La Stampa, 18 gennaio 2018
Tutti in ordine sparso e senza fondi la chimera dei controlli sulla sicurezza. Ministero, Inl, Inps e Inail non hanno ancora una banca dati comune
L’idea, lo riconoscono tutti, era valida: riunificare in un solo servizio, controllato dal ministero del Lavoro, tutte le attività di controllo e ispezione in tema di lavoro e legislazione sociale, coordinando il personale e le banche dati di ministero del Lavoro, Inps, Inail e Agenzia delle Entrate. Ma come molte riforme varate dal governo Renzi, anche la creazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (previsto dal Jobs Act del 2015) ha dovuto fare i conti con la complessità istituzionale e amministrativa di un paese come il nostro. Oltre che, ammettono anche al ministero di Giulio Poletti, con la scelta di procedere all’operazione a costo zero, senza investimenti o risorse aggiuntive. E così, a quasi un anno di distanza dalla nascita (sulla carta) dell’Inl, la speranza di mettere in piedi un servizio efficiente e in grado di combattere le violazioni (diffusissime) nel campo del lavoro, dalla sicurezza al sommerso e nero, dal caporalato al corretto pagamento di stipendi e contributi, deve fare i conti con una realtà molto poco esaltante. Invece di una unica cabina di regia centralizzata, ministero, Inps e Inail procedono ancora in ordine sparso. La verifica tecnica su salute e sicurezza è ancora divisa tra Inl, che si occupa solo dell’edilizia, e i servizi di prevenzione delle Asl, che seguono tutti gli altri settori, industria compresa. Il coordinamento delle ispezioni è solo embrionale, le banche dati ancora non comunicano tra di loro, il personale è rimasto ancora in capo ai tre enti separati, e si lamenta di differenze salariali e della scarsezza dei mezzi per svolgere i controlli. E così, l’opera di prevenzione degli abusi e il controllo del rispetto delle regole sulla sicurezza del lavoro, come si è visto a Milano, non è davvero mai decollata.
I numeri delle ispezioni nel corso del 2016 non sono del tutto negativi, spiegano all’Inl. In tutto sono state ispezionate 191.614 aziende, trovandone come ogni anno avviene circa due terzi (nel 2016 il 63%) in situazione irregolare. Sul versante positivo, come spiega il direttore dell’Inl Danilo Papa, «si sta formando nuovo personale in grado di utilizzare nuove tecniche e strumenti», e se una volta un’ispezione di tipo lavoristico doveva essere seguita da un’altra per il recupero previdenziale, adesso un controllo in un’azienda può colpire insieme tutte le fattispecie rilevate. Ma come denunciano i sindacati – e ammettono anche all’Istituto – il coordinamento delle verifiche è «per ora artigianale». E quando si parla di sicurezza, l’Inl (a parte l’edilizia) può agire solo sugli aspetti amministrativi. La competenza su quelli effettivi, come nel caso della tragedia di Milano, spetta costituzionalmente alle Regioni, attraverso le Asl.
«Noi ispettori – dice uno di loro, anonimo – lavoriamo uscendo, andando a controllare sul campo. E con questa nuova organizzazione ci hanno contingentato i rimborsi. In Piemonte possiamo fare solo 378 chilometri al mese. Si rende conto? Con un rimborso di un quinto del costo della benzina e auto propria». La riforma per gli ispettori del lavoro ha solo portato un eccesso di burocrazia, la difficoltà di procedere ai controlli e infine riduzione di stipendio. Sono in agitazione dall’autunno scorso e dai primi del mese nessuno – o quasi – esce in «missione» cioè a controllare le aziende. «Si è lavorato peggio e si lavorerà ancora peggio – scrivono in una lettera gli ispettori (Inps e Inail) di Firenze -. Dal primo gennaio è entrato in vigore un decreto del ministro Poletti che sottrae a Inps e Inail 13,5 milioni di euro per le missioni e li trasferisce all’Inl». Il nodo vero della protesta sono proprio le “missioni” la riduzione del budget impedisce «di fatto il lavoro. Come facciamo noi a non uscire dall’ufficio per controllare?»; sono sempre anonime o collettive le proteste degli ispettori: «Abbiamo una chat su Telegram e WhatsApp, ma per favore non scriva nomi». La protesta ha portato 500 di loro alla direzione nazionale Inps lo scorso 11 gennaio «ci hanno risposto “il ministero ha deciso così”. Questa vicenda va al di là del disagio di noi ispettori: viene messa in discussione la tenuta dei conti dello Stato, la lotta all’evasione ma soprattutto lo stato sociale».