17 gennaio 2018
DOCUMENTONE PER ANTEPRIMA NUMERO 1 Mance In Giappone lasciare la mancia è offensivo
DOCUMENTONE PER ANTEPRIMA NUMERO 1
Mance
In Giappone lasciare la mancia è offensivo. Negli Stati Uniti e in Canada servire ai tavoli è considerato un impiego di basso livello e per questo le mance sono alte e obbligatorie. I camerieri infatti percepiscono un salario molto basso che solo con le mance (tassate naturalmente) permetterebbe loro di vivere dignitosamente. solitamente attorno al 15-20%. In Germania e Francia il servizio è incluso nel conto, ma è buona abitudine lasciare comunque un extra. In Spagna e Portogallo non sempre il servizio è incluso ed è prassi dare una mancia, non più del 5-10% del conto. In Gran Bretagna è consuetudine lasciare una mancia a chi svolge lavori manuali, come i facchini, i camerieri, il personale degli hotel, ma solo se hanno svolto un lavoro soddisfacente. In Russia, invece, non si lasciano extra, vale a Mosca come nel resto del Paese. L’unica eccezione riguarda le strutture alberghiere, dove è consuetudine pagare i facchini per ogni servizio.
Anche in Sudamerica è buona prassi lasciare la mancia, soprattutto nei ristoranti dove il servizio non è incluso nel conto. In Brasile, per esempio, è praticamente un obbligo morale, vista la povertà in cui versa la maggior parte della popolazione. È una pratica diffusissima lasciare un extra anche ai parcheggiatori, benzinai, barbieri e lustrascarpe.
Nei paesi mediorientali le mance rappresentano la vera fonte di guadagno perché gli stipendi non sono sufficienti per sopravvivere. Un discorso che vale anche per Israele, dove i redditi medi sono alti ma il personale di alberghi e ristoranti è per la gran parte di etnia araba e percepisce un salario molto basso. In Medio Oriente è consigliato lasciare sempre un extra anche perché, se autisti o tassisti si accorgono di avere dei clienti col braccino corto, forniranno un servizio più che scadente, magari trovando ostacoli insormontabili per trasportarvi nel luogo desiderato. Qualche euro in più a volte può aprire porte inimmaginabili. Se in Giappone è considerata quasi un’offesa lasciare un extra, in Turchia, invece, è esattamente l’opposto. Chi non dà la mancia è malvisto ed è ritenuto maleducato. Qui la parsimonia non è assolutamente considerata una virtù.
Energia. Risorse convenzionali a rischio, lo shale da solo non basta
Ai minimi storici le scoperte di petrolio e gas
Nel 2017 sostituito appena un barile su dieci
Quest’anno è stato trovato poco petrolio: al netto di shale oil e simili, sono stati ritrovati appena 6,7 miliardi di barili, stima Rystad Energy, ossia una media di 555 milioni di barili al mese tra greggio e gas, contro 645 mb al mese nel 2016 – già considerato un anno di magra – e circa 1,3 miliardi, sempre su base mensile, nei tre anni precedenti.
«Non avevamo mai visto niente di simile dagli anni ’40», commenta Sonia Mladà Passos, senior analyst della società di consulenza norvegese. «La cosa più preoccupante è il fatto che nell’anno in corso il reserve replacement ratio (il rapporto tra scoperte e produzione di idrocarburi, Ndr) ha raggiunto appena l’11% contro più del 50% nel 2012».
Negli ultimi mesi si registrano anche scoperte importanti, sottolinea Rystad, come quelle di ExxonMobil in Guyana (Payara, Turbot e Snoek) e di Kosmos Energy in Senegal (Yakaar). Altra frontiera importante è il Messico, che ha festeggiato la riapertura agli investitori stranieri con importanti successi esplorativi: Zama, Ixachi e altri campi minori aggiungono 1 mliardo di barili alle risorse recuperabili.
In generale la taglia media delle scoperte si è comunque ridotta: nell’offshore è scesa a circa 100 mb, dai 150 mb del 2012. Un problema ulteriore, spiega Passos, perché potrebbe scoraggiare le decisioni di investimento: «Nel nostro scenario base di prezzi, stimiamo che oltre un miliardo di barili scoperti durante il 2017 potrebbero non essere mai sviluppati» [Bellomo, Sole 22/12]
Francia. Il presidente, in forte recupero di popolarità, introdurrà anche una prima forma di cogestione nelle imprese
Macron vuole ridisegnare lo Stato
Nuovo sistema elettorale, riforma dell’apprendistato e dei sussidi le priorità del 2018
Gradimento per Macron in Francia: 52% (dal 30% di ottobre). Sue idee: una certa cogestione delle imprese, limiti di velocità a 80 all’ora, irrigidimento nella politica degli immigrati, riforma dello Stato, Costituzione compresa. Macron vorrebbe ridurre il numero dei parlamentari, limitare a tre i mandati consecutivi di tutte le funzioni elettive, introdurre una correzione proporzionale al sistema elettorale (un maggioritario doppio turno), riformare il Consiglio superiore della magistratura e abolire la Corte di giustizia della Repubblica, che giudica i crimini compiuti dai ministri. Problemi a destra con la componente Les Républicains. Il nuovo presidente del partito Laurent Wauquiez, 42 anni, sta costruendo la propria figura di leader anti-Macron adottando posizioni decisamente radicali, invise anche alle correnti più moderate del suo partito, nel tentativo di catturare gli elettori delusi del Front National (verso il quale Wauquiez non mostra, come tutta la destra francese, alcuna condiscendenza). Riccardo Sorrentino Sole 22/12
Commissione banche. L’ex ministro dell’Economia difende la scelta del Mef sulla mancata impugnazione dei contratti
«Derivati Tesoro, con lo stop rischio default»
Grilli in audizione: «Una causa a Morgan Stanley? Non avremmo più ripagato il debito»
roma
Fratus, Sta 22/12
Sacks, cinquant’anni passati sul lettino
VITTORIO LINGIARDI
Quanto dovrebbe durare una terapia psicoanalitica?
Nessuno può dirlo, troppe variabili in gioco e ancora pochi studi empirici. Ma se cercate una risposta non prendete esempio da quella di Oliver Sacks. Che è durata cinquant’anni. Davvero, mezzo secolo! A New York, due volte alla settimana, con Leonard Shengold, psicoanalista freudiano specializzato in traumi infantili.
L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello era dedicato a lui, ma pochi avevano fatto caso alla dedica. Di Sacks credevo di conoscere tutto o quasi: le felci, i metalli, i risvegli – ma che avesse trascorso più di metà della vita in analisi, continuativamente e senza mai cambiare analista, proprio non lo sapevo. L’ho appreso leggendo il manoscritto di un bel libro che uscirà negli Stati Uniti nel maggio 2018. L’ha scritto Elliot Jurist, professore alla City University of New York (CUNY), e s’intitola Minding Emotions (Guilford Press).
Un titolo che potremmo tradurre con “Tenere in mente le emozioni”. Un capitolo intero è dedicato all’analisi di Sacks con Shengold. Il quale, per iniziare, era il 1966, gli pose alcune condizioni, tra cui l’interruzione dell’uso di anfetamine («Il consumo di droghe la colloca fuori dalla portata dell’analisi»).
