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 2018  gennaio 18 Giovedì calendario

Fotoromanzi, la passione è vintage

Ci volevano i francesi per rivalutare le storie inverosimili e le pose plastiche dei fotoromanzi, strizzando l’occhiolino alla passione sempre più debordante per vintage e kitsch. Ma che sia chiaro: il fotoromanzo fu un’invenzione italiana e materiale da esportazione. Non solo: si vende ancora oggi, soprattutto in Italia e in Francia, sebbene le lettrici siano ormai in là con l’età. Inseriscono elementi attuali, come l’omosessualità o l’Aids, invece delle ragazze madri di una volta, ma le storie restano arcisentimentali e a tinte forti. E ancora oggi tante sono realizzate da società italiane, per le strade del nostro Paese e poi vendute all’estero. Ordinate a distanza pure da Parigi.
La storia
Perché riscoprire d’un tratto il vituperato fotoromanzo? Perché al Mucem, l’avveniristico museo di Marsiglia, è stata inaugurata una mostra (dal titolo Roman-Photo, come si chiama Oltralpe), che sta avendo un successo incredibile. Resterà aperta fino al 23 aprile. «Il fotoromanzo nacque in Italia nel 1947, inizialmente pubblicato su due riviste, Bolero film e Il mio sogno» racconta Frédérique Deschamps, una delle curatrici dell’esposizione. La paternità del genere è divisa tra Cesare Zavattini e Damiano Damiani. Fu il narratore e commediografo reggiano, che lavorava per Arnoldo Mondadori, a convincerlo a creare un «fumetto fotografico su Bolero Film e a sceneggiare le prime storie. Damiano Damiani diresse i set de Il mio sogno –

Settimanale di romanzi d’amore a fotogrammi edito dalla Editrice Novissima di Roma socia della Rizzoli. «Ma già nel 1949 – continua Deschamps – proprio un italiano, Cino Del Duca, introdusse il genere anche in Francia». Copiò il modello sperimentato in Italia dai due fratelli, Domenico e Alceo, con un’altra rivista del settore, Grand Hotel. Il successo fu folgorante «e gli italiani esportarono il fotoromanzo anche in Spagna e America Latina», mentre gli anglosassoni restarono scettici.
L’archivio Mondadori costituisce il grosso della mostra. Sono foto semplicemente stupende, spesso influenzate dall’estetica del neorealismo e poi sempre più moderniste. Molti di coloro che le scattavano restavano anonimi, ma la Deschamps ha ritrovato un fotografo ormai anziano, che faceva fotoromanzi a Roma negli Anni 60, con istantanee a colori, poi emigrato a Parigi: Piero Orsola, un vero maestro. Lavorava con tre assistenti per i flash: uno per i visi, uno per lo sfondo e un altro per il controluce. Questo made in Italy si sta prendendo una bella rivincita, dopo essere stato ai tempi bistrattato, sia da una parte che dall’altra delle Alpi.
Le critiche
«Per gli intellettuali era un sottoprodotto letterario», ricorda la curatrice. Roland Barthes lo considerava «più osceno del marchese de Sade». «I cattolici ritenevano che fosse immorale – continua la Deschamps – e il papa Giovanni XXIII dedicò un’enciclica a criticare la stampa rosa. Per i comunisti le storie di queste donne che avevano sempre bisogno di sposarsi con l’uomo giusto per risolvere i loro problemi erano solo espressione di un destino personale e non della lotta di classe». Soprattutto in Italia a scrivere le sceneggiature erano donne. E, anche se non si può arrivare a considerare il fotoromanzo uno strumento di liberazione femminile, la sociologa Marcela Iacub spiega come «partecipò al vasto movimento che rimise in causa il matrimonio borghese».
Uno dei primi a capirne la valenza sociale fu Michelangelo Antonioni, che già nel 1949 realizzò un documentario (L’amorosa menzogna), dove compaiono due star dei fotoromanzi dell’epoca, Anna Vita e Sergio Raimondi. Enrica, la vedova di Antonioni, ha fatto realizzare per la mostra di Marsiglia una copia rimasterizzata del documentario. Tra le curiosità dell’esposizione anche esemplari di Killing, fotoromanzo erotico e sadico che uscì in Italia tra il ’66 e il ’69 (e pure in Francia, con il titolo Satanik). «Molto interessante – conclude lDeschamps -, ma davvero politicamente scorretto. Oggi non potrebbe mai essere pubblicato».