La Stampa, 18 gennaio 2018
Niger: a giugno l’invio di 120 soldati. Un’operazione di addestramento: non si combatterà
Ora che c’è il via libera parlamentare, gli stati maggiori possono cominciare a fare sul serio. In Niger le ricognizioni ci sono state. Entro giugno, il primo gruppo di 120 militari si affaccerà nella capitale, Niamey, dove nascerà una piccola cittadella italiana. Entro la fine dell’anno i numeri cresceranno, ma senza mai superare le 450 presenze. Potranno utilizzare fino a 130 automezzi. Costo stimato, 30 milioni di euro nei prossimi nove mesi.
Quella italiana sarà una missione rigorosamente non-combat, cioè di addestramento all’esercito locale. Con una piccola presenza in Tunisia (60 uomini in un dispositivo addestrativo della Nato) e la riorganizzazione della Libia (manderemo a Tripoli qualche decina di addestratori dell’esercito e ci preoccuperemo della loro aeronautica) il Niger è la novità più forte del nuovo corso impresso dal governo Gentiloni. Più Africa e meno missioni lontane dal nostro interesse nazionale, lo slogan.
Quindi ora tocca al Niger: questo poverissimo Paese del Sahel, confinante con la Libia, è considerato a rischio di implosione. Il rischio è di avere un’ennesima somalizzazione, con già la Libia nel caos, il Mali pure, e così via in tutta l’area. E di qui passano traffici di ogni tipo. Per questo motivo l’Italia supporta il Niger. Abbiamo aperto un’ambasciata. E abbiamo inviato istruttori della Guardia di Finanza e dei carabinieri per addestrare le forze di polizia (la missione Eucap Niger, istituita dalla Ue nel 2013).
La preoccupazione di disinnescare un’ennesima crisi è condivisa dalle cancellerie europee. Dal 2013 la Francia è massicciamente presente con obiettivi di combattimento contro i gruppi jihadisti. È la missione «Barkhane», 4000 uomini che si spostano nel deserto tra Niger, Mali, Burkina Faso e Ciad.
A sostegno francese, oltre un anno fa anche la Germania è scesa pesantemente in campo: ci sono ormai 1000 soldati tedeschi in Mali, nell’ambito di una missione di Caschi Blu, il che ha permesso un notevole sganciamento dei francesi. La Germania ha già pagato un prezzo di sangue per questa presenza: nel luglio scorso è precipitato un elicottero da combattimento con due piloti a bordo.
A giorni, anche il governo britannico annuncerà l’invio a sostegno dei francesi di un contingente di elicotteristi con i pesanti Chinook da trasporto truppe. Avranno compiti di combattimento antiterrorismo. La mossa ha un peso essenzialmente politico. Sta a significare concretamente che il governo di Theresa May non è insensibile alle richieste di Macron e vuole dimostrare che Londra intende proseguire sul serio la cooperazione di carattere militare tra europei. Secondo esperti militari sentiti dal quotidiano «The Telegraph», «si dimostra così che soltanto Francia e Gran Bretagna hanno in Europa una cultura del combattimento».
L’Italia, invece, a dispetto delle interpretazioni più critiche, in Niger non parteciperà a combattimenti, né a pattugliamenti sul territorio. Lo scopo della missione è di addestrare le forze locali, rispettando un principio che ormai è sacro per i nostri stati maggiori, e cioè che se si vuole davvero stabilizzare uno Stato, occorre fare affidamento sulle sue forze di sicurezza e non cercare scorciatoie o peggio protagonismi. In questo senso, istruttori italiani sono presenti già in due missioni europee anche in Mali (Eutm per le forze armate; Eucap per le forze di polizia).