturi. Francesco ha invitato ad ascoltare «la saggezza dei popoli autoctoni, i cui diritti devono ricevere attenzione e la cultura protetta» perché insegnano a tutti «che non c’è sviluppo in un popolo che volta le spalle alla terra». 
Domani incontrerà a Puerto Maldonado, in Perù, i popoli dell’Amazzonia. Ed ora parla di solidarietà: «Dobbiamo lasciare da parte la logica di credere che ci siano culture superiori o inferiori». Prima del suo arrivo ci sono stati attacchi incendiari a nove chiese e a tre elicotteri della forestale. «Gruppi minoritari», avvertiva il gesuita Fernando Montes, compagno di studi di Bergoglio. Francesco invita a cercare «la via della non violenza attiva» come «stile di una politica di pace». Unità non significa «un’uniformità asfissiante che nasce dal predominio del più forte» e «nemmeno una separazione che non riconosca la bontà degli altri». Il processo di pace è minacciato da «due forme di violenza»: gli accordi fatti solo di «belle parole» e la violenza che uccide e «finisce per rendere falsa la causa più giusta». Dopo la messa, il Papa ha pranzato con otto Mapuche. La Genesi dice che «tutti siamo gente tratta dalla terra», bisogna combattere la «deforestazione della speranza», ha concluso: «Gesù prega il Padre che “tutti siano una cosa sola”. Il suo cuore sa che una delle peggiori minacce che colpisce e colpirà il suo popolo sarà la divisione e lo scontro, la sopraffazione degli uni sugli altri».