A quel tempo Sacks era a pezzi: traumatizzato dal ricordo dei bombardamenti e delle punizioni corporali in collegio; angosciato dalla schizofrenia del fratello; ancora sanguinante per le parole della madre quando le confidò la sua omosessualità («Sei abominevole. Vorrei che non fossi mai nato»); bloccato nella vita affettiva e sessuale; ipocondriaco, fobico e dipendente, oltre che dalle anfetamine, anche dal body bulding. L’analisi inizia con un dialogo bellissimo: «Pensando a Michael, il mio fratello schizofrenico, chiesi a Shengold se anch’io lo fossi. “No” rispose lui. Allora, domandai, ero “solo nevrotico?”. “No” rispose.
Lasciai cadere lì la cosa, la lasciammo cadere entrambi, e là è rimasta per gli ultimi 49 anni».
Sacks è stato uno di quei tipici scienziati in analisi (ne conosco alcuni) che, pur non apprezzandone scientificamente l’impianto teorico, sono felici dei risultati che porta. Era la relazione a curarlo, e lo sapeva. Per tutta l’analisi i due hanno mantenuto un rapporto formale, chiamandosi sempre Dr. Sacks e Dr. Shengold.
Jurist racconta che, in una corrispondenza privata, Shengold gli ha confessato che la prima volta che lo chiamò Oliver fu il giorno prima che morisse. «Soprattutto, il dottor Shengold mi ha insegnato a prestare attenzione, ascoltare ciò che sta al di là della coscienza o delle parole».
È questa una delle chiavi di lettura che Jurist applica alla sua indagine, dove mette a confronto i due libri autobiografici, così diversi tra loro, scritti da Sacks.
Nel primo, Zio Tungsteno, dall’infanzia all’adolescenza, appare più coartato e incerto. In movimento, dall’età adulta a quella anziana, procede invece, come dice il titolo, più spedito, sincero e pieno di passione. Il passato non era più un ostacolo. Diventa una storia, un racconto che, se lo racconti a qualcuno, ti cura. In Zio Tungsteno si presenta come uno science nerd traumatizzato, in In movimento come un emigrante dall’anima avventurosa e ferita, amante delle motociclette, preso dal suo futuro di medico e scrittore, capace, verso la fine, di fare coming out e trovare un amore ricambiato.
«Nel bene e nel male», scrive, «io sono un narratore di storie. Ho il sospetto che un’inclinazione per la narrazione sia una disposizione umana universale, che va di pari passo con le nostre facoltà di linguaggio, con la coscienza di sé e con la memoria autobiografica». Ed è proprio questo tipo di memoria, su cui insiste spesso anche Damasio, l’espressione che per Jurist dà significato al lavoro analitico. Lo definirei un viaggio che, mostrandoci il passato, ci trasporta verso il futuro senza toglierci dal presente.
Dunque, quanto deve durare un’analisi? Esiste una sua conclusione “naturale”?
È vero che quella analitica è l’unica relazione intima che quando nasce contiene non già il seme della sua conclusione (questa è la vita), ma la scelta della sua fine?
Il problema della durata, dicevamo, dipende da molte variabili: le esigenze; la storia, la personalità (e le condizioni economiche!) del paziente; la prevalenza della dimensione terapeutica (sintomo e cura, ma anche tenuta nel tempo della “guarigione”) o di quella esistenziale (conoscersi, fidarsi, raccontarsi); lo stato della mente con cui analista e persona in analisi si mettono al lavoro.
E naturalmente la decisione condivisa di smettere di incontrarsi.
Al tempo di Freud le analisi erano brevissime, ma il tema s’impose presto. Tanto che Freud, ormai ottantenne, intitola Analisi terminabile e interminabile uno dei suoi lavori più profondi. Forse Sacks e Shengold ci avevano preso gusto, ma certi percorsi analitici, se vogliamo leggerli nel paesaggio, assomigliano più a una lunga traversata che a una svelta crociera.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il neurologo autore di bestseller come “Risvegli” fu paziente per mezzo secolo dello psicoanalista Leonard Shengold Lo racconta un saggio che uscirà negli Stati Uniti la prossima primavera
Quando, nel 1966, iniziò il suo percorso, era a pezzi, bloccato nella sua vita affettiva e sessuale, ipocondriaco e dipendente dalle anfetamine
Il problema della durata di un’analisi dipende da molti fattori: esigenze, storia, personalità, ma anche condizioni economiche di chi la fa
Rep 22/12
Milano rallenta la corsa dei tram “ Mettono a rischio l’Ultima cena”
luca de vito,
Le vibrazioni dei mezzi pubblici danneggiano il capolavoro. Perciò anche la fermata dei bus per turisti sarà spostata. Allo studio altre misure
Di che cosa stiamo parlando
Realizzato da Leonardo Da Vinci nel XV secolo, il Cenacolo è considerato uno dei massimi capolavori del Rinascimento e si trova nel convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Per la particolare tecnica usata da Leonardo, il dipinto è fragile e la sua conservazione complessa. L’ultimo restauro, durato 22 anni, è quello di Pinin Brambilla Barcilon.
milano
Tram più lenti e bus turistici allontanati. Per proteggere l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, serve anche questo. Il Comune di Milano, su richiesta della direzione del Cenacolo, ha deciso di far diminuire la velocità dei tram 16 e 19 nei cento metri di corso Magenta che costeggiano il convento di Santa Maria delle Grazie. Una riduzione a 15 chilometri all’ora per limitare l’impatto: ogni volta che i mezzi pesanti passano e si fermano vicino all’edificio, infatti, arrivano delle vibrazioni anche sulla parete del delicato capolavoro leonardesco. Una sollecitazione costante che a lungo andare potrebbe risultare rischiosa, visto che l’opera del XV secolo si trova su un’antica parete conservata nell’ex-refettorio rinascimentale del convento su cui sono già stati fatti interventi per garantirne la stabilità.
Ad accorgersi di queste vibrazioni è stato il gruppo di ricerca che lavora quotidianamente per preservare il dipinto, guidato dalla direttrice del museo Chiara Rostagno: dotati di un sistema di monitoraggio strutturale statico all’avanguardia, gli studiosi hanno modo di osservare in tempo reale quello che accade sulla parete. Proprio questi strumenti hanno rilevato che il traffico all’esterno fa registrare maggiori vibrazioni quando sul corso passano mezzi pesanti, ovvero tram e bus turistici. Da qui la decisione di far rallentare i mezzi sui binari già da prima, quando si trovano all’incrocio con via Caradosso, e farli quindi arrivare a velocità ridotta alla fermata. Si è scelto poi di cambiare il punto di arrivo dei mezzi a due piani con i turisti che scenderanno dall’altra parte, tra via Caradosso e piazza Virgilio: un’operazione che toglierebbe il passaggio quotidiano di sessanta bus e ridurebbe ancora il fenomeno. «Abbiamo ringraziato la direzione del Cenacolo per averci avvisato e per la serietà che stanno dimostrando— dice Marco Granelli assessore comunale ai trasporti — per una volta si riesce a intervenire prima che i problemi si verifichino. Insieme al Sindaco abbiamo dato piena disponibilità per fare tutto ciò che è necessario».
