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 2018  gennaio 18 Giovedì calendario

Una campagna low cost dai 20 ai 60 mila euro a seggio

ROMA «Noi di Liberi e uguali contiamo di spendere in tutto un milione e 300 mila euro. È un budget molto basso, ma il battage durerà poco e ridurremo al minimo i materiali elettorali». Rossella Muroni è uno dei pochi responsabili di campagna elettorale disposti a dichiarare la spesa preventivata.
Ma è chiaro che per quelli più grandi il budget è più alto: basti pensare che nel 2013 il Popolo della Libertà e il Pd spesero oltre 10 milioni ciascuno.
Oggi la parola d’ordine per tutti è meno manifesti, più dirette Facebook e post sui social, niente spese postali e molti passaggi in tv (nei talk show nazionali ma anche nelle tv e radio locali). Ma specie se sei candidato in un collegio uninominale i costi sono inevitabili e non si tratta di pochi spiccioli. E poi quasi tutte i partiti chiedono ai singoli candidati un contributo congruo per una campagna elettorale che sarà molto centralizzata. Soprattutto per chi correrà nel proporzionale, dove si assegnano due terzi dei seggi di Camera (386) e Senato (193), perché lì si corre per il simbolo del partito. Del resto nel 2017 i partiti hanno incassato dal 2xmille poco più di 15 milioni di euro, mentre la campagna per le politiche del 2013 costò complessivamente 45 milioni. E i soldi del finanziamento pubblico ormai non ci sono più, le casse sono vuote. Bastano questi dati per capire che, anche volendo fare un’operazione low cost, le forze politiche dovranno far ricorso ad altri finanziamenti: contributi dei candidati, fundraising sul territorio, donazioni da parte di imprese e di singoli, magari attraverso i poco trasparenti bilanci delle fondazioni.
I CONTRIBUTI AI PARTITI
Alcune forze politiche hanno già deciso il tariffario. Altri, come il Pd, ancora no. Ma dovrebbe andare più o meno come nel 2013 quando, come ricorda il deputato uscente Francesco Sanna «i candidati in posizione ritenuta utile, si impegnarono a versare, se eletti, dai 20 mila ai 40 mila euro attraverso il regolamento finanziario che fissa le quote ad ogni legislatura con rendicontazione pubblica». La cifra sarà certamente più alta se sei capolista o comunque in posizione eleggibile, o corri in un collegio sicuro, ed è diversa anche nelle singole regioni. In Toscana, sempre nel 2013, il contributo medio fu di 20 mila euro, Giuditta Pini eletta in Emilia Romagna pagò 30 mila euro «ma li rateizzai, come molti» ricorda. Inoltre i parlamentari dem devono versare 1.500 euro al Nazareno ogni mese. Forza Italia ha già fissato la quota media a 30 mila euro, la Lega a 20 mila, Fratelli d’Italia a 5 mila. “Noi con l’Italia”, quarta gamba del centrodestra deve ancora decidere, racconta il tesoriere Enrico Zanetti. «La nostra sarà una campagna di tipo nazionale e chiederemo certamente un contributo ai candidati, non ci sono altri metodi.
Quando venni eletto con Scelta Civica nel 2013 versai 30 mila euro». Spiega il tesoriere di Fratelli d’Italia Marco Marsilio: «I nostri candidati sono consapevoli che faremo una campagna concentrata sul partito e sul nome di Giorgia Meloni, perché così possiamo essere più efficaci, concentrando le risorse». Anche Leu chiederà un contributo che «dice Burioni, dipenderà dalla posizione in lista e anche dalla forza politica del candidato». Uno dei modi per finanziare in modo consistente il partito sarà «l’acquisto dei gadget.
Abbiamo pensato a una sciarpa del candidato, particolarmente adatta ad una campagna elettorale in pieno inverno». Per i 5Stelle finora è previsto solo il contributo di 700 euro mensili da parte dei parlamentari all’associazione Rousseau. Per il resto la campagna viene finanziata con le donazioni, non sempre trasparenti.
I COSTI PERSONALI
Per chi correrà nei listini proporzionali le spese potranno limitarsi a trasporti e incontri, al resto ci penserà il partito. E anche se sei ti presenti in un collegio uninominale «sei il candidato di bandiera e tutti devono lavorare per te» sostiene Pino Pisicchio, parlamentare di lungo corso. Ma certo, ammette, «al comitato elettorale non puoi rinunciare, magari con sedi in più comuni. E allora devi pagare l’affitto del locale, i pasti dei volontari. E poi ci sono le cene e la benzina per spostarsi nel collegio». E i manifesti non si possono abolire del tutto, anche se i costosissimi 6x3 saranno rari. Per avere una idea basti pensare che la recente campagna di Leu, partita in anticipo per la necessità di far conoscere il nuovo simbolo e il nuovo leader, è costata 170 mila euro per circa 2.500 affissioni.
Complessivamente, a sentire gli esperti, come Marsilio o Sanna, un candidato di collegio potrà spendere dai 20 ai 60 mila euro.
Oltre ai soldi da versare al partito.
LA TRASPARENZA
Nonostante la legge imponga ai parlamentari di dichiarare quanto hanno speso per la campagna non tutti i contributi e non tutte le spese vengono rendicontate.
Secondo uno studio di Openpolis (che comprende anche il grafico accanto) solo 4 politici in occasione delle precedenti elezioni non hanno coperto i propri finanziatori: si tratta di Laura Garavini (Pd), Andrea Vallascas (M5S) Mariastella Gelmini (FI) e Gianluca Galletti (Ap). E questo nonostante i contributi e i servizi da parte di terzi abbiano pesato per il 72% del finanziamento. In questo caso un ruolo non del tutto trasparente lo giocano le fondazioni, cui la legge consente di non rendere pubblici i nomi dei donatori, in nome della privacy.