la Repubblica, 18 gennaio 2018
Banche, la difesa di De Benedetti. Poi attacca Scalfari e Repubblica
Roma La riforma delle Popolari era «il segreto di Pulcinella», dice Carlo De Benedetti a Otto e Mezzo: è il nucleo dell’autodifesa con cui ieri ha risposto in tv all’accusa di aver approfittato di informazioni riservate per ottenere ingenti guadagni illeciti in Borsa. Lilli Gruber parte da qui per un’intervista in cui l’ex editore di Repubblica ha usato parole durissime sul fondatore Eugenio Scalfari e sui vertici del quotidiano che avrebbe «perduto l’identità».
Quanto alle Popolari «a gennaio 2015 – chiede Gruber – parlò con Renzi; il giorno dopo chiamò il broker e guadagnò 600mila euro. Una informazione decisiva?». «Ridicolo. Ne parlavano tutti, di una riforma. Renzi mi disse: guarda che quella cosa che stava nel mio programma la faremo. Ma prevedendo la Borsa potesse scendere, mi sono coperto». Non ce ne sarebbe stata ragione, sostiene, se avesse saputo del decreto imminente.
Liquida come «rapporti normali» quelli con il vicedirettore di Bankitalia, Fabio Panetta; e come una sciocchezza che gli fornisse segreti spendibili in Borsa: «È solo uno sfizio di Vegas, presidente Consob messo in minoranza. Cerca un seggio, credo ci riuscirà con Fi». E «assolutamente normali» sostiene siano anche gli incontri frequenti coi leader delle istituzioni: «Credo di aver visto tutti i governatori, da Carli in avanti». Lo stesso per i presidenti del Consiglio in carica, di idee anche molto diverse: «Berlusconi e Cossiga, Emilio Colombo, Andreotti, Prodi, D’Alema... C’è un provincialismo preoccupante», dice, «se vedevo Thatcher o Blair mica era grazie a Repubblica, no?».
Si parla di elezioni, poi: «Renzi mi ha deluso, ma vista l’offerta politica voterò Pd», dice bocciando ogni alternativa, da «Salvini e compagni che parlano di razza bianca» a Di Maio che «sarebbe un disastro: l’incompetenza al potere»; fino a Berlusconi che «ha corrotto i giudici nella battaglia di Segrate». Il Pd, dice, «è l’unica offerta di governabilità, non tanto per le idee ma per gli uomini». Eppure, con Berlusconi rivela una telefonata, «la prima da 15 anni. L’ho sentito dopo che Scalfari ha fatto la sua stonatura in tv ( disse: tra Berlusconi e Di Maio scelgo il primo, ndr). Non poteva pensare fosse un’idea autonoma di Eugenio». E incalzato da Gruber, affonda: «Tra i due non scelgo né l’uno né l’altro. Se uno lo fa ha problemi di vanità. Eugenio è molto anziano non più in condizione di rispondere. Lasciamo perdere. Io sono stato fondatore di Repubblica, con Scalfari: nel ’ 75 cercava soldi per fare un giornale, glieli detti io. Mi piaceva il progetto, ma avevo totale sfiducia editorialmente. Scalfari dovrebbe ricordarsi quando, negli anni ’ 80, lui e Caracciolo erano tecnicamente falliti: misi 5 miliardi di lire contribuendo a salvarli; e ho dato un pacco di soldi pazzesco a Eugenio quando volle lasciare le quote: può solo stare zitto tutta la vita. Poi parli di Draghi, del Papa, di quelle cose di cui si diletta. Con me è stato assolutamente ingrato».
Per Repubblica giura amore, ma è durissimo: «Ci ho solo pagato prezzi. È la mia folle passione per il giornale che dura anche oggi. Per questo – dice – sono triste quando vedo che perde identità. È nato per essere un giornale politico, e la politica per 40 anni si è fatta su Repubblica.
Oggi non più». Sbaglia il direttore Calabresi? «Non son qui per dare pagelle, ma il giornale ha perso identità e mi addolora», dice. Critico anche il giudizio sull’editoriale con cui Repubblica, di fronte alle accuse al suo ex editore per l’affaire Popolari, ribadì l’autonomia della testata: «La forma era sbagliata, compreso non firmare: ciascuno deve avere il coraggio di farlo. Giustissimo dire che gli affari di De Benedetti non avevano a che fare con Repubblica, forse però potevano ringraziare per l’indipendenza che ho dato io a loro, e ci ho rimesso la Sme».
Altre idee in pillole: la tessera n. 1 del Pd l’ha favorita? «Zingales è un ignorante: mai avuto neanche quella della bocciofila». Vero che vuole fondare un altro quotidiano? «Mai nella vita: sui giornali sono monogamo». Repubblica «è stata sempre dalla parte giusta nelle grandi battaglie. Per questo è stata sulle palle a tanta gente». E allora che consiglio darebbe oggi a direttore e manager? «Manzoni diceva che il coraggio, se uno non l’ha, nessuno glielo può dare».