Se questi primi interventi non dovessero essere sufficienti a ridurre le vibrazioni, l’ipotesi è quello di coinvolgere anche l’azienda di trasporti, l’Atm, e cominciare a pensare a delle misure strutturali. Da gennaio si costituirà un comitato di studio che farà le prime valutazioni: in futuro potrebbe essere necessaria la modifica delle rotaie del tram, oppure la creazione di un diaframma di gomma sotto il livello stradale che possa assorbire subito le vibrazioni in arrivo dalle ruote.
L e misure partono oggi e rientrano in un progetto generale di “difesa” del dipinto avviato da qualche anno per riunire le conoscenze scientifiche più avanzate in tutti i settori che interessano il Cenacolo. Il primo nemico dell’Ultima Cena, oggi, sono le polveri sottili che arrivano dentro il refettorio trasportate dai visitatori: è già presente un sistema di filtraggio che “ripulisce” chi entra e riduce di molto la quota di pm10 nella sala, presto ne arriverà un secondo (cofinanziato con la sponsorizzazione di Eataly) che renderà l’aria ancora più pulita e consentirà di aumentare il numero di visitatori. Ogni giorno, poi, i ricercatori dell’Università Bicocca, guidati dal professor Ezio Bolzacchini, monitorano la qualità dell’aria all’interno del refettorio. Uno sforzo conservativo che non ha eguali nel mondo, assicurano gli esperti. Ma necessario per garantire un futuro a tanta fragile bellezza. [De Vito, Rep 22/12].
N on è il racconto di un ennesimo caso di molestie sessuali, ma quello del disfacimento di un sogno. «Un potentissimo produttore americano, di cui non rivelerò il nome neanche sotto tortura - dice Alessio Boni - venne a Roma, all’Accademia d’Arte drammatica dove stavo studiando da attore per farci fare dei provini. Non si trattava semplicemente del possibile ingaggio per un ruolo cinematografico, era molto di più: questo signore cercava un giovane attore, che conoscesse l’inglese ma mantenesse l’accento italiano, per creare una nuova star hollywoodiana». Una sorta di redivivo Rodolfo Valentino? «In un certo senso sì. Ebbene, fui scelto io e quindi venni convocato a Los Angeles. Ricordo che preparai grandi valigie con tutto l’occorrente e, quando partii, salutai i miei genitori e poi gli amici, i colleghi per un viaggio senza ritorno, ero infatti convinto che sarei rimasto molto a lungo negli Stati Uniti, era la mia grande occasione, la svolta tanto agognata... pensavo che la mia vita sarebbe definitivamente cambiata». Invece? «Mi sistemai in hotel e, per una settimana, aspettai la chiamata del produttore, che sapevo sposato con figli: ero sereno, mi guardavo intorno felice, ammirato, pieno di energie positive... E finalmente arriva il giorno fatidico dell’incontro nel suo studio: lui mi propina un bel discorso, mi fa credere che avrebbe fatto di me un astro del cinema, ma... c’era una contropartita... e il produttore prese il via con evidenti avances sessuali. Mi ritrassi, lo salutai e chiusi dietro di me, per sempre, quella porta. Quindi me ne tornai, con le pive nel sacco, a casa. Le molestie? Certo, esistono, ma basta saper dire di no. Io non mi sono mai piegato ai compromessi di nessun genere per lavorare con questo o con quel regista, figuriamoci se potevo accettare la proposta erotica di quel signore, ho troppo rispetto di me stesso, è una questione di dignità, che mi ha sempre accompagnato nella mia strada professionale».
Di strada Alessio ne ha fatta parecchia, da quando ragazzo lavorava come piastrellista nell’azienda di famiglia a Villongo (Bergamo): «Non puoi scegliere dove nascere e nemmeno a quale ceto sociale appartenere. Io nasco in una famiglia proletaria, tutti piastrellisti, gente semplice ma sana che si è sempre voluta bene. Frequentavo ragioneria, corsi serali, ma non mi piacevano né il mestiere che facevo la mattina, né le materie che studiavo la sera. Volevo evadere: sin da ragazzetto, sulla mia Vespa andavo a bordo lago, quello d’Iseo, parlavo con lui, gli rivelavo i miei pensieri, i sogni, i desideri, sperando che mi rispondesse, che mi comunicasse qualche suggestione, qualche indicazione per il futuro».
Un Serpico mancato
E per evadere, entra nella Polizia di Stato: «Pensavo di diventare una specie di Serpico, ma ho ben presto capito che non faceva per me, castrava il mio anelito di libertà: troppe regole, rigide gerarchie... non mi sentivo a mio agio. Ho resistito per circa un anno e mezzo, poi sono scappato di nuovo e ho cominciato a fare tutti i lavori possibili anche all’estero, soprattutto in America, perché volevo imparare l’inglese, sentivo che era importante, anche se non pensavo ancora di intraprendere la carriera teatrale. Era un’utopia! Se avessi detto alla gente del mio paese che avrei voluto fare all’attore mi avrebbero riso in faccia».
Tanti i mestieri che ha sperimentato: «Ho fatto anche il cameriere per mantenermi, con determinazione e umiltà e senza vergognarmi, non avevo paura di niente, mi sentivo libero, proprio perché venivo da una famiglia di proletari, non avevo piedistalli sotto di me, mio padre mi ripeteva spesso “ricordati che qualunque lavoro onesto è all’altezza dell’essere umano, devi vergognarti solo se fai il ladro”». Ha fatto anche l’animatore turistico: «E fu lì che cominciai a produrmi in qualche spettacolino — ricorda —. Ero totalmente avulso dal mondo artistico, ma il capo animatore del villaggio diceva che avevo delle doti e mi propose di intrattenere gli ospiti: certo non recitavo Amleto, ma robette banali, leggere, però mi piaceva tanto anche dedicarmi alle prove per la migliore riuscita delle mini-performance».
L’animatore
Ma come nasce la passione per il palcoscenico? «Fu un caso. Mi trovavo a Roma e un amico una sera mi porta al Teatro Sistina. Assisto alla “Gatta Cenerentola” con il mitico Beppe Barra, mi arriva una vibrazione, mi si scoperchia la testa, seguo istintivamente un richiamo interiore. Decido: voglio fare l’attore. Comincio a frequentare la scuola di Alessandro Fersen, comincio a fare recitazione, a educare la voce, la mimica, la gestualità...». E finalmente la svolta: «Mi preparo per l’esame di ammissione all’Accademia d’Arte drammatica Silvio d’Amico: supero l’esame, mi prendono. Un’iniezione di fiducia incredibile, il mio orgoglio alle stelle, ma sempre con i piedi per terra, perché sapevo cosa significasse guadagnarsi da vivere». Inizia l’avventura con grandi maestri: «Orazio Costa è stato un faro, il suo anche un insegnamento di vita. Amava dire a noi giovani “apprendisti”: la cosa più importante è essere prima di tutto persone. Quindi esercitarsi nei confronti della vita, saper controllare la propria natura, le reazioni umane, per diventare non uno di successo, ma una persona di valore».
Il grande salto
Il salto professionale arriva con Giorgio Strehler: «Mi scelse nel ruolo del giovane Cleante nell’ “Avaro” di Molière accanto a Paolo Villaggio. Non era solo un grande regista, ma un maestro istrionico, capace di rotolare sul palcoscenico per spiegarti come dovevi affrontare una determinata scena». E il terzo incontro fondamentale arriva nel cinema: «Con Marco Tullio Giordana ne “La meglio gioventù” mi vengono aperti canali incredibili: dovevo imparare a recitare in maniera diversa, perché nel cinema devi lavorare a sottrarre nella mimica, tutto il contrario del teatro». Il personaggio che piacerebbe a Boni interpretare? «Un transgender». Perché? «È una persona nata in un corpo che fa di tutto per cambiare profondamente, un corpo che non accetta e quindi per anni si sottopone a interventi: è una condizione distantissima da me, per questo mi attira».
La vita privata? «Sono fidanzato da due anni con una giornalista, Nina, come la Caravella di Colombo. Lei vive a Milano, io a Roma, la distanza non è un problema, se il sentimento c’è. Però ci incontriamo a metà strada in un casale che ho in Toscana, in Val di Chiana, dove respiriamo in sintonia con la natura» [Alessio Boni a Emilia Costantini, CdS 22/11]
Mondo
I nomadi della cultura
Librerie da record (come in Cina), un museo sulla Bibbia
(a Washington), un centro culturale con piazza sull’acqua (a Santander): i Paesi e le città investono sulla conquista
di una nuova frontiera, il sapere
Fabrizio Guglielmini
Oltre ad essere un investimento ad alto ritorno d’immagine, molte metropoli globali hanno ben chiaro che la cultura può essere un ottimo business a condizione di costruire «contenitori» firmati da archistar con una filosofia multifunzionale, dove musei e teatri convivono con sale da concerti e spazi pubblici. Una ricetta seguita negli ultimi anni a Washington, Abu Dhabi, Atene, Santander e Tientsin, quarta città della Cina con oltre 15 milioni di abitanti, accomunate da budget kolossal per luoghi rivolti, nella maggior parte dei casi, a un pubblico internazionale. A cominciare dalla grandeur del nuovo Louvre di Abu Dhabi costruito sull’isola di Sa’diyyat, trasformata nel polo culturale della capitale degli Emirati con un investimento da 27 miliardi di dollari ( vedi articolo nella pagina a fianco ). Per quanto riguarda la storia senza fine del Guggenheim Abu Dhabi, l’ex direttore della Guggenheim Foundation, Thomas Krens ha dichiarato all’agenzia «Art Agency Partners»: «Il museo disegnato da Frank Gehry avrebbe dovuto aprire 5 anni fa, ma credo che i ritardi siano dovuti a una serie di fattori e soprattutto al differente clima politico internazionale rispetto ai tempi dell’accordo, risalente al 2006». Ma gli attuali vertici della Guggenheim sull’«Art Newspaper» hanno rilanciato con ottimismo: «I curatori a New York e Abu Dhabi stanno ampliando la collezione per il museo in vista della futura apertura». Nel frattempo lo studio parigino Moreau Kusunoki curerà la costruzione del nuovo Guggenheim a Helsinki con inaugurazione entro il 2o20.
La Bibbia ha il suo museo negli Usa
Il fondatore e finanziatore del Museo della Bibbia di Washington è Steve Green, titolare di una rete commerciale di oggettistica con 32mila dipendenti, in grado di investire 500 milioni di dollari dall’ideazione all’apertura di poche settimane fa. Il museo fa massiccio uso di tecnologie digitali per coinvolgere il visitatore, fin dai primi passi dopo l’ingresso, in un percorso ragionato di proiezioni (anche sui soffitti), mostre multimediali e collezioni permanenti dedicate alla Bibbia avvalendosi di curatori ed esperti di religione ebraica e di confessione protestante e cattolica. Il nuovo centro espositivo dovrà reggere il confronto con i musei del Mall fra cui la National Gallery of Arts e National Air and Space Museum. Della collezioni fanno parte, fra gli altri reperti, la prima Bibbia stampata in America e una ricca collezione dei Rotoli del Mar Morto ( www.museumofthebible.org ).
Cina, libreria kolossal
La libreria Tianjin Binhai (nella città cinese di Tientsin -Tianjin www.mvrdv.nl ed ente turismo, in inglese, en.tjtour.cn) progettata dallo studio olandese Mvrdv è già un successo a due mesi dall‘apertura con una media di 10mila visitatori al giorno. Su 33mila metri quadrati si sviluppano scenografiche scaffalature e altri spazi culturali. Soprannominata «The Eye» per l’enorme sfera che domina la hall curvilinea e che simboleggia l’occhio come strumento di conoscenza: «So perché ho visto» secondo la saggezza greca. Unico inciampo: i libri nella hall sono per la maggior parte finti.
Vivere la Lego House
La Lego House firmata dallo studio Bjarke a Billund ( Ole Kirks Plads 1 www.legohouse.com ) si trova nella stessa cittadina dove ha sede il quartier generale della Lego. E’ un’opera in cemento armato che sembra costruita con i mattoncini di uno dei giochi più famosi del mondo. Alla Lego la definiscono una «casa esperienziale» su 12mila metri quadrati che ospita dinosauri, giardini e palazzi tutti costruiti con i «Lego bricks».
L’«esordio» di Renzo Piano in Spagna
Inaugurato lo scorso giugno il Centro Botín de las Artes y la Cultura di Santander è il primo edificio costruito da Renzo Piano in Spagna: si articola su due volumi principali affacciati sulla baia della città, lungo il molo di Albareda. Con una piazza pubblica sospesa sull’acqua, il Botín comprende un auditorium, diverse gallerie d’arte e un ristorale gestito dallo chef 2 stelle Michelin Jesús Sánchez, oltre a un anfiteatro da 2.000 posti (Santander, calle Muelle de Calderòn 8, centrobotin.org ).
Gli Etruschi a Milano
Fra i nuovi progetti culturali di Milano ha un ruolo di primo piano il nuovo museo dell’arte etrusca che aprirà i battenti nella prima metà del 2019: lo storico Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro ospiterà circa 3.000 pezzi per iniziativa della Fondazione Rovati. Per la sua progettazione, l’architetto Mario Cucinella si è ispirato alle tombe etrusche di Cerveteri. [Guglielmini, CdS 22/11].
Inizio modulo
Fine modulo
1 “Sono tutti matti”. Il titolo è mio. Uno dei miei figli, da piccolo era molto pigro, prese il latte materno fino a 14 mesi, pareva che non volesse comunicare, incominciò a parlare molto tardi (in realtà, tutti i Ruggeri, io in particolare, ebbero sempre una pubertà tarda), malgrado gli sforzi non si schiodava da “mamma”, “pappa”, “papà”. Un giorno, mancava poco all’asilo, si sbloccò e disse: “Sono tutti matti”. Felicità e imbarazzo. Cosa avrà voluto dire? Non l’abbiamo mai scoperto.
Mi è tornato alla mente dopo aver letto i commenti di alcune delle più belle teste politiche del paese alle dichiarazioni di Federico Ghizzoni sulla vicenda Boschi-Unicredit-Etruria. Purtroppo non ho ascoltato in diretta le parole di Ghizzoni, stavo tornando in Italia per il Natale (accendere le luci del presepio del 1934, bollito di Bue grasso di Carrù, bagnet verd, Barbera d’Asti) però ho letto i tweet (definitivi) di Taradash, Riotta, Chicco Testa, Stefano Feltri e dello stesso De Bortoli, oltre al testo riportato da List di Mario Sechi che analizzano costruzione della frase, verbi usati, aggettivi scelti. Posso dirlo? Sembriamo tutti matti. Parliamo del nulla, fingiamo di vivere in un mondo che non esiste. Casi come questo sono molto frequenti, e lo sono da sempre. Siamo in quella terra di mezzo, quindi di nessuno, fra il business e la politica, ove si consumano ovvietà e sconcezze.
Un ricordo personale. Anni Ottanta, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio mi convoca a Roma, mi chiese, usando parole simili a quelle di Maria Elena Boschi, se potevo essere interessato a un’azienda di …, se non l’azienda almeno il personale (“è nel mio collegio elettorale”, sorrise). Gli risposi che conoscevo i problemi di quell’azienda e che avrei incaricato i miei tecnici di studiare l’opzione. Di colpo, la grande cordialità e simpatia dalle quali, per mezz’ora, ero stato avvolto, cessò. Dicendo che l’avrei fatta studiare dalla struttura avevo, in automatico, risposto no. Sono passati oltre trent’anni, ma in quella terra di mezzo fra business e politica nulla è cambiato, neppure l’ipocrisia di noi della stampa. Siamo ancora a sofisticare fra “interessarsi” e “premere”. Eppure nel mondo del sesso l’abbiamo già linguisticamente risolto: è sesso sia il petting che la penetrazione. Weinstein docet.
2 “Troppi selfie? Il disagio diventa serio”. Scienziati indiani sono arrivati alla conclusione che il bisogno ossessivo di postare selfie è un vero e proprio disturbo mentale. Tre tipologie di disturbo: a) cronica, quando il bisogno dura 24 ore su 24 e i selfie vengono postati più di sei volte al giorno; b) borderline, se ne scattano almeno tre volte al giorno ma senza necessariamente postarli; c) acuta, se si fanno molti selfie e poi se tutti vengono effettivamente postati. In conclusione mi chiedo: sono più idioti quelli che i sefie se li fanno, quelli che li postano, gli scienziati che li studiano, io che considero questa una notizia, voi che la leggete?
4 “Auguri di Natale scritti a mano da un robot”. Il direttore marketing della Tipografia Űrlimann di Zurigo ha lanciato un nuovo prodotto, un robot di scrittura, chiamato Sophia che scrive biglietti e relative buste, in modo così perfetto che paiono scritte a mano, sia in versione stilografica che biro. Perché questo entusiasmo? Pare che con Sophie “si crei un canale emotivo che esalta l’individualità del messaggio”. Fortunato questo mitico consumatore finale, sempre al centro del mondo.
Trasporti pubblici. A Milano investimento da un miliardo di euro
La svolta dell’Atm, in circolazione solo autobus elettrici
Diesel bandito dalla flotta: previsti 1.200 mezzi a emissioni zero
milano
La lotta allo smog e alle polveri sottili parte dal rinnovamento dei mezzi pubblici. Ne è assolutamente convinto Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che in veste di azionista dell’Atm, l’azienda milanese dei trasporti pubblici controllata dal Comune (socio unico), ha annunciato ieri l’estinzione del diesel dalla flotta dell’Atm e il passaggio integrale all’elettrico nel giro dei prossimi 12 anni.
In sintesi: dal 2020 Atm comincerà ad acquistare solo ed esclusivamente mezzi elettrici, anticipando di cinque anni gli impegni presi dal sindaco al vertice Together 4 Climate del network C40 Cities, che prevede l’acquisto solo di autobus a zero emissioni a partire dal 2025. Alla fine del 2030, il diesel scomparirà dalla flotta dell’Atm, che sarà composta da 1.200 bus elettrici. A quel punto l’intera flotta di Atm sarà elettrica, anche quella che servirà le periferie e la città metropolitana. Inoltre, tutti i depositi dell’Atm che oggi gestiscono la flotta diesel saranno riconvertiti e verranno costruite ex novo tre strutture. Per il 2030, i mezzi Atm consumeranno 30 milioni di litri l’anno in meno di gasolio e la produzione di CO2 si ridurrà di quasi 75mila tonnellate l’anno. Un contributo importante per rendere più respirabile l’aria di Milano. Un primo passo concreto è già stato fatto da Atm con l’acquisto di 25 bus elettrici che circoleranno per le strade di Milano a cominciare dal prossimo febbraio. Ve precisato che il 70% del servizio Atm è già effettuato con veicoli a trazione elettrica: treni della metropolitana, tram, filobus, autobus elettrici e a idrogeno. Ora si procederà con il completo rinnovamento della flotta di superficie alimentata a gasolio.
E veniamo al piano finanziario, illustrato da Luca Bianchi e Arrigo Giana, rispettivamente presidente e direttore generale di Atm. Lo scorso 13 dicembre, il consiglio di amministrazione di Atm ha adottato le nuove linee guida sul piano a lungo termine degli investimenti dell’azienda, per un totale di oltre due miliardi di euro, di cui il 50% per l’acquisto dei soli autobus elettrici e l’altro miliardo per l’acquisto di treni, filobus e tram. I top manager dell’azienda indicano tre forme di finanziamento per sostenere la transizione verso l’elettrico: 1) autofinanziamento (Atm è una società che genera un flusso di cassa tra i 150-180 milioni l’anno); 2) ricorso al mercato dei capitali (ne è un esempio il bond da 70 milioni emesso da Atm lo scorso 3 agosto e quotato alla Borsa irlandese); 3) contributi pubblici ricompresi nel piano da 10 miliardi di euro annunciato nei giorni scorso dal ministro Graziano Delrio per il rinnovo dei mezzi pubblici in Italia e a favore della sostenibilità ambientale. «Nella seconda metà del 2018 - puntualizza Giana - partiremo con la gara per i primi 100 bus elettrici».
Al bando di Atm guarderanno con sicuro interesse tutti i costruttori mondiali di bus elettrici. In Italia le imprese interessate potrebbero essere due: Iveco e Industria italiana autobus (Iia). Attualmente Iia occupa 488 dipendenti e dispone di tre sedi e due siti produttivi: lo storico stabilimento bolognese di via San Donato 190, sede amministrativa e operativa dell’azienda, lo stabilimento di Flumeri in provincia di Avellino (ex Irisbus), attualmente in fase di ristrutturazione e una piccola sede operativa a Fiano Romano.
«La svolta elettrica dell’Atm - commenta il sindaco Sala - rappresenta un passo di straordinaria importanza e discontinuità. Anche in questo ambito la città di Milano si conferma essere un esempio». Infine, assicura il sindaco, «entro il mese di gennaio» verrà presa una decisione in vista dello scadere della proroga sul contratto di servizio di Atm. Il tema è quella della messa a gara del servizio del trasporto pubblico. «Dovremo trovare una soluzione che tenga conto degli interessi dei milanesi, dell’efficienza del servizio e della tutela del valore di Atm» dice Sala.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Morino
Sole 21/12
In periferia l’emergenza è il cibo
milano
Un progetto pilota per la rigenerazione urbana che parte dalla periferia di Milano per essere portato – se si dimostrerà efficace – in altre città. Dopo oltre un anno dedicato a individuare le strutture adatte e mappare le esigenze dei quartieri interessati, il progetto LaCittàIntorno promosso da Fondazione Cariplo in collaborazione con il Comune di Milano è pronto a passare dalla fase «hard», legata all’aspetto infrastrutturale e immobiliare, alla fase «software», dedicata alle attività di coesione sociale, come spiega la responsabile del programma, Chiara Bartolozzi.
Il progetto, che vede la Fondazione impegnata con un finanziamento di dieci milioni in tre anni, si integra del resto con uno degli obiettivi prioritari della giunta Sala, la riqualificazione appunto delle periferie. Lunedì il Comune ha siglato con il Governo una convenzione per lo stanziamento di 18 milioni per il quartiere Adriano.
LaCittàIntorno ha individuato nel cibo il tema attorno cui si svilupperanno le iniziative: cibo inteso come simbolo per eccellenza della condivisione e della coesione sociale, dell’interculturalità e della creatività, ma anche come strumento di percorsi formativi e potenziali sbocchi professionali.
Si parte dai quartieri Adriano/via Padova e Corvetto/Chiaravalle. Nel primo caso è già stato individuato e ristrutturato l’edificio di proprietà del Comune che diventerà il primo Community Food Hub cittadino, un luogo destinato a ospitare servizi, attività culturali, aggregative e formative. L’edificio, un ex asilo di circa 2mila mq, è in via di consegna. Con l’inizio del nuovo anno partirà anche il bando congiunto Fondazione Cariplo-Comune di Milano, rivolto a realtà del terzo settore per individuare i soggetti che gestiranno e animeranno i vari Community Food Hub. Le prime attività potrebbero partire nella primavera del 2019.
«Di pari passo stiamo portando avanti altre iniziative – aggiunge Bartolozzi –. È stata affidata al Politecnico di Milano una indagine su queste aree della città, allo scopo di far emergere criticità e risorse esistenti sul territorio: esigenze dei residenti, realtà imprenditoriali e non-profit che potrebbero essere coinvolte, gli spazi utilizzabili...». Concluso il lavoro sul quartiere Adriano, l’équipe del Polimi è ora al lavoro su Corvetto. Inoltre sono partite diverse attività di animazione, rivolte in particolare al mondo delle scuole e ai giovani.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gi.M.
Sole 21/12
Nei giorni scorsi, gli ultimi test di verifica sui pozzi sottomarini e sulle linee, oltre che sulla prima unità di trattamento del gas onshore, propedeutici all’avvio definitivo. Così ieri Eni ha acceso ufficialmente i motori di Zohr, il maxi-giacimento di gas scoperto nell’offshore egiziano, nel blocco di Shorouk, nell’agosto del 2015, il più grande mai rinvenuto nel paese e nel Mediterraneo. Ci sono voluti meno due anni e mezzo per far partire la produzione, un tempo record, dicono dalla società, per questo tipo di giacimento, e per centrare un «risultato storico», come lo ha definito il ceo Claudio Descalzi. Che sull’Africa ha sempre scommesso e finora si è rivelata un traino fondamentale per il business del Cane a sei zampe. Tanto che ieri il gruppo ha compiuto un passo avanti anche in Marocco firmando con la compagnia di Stato, Onhym, un accordo per acquisire nuovi permessi esplorativi nella licenza Tarfaya Offshore Shallow.
Zohr si prepara dunque a cambiare il futuro dell’energetico dell’Egitto, assicurando al paese l’autosufficienza visto che sarà in grado di coprire una consistente fetta del fabbisogno interno di gas per i prossimi decenni. Ma l’entrata a pieno regime del super giant sarà un processo graduale. Entro il 2019 saranno perforati 20 pozzi e, da qui ai prossimi mesi, si lavorerà al raggiungimento del picco di produzione, con un primo step intermedio a giugno quando l’asticella toccherà i 28 milioni di metri cubi al giorno per poi raggiungere, nel 2019, il punto massimo, con 80 milioni di metri cubi giornalieri. In soldoni, 30 miliardi di metri cubi annui che equivalgono a poco meno del gas che abbiamo importato dalla Russia l’anno scorso. Giusto qualche numero, insomma, per capire il “peso” del maxi-giacimento egiziano, il cui potenziale è stato fissato in oltre 850 miliardi di metri cubi di gas in posto. E, anche qui, un rapido confronto può forse tornare utile dal momento che quel volume corrisponde a 10-12 volte il consumo di gas della penisola registrato nel 2016 (71 miliardi di metri cubi).
Descalzi non ha nascosto perciò la soddisfazione per l’obiettivo appena conseguito. «L’avvio di Zohr - ha spiegato ieri - è frutto delle nostre competenze, della nostra capacità di innovazione tecnologica e della nostra tenacia nel perseguire gli obiettivi, anche quelli più complessi, e di questo dobbiamo essere molto orgogliosi. Questo progetto è stato reso possibile sfruttando al massimo le competenze e le capacità umane e infrastrutturali che offre il paese in termini di risorse locali. Questa scoperta trasformerà il panorama energetico dell’Egitto permettendo al paese di diventare autosufficiente e trasformarsi da importatore naturale in futuro esportatore».
Un esito comunque non scontato perché la storia di Zohr è lunga e dall’esordio non facile. Tutto è cominciato nel 2012 quando le 15 aree di ricerca del giacimento entrarono in gara. Fino a quel momento, però, l’attività sui pozzi dell’offshore mediterraneo non aveva riservato buoni risultati. Al punto che diverse società fecero un passo indietro, ma non l’Eni. E, dopo alcuni monitoraggi sul blocco 9 (quello di Shorouk appunto) dai risultati interessanti, il Cane a sei zampe decise di andare avanti e, nel febbraio 2013, Ieoc (la controllata egiziana) depositò un’offerta per quel blocco che le fu assegnato al 100 per cento. E che, di lì a poco, si sarebbe rivelato un vero Eldorado, in grado di attirare l’interesse di grandi gruppi, prima Bp e poi Rosneft che sono entrati nella concessione rilevando, rispettivamente, il 10 e il 30 per cento.
A conferma che la via intrapresa da Eni ha pagato. Zohr rientra, infatti, in quei 7 progetti del gruppo caratterizzati da sviluppo e messa in produzione in tempi rapidi con significativi ricadute sulla cassa. È l’approccio che va sotto il nome di «dual exploration model»: da un lato, si accrescono le riserve di idrocarburi con i successi esplorativi (e Zohr avrà una ripercussione immediata con 300 milioni di barili di olio equivalente di risorse certe da iscrivere subito a libro), e, dall’altro, si anticipa la monetizzazione cedendo quote di minoranza, come accaduto in Egitto con Bp e Rosneft, ma conservando il controllo e il ruolo di operatore. Con il risultato di accorciare i tempi di commercializzazione, ridurre i costi della messa in produzione e, come detto, accelerare l’incasso. In questo modo, dal 2014 al 2017, Eni ha già messo in cascina quasi 10 miliardi di dollari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Celestina Dominelli Sole 21/12
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
L’uomo che inventò il Natale ha fatto proprio un bel lavoro. Sono centosettantaquattro anni che il mondo occidentale festeggia qualcosa che non ha niente a che fare con il bue e l’asinello ma molto con quello spirito di Natale nato dalla novella di Charles Dickens, lo spirito che intenerisce il cuore dell’avaro Scrooge, gli toglie il sonno e lo rende finalmente umano.
The Christmas Carol, Il Canto di Natale, è uscito nel 1843 ed è stato una sorta di pietra miliare, il momento in cui in piena rivoluzione industriale, in una Londra dei bassifondi dove i poveri d’inverno morivano di freddo e di fame e si spezzavano la schiena in fabbriche malsane e senza orari, si riconosceva agli ultimi degli ultimi il diritto di stare a casa per un giorno per festeggiare con i propri cari.
Da centosettantaquattro anni lo spirito di Natale è vivo e lotta insieme a noi. Specialmente dopo il pranzo con i parenti, quando uno non vede l’ora di buttarsi sul divano e avvolgersi nelle copertina di Linus del classico film di Natale. E’ sempre lui, lo spirito di Natale, quello che in teoria ci dovrebbe rendere tutti più buoni. Ma anche i cattivi e i cinici, quelli che negano di esserne vittime, non sfuggono al famigerato fantasma di Dickens. E’ quella cosa un po’ sdolcinata e zuccherina per cui tutti si sentono in dovere di telefonare alla vecchia zia che non chiamano da dodici mesi e che spinge a far scivolare il cartoncino di auguri sotto la porta del vicino di casa con il quale si litiga per la spazzatura sul pianerottolo.
Dickens è il capostipite di tutte le icone che nutrono i nostri Natali. Colpa sua (o merito, a seconda di come uno la vede) se ogni anno le televisioni rispolverano il classico delle festività, possibilmente in bianco e nero e comunque di preferenza vintage. Filiazione diretta del cattivo Scrooge, meno classico ma forse addirittura più iconico è La vita è meravigliosa, il film dei buoni sentimenti per eccellenza. Il sempreverde di Frank Capra con James Stewart è uscito nel 1946 e secondo l’Enciclopedia britannica, grazie ai suoi immancabili passaggi televisivi, è diventato il «sinonimo di Natale». Ogni anno lo si riguarda, tutte le volte con la speranza che l’angelo arrivi in tempo a salvare l’aspirante suicida. E poi soddisfatti per il lieto fine possiamo addentare un’altra fetta di panettone. Ogni famiglia ha il suo rituale natalizio e come una sorta di lessico ginzburghiano si spazia da Mary Poppins e Mamma ho perso l’aereo, dove chi ha prole trema per le idee devastanti che la piccola peste può trasmettere ai propri figli. E poi i cartoni Disney, da La carica dei 101 a La spada nella roccia, o Polar Express, E.T., Miracolo sulla 34esima strada e La storia infinita.
Buoni sentimenti a gogò e occhi lucidi per i più teneri di cuore, per un giorno raggomitolati sotto la coperta dello spirito natalizio. E se qualcuno proprio non ce la fa, può sempre rifugiarsi in uno dei pochi classici di Natale politicamente scorretti, Babbo bastardo, dove una coppia di ladri specializzata nel derubare centri commerciali il giorno di Natale ogni anni si ripromette di smettere. Ma come si sa, di buoni propositi è lastricato l’inferno. E anche la vigilia di Natale.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Soffici, Sta 21/12
pag. 1 di 2
NAZIONALE - 21 dicembre 2017
CERCA
30/31 di 72
21/12/2017
SCIENZE
L ’ A L T R A P A G I N A
L’obiettivo della scienziata Usa è di invertire il cambiamento climatico puntando tutto su vegetali “mutanti”
Il personaggio
Joanne Chory
“Le mie superpiante salveranno l’ambiente”
GIULIANO ALUFFI,
ROMA
Il mondo salvato dai ceci. È questa la visione che ha permesso alla più autorevole scienziata delle piante, l’americana Joanne Chory, di vincere il Breakthrough Prize in Life Sciences, premio da 3 milioni di dollari fondato nel 2012 da big della Silicon Valley come Sergey Brin e Mark Zuckerberg. Per Chory, direttrice del laboratorio di biologia delle piante al Salk Institute di La Jolla (California), si tratta solo del più recente tra i tanti riconoscimenti avuti in 30 anni di carriera, nei quali ha rivoluzionato la genetica delle piante con l’idea di produrre mutanti, studiare quelli che mostrano “superpoteri” utili, e ricostruire all’indietro il processo molecolare con cui li hanno acquisiti. La sfida in cui Joanne Chory è impegnata è la più importante di tutte: invertire il cambiamento climatico puntando sulle piante.
Soltanto sulle piante, professoressa Chory?
«È utopistico pensare di ripulire l’atmosfera agendo solo sui nostri comportamenti. E la tecnologia, da sola, può poco: le soluzioni di geoingegneria ambientale sembrano non funzionare, e gli impianti che pompano CO 2 nel terreno sono inutili perché la CO 2
risale in superficie e nell’atmosfera. Il mondo sarà salvato, invece, dalle piante, che da milioni di anni tolgono CO 2 dall’aria con la fotosintesi: se solo riservassimo il 5% dei terreni coltivabili alle piante che stiamo studiando potremmo dimezzare l’impatto delle emissioni umane».
Come ci aiuterà la genetica delle piante?
«I combustibili fossili che oggi estraiamo e bruciamo sono antichissimi depositi di carbonio che erano al sicuro nel sottosuolo.
La mia idea è riportare quanto più carbonio possibile nel sottosuolo, con piante che immagazzinano in radici voluminose gran parte del carbonio assorbito dall’aria. Grazie a un polimero naturale, di cui oggi sappiamo molto ma non tutto, detto suberina».
Perché la suberina è preziosa per il pianeta?
«La suberina è sughero: atomi di carbonio imprigionati in una struttura stabilissima. Se una pianta, invece di trasformare quasi tutto il carbonio in zucchero, lo deposita nella suberina, quel carbonio non viene più rilasciato nell’atmosfera. La maggior parte delle piante, oggi, non ne produce tanta come le querce da sughero o certe piante acquatiche. Possiamo però ingegnerizzare le piante per aumentare fino a 20 volte la loro produzione di suberina nelle radici. L’ideale sono i legumi, perché non impoveriscono i terreni e hanno un alto contenuto proteico che ci permetterà allo stesso tempo di combattere fame e riscaldamento globale. La risposta a questi due grandi problemi prenderà la forma di un cece, o di una lenticchia».
Il Breakthrough Prize celebra il suo genio scientifico. Ci ricorda un suo momento “Eureka”?
«Il primo: non avevo una cattedra, alla ricerca disperata di idee nuove, pensai: “Magari possiamo trovare delle piante che non sanno di essere al buio, e crescono lo stesso”. Feci esperimenti con sostanze che producono mutazioni nel genoma.
Ciò che le piante fanno quando sono al buio è crescere come un germoglio che sale verso l’alto cercando luce e rimane senza foglie. Alcuni dei mei mutanti erano tozzi e verdi: producevano foglie e alcuni hanno anche provato a mettere fiori. Si comportavano proprio come se fossero esposti al sole. Una scoperta che ha tenuto il programma del mio laboratorio attivo per tutto questo tempo.
Perché – si è pensato – se mutando un solo gene fra 30.000 si può ottenere una simile magia, vale davvero la pena di continuare a investigare sulle piante mutanti per scoprire cos’altro si può fare. E si può fare tanto: per esempio, salvare il mondo». Aluffi, Rep 21/12
© RIPRODUZIONE RISERVATA
AGOSTINO IACURCI
FINO A QUI
La grande muraglia di alberi 7.600 km verdi contro il deserto
PIETRO DEL RE,
Dal nostro inviato
N’GUERMALAL ( SENEGAL) È terra morta quella che circonda l’orticello di Ahmed Diop, con qualche capra smagrita e un vento incandescente che tutto disidrata. «Qui non cresceva nulla dal 1973, ossia dai tempi della prima grande siccità», dice questo contadino di 62 anni che ha ricominciato a piantare carote e cipolle a N’Guermalal, nel nord del Senegal, in quel Sahel che era una volta una ricca regione agricola e che oggi, per via del surriscaldamento e dell’avanzare del Sahara, è diventato anche lui un infertile deserto. «Sono anni che da qui gli uomini scappano verso le città o verso l’eldorado dell’Occidente, ma con la “Grande muraglia verde” sta finalmente tornando la speranza».
Con questo simbolico epiteto Diop si riferisce al faraonico progetto promosso dall’Unione africana nel 2007 che prevede la creazione di una striscia boschiva lunga 7.600 chilometri e larga quindici, dalle coste atlantiche del Senegal a quelle dell’Oceano Indiano di Gibuti.
Una porzione di questo muro verde l’incrociamo a una decina di chilometri dal misero borghetto di Diop. Consiste in oasi di alberelli appena piantati, alti poco più di un metro. «Sono tanti boschetti di 500 ettari, al momento recintati di fil di ferro per proteggere le giovani piante dagli animali», spiega l’uomo.
Gli alberi non servono soltanto a fermare il vento riducendo l’erosione del suolo, ma anche a conservare l’umidità e a riempire i pozzi necessari all’agricoltura. In altre parole, questa lunga barriera vegetale potrebbe rivelarsi la soluzione migliore per arrestare la desertificazione dell’area sud-sahariana, rigenerandone il suolo e impedendo che la carestia funesti le sue popolazioni e le spinga a migrare.
Gli inizi non sono stati facili per gli undici Paesi firmatari del progetto ( Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Nigeria, Niger, Ciad, Sudan, Eritrea, Etiopia e Gibuti) per via delle enormi difficoltà logistiche, soprattutto nelle zone disabitate dov’è impossibile sorvegliare la crescita degli alberi. Avendone già piantati tredici milioni in una superficie di circa cinquantamila ettari, è proprio il Senegal la nazione che più ha contribuito alla sua realizzazione. « Sono ancora pochi rispetto agli ottocentomila previsti per il percorso senegalese, ma il tasso di riuscita del rimboscamento è del 75%, sarebbe a dire molto soddisfacente vista l’estrema siccità della zona » , dice Fatou Sylla, funzionario della società che sovrintende il progetto.
« Mettiamo a dimora circa due milioni di alberi l’anno, dopo aver selezionato le specie che meglio s’adattano a questo clima estremo, che sono l’acacia senegalese e la palma da dattero » .
Diop ancora ricorda quanto una volta fosse rigogliosa la sua regione. « Poi s’è cominciato ad abbattere alberi e a prosciugare i pozzi, noncuranti del clima che si faceva sempre più secco.
Quando nel 2008 vidi i primi alberelli recintati ne capii subito l’importanza. Cominciai ad accudirli come se fossero miei e a difenderli dai pastori nomadi che volevano farne foraggio per le loro capre». Il contadino di N’Guermalal non si sbagliava perché assieme alla striscia verde il progetto prevedeva la creazione di piccoli orti polivalenti dove oggi fa crescere di tutto, carote e cipolle ma anche angurie, manghi, mandarini e pompelmi. E poi, perché in questo nuovo mosaico di alberi e fazzoletti di terra coltivata sono tornate quelle specie selvatiche, quali lepri e gazzelle, scomparse da decenni.
La popolazione dell’Africa sub-sahariana, che oggi conta 645 milioni di persone, si prevede che raggiungerà le 1,4 miliardi unità nel 2055. Oltre alle migrazioni, le conseguenze del degrado della terra e quindi dell’impoverimento della regione sono anche i massacri di Boko Haram intorno al lago Ciad e gli attacchi di Al Qaeda in Mali. «Già, perché quando non ci sono né soldi né lavoro i terroristi arruolano con grande facilità. Dobbiamo perciò accelerare la nostra tabella di marcia. Abbiamo già piantato il 15% dell’intera striscia, dove stiamo rendendo coltivabili le aeree divenute troppo aride», dice il funzionario Sylla. Nel Sahel, due persone su tre abitano ancora in zone rurali. Ora, questi contadini che sopravvivono a stento dei prodotti della loro terra, non hanno nessuna responsabilità delle emissioni a effetto serra, ma sono i primi a subire le devastanti conseguenze degli sconvolgimenti climatici del pianeta.
Lastriscia di palme e acacie dovrebbe essere ultimata nel 2030 con un costo previsto che sfiora gli 8 miliardi di dollari, forniti da Ue, Onu, Banca Mondiale e Unione Africana.
L’obiettivo è che la “Grande muraglia verde” riesca a dare cibo e lavoro a tutti quei disgraziati che alla ricerca di una vita migliore sono oggi costretti ad attraversare il deserto e ad avventurarsi per mare su un gommone malconcio. Del Re, Rep 21/12
Saved
L’opera prima di Edward Bond, The Pope’s Wedding , è del 1962. La seconda, Saved del 1965, infine giunge in Italia, al Vascello di Roma per la regia di Gianluca Merolli. Nato nel 1934 a Londra, Bond divenne subito uno dei drammaturghi che rivoluzionarono il teatro inglese negli anni Sessanta. Ma a differenza di Pinter o di Osborne da noi fu poco o niente affatto accolto.
Durante i centoquaranta minuti senza intervallo di Saved ho cercato di capire le ragioni dello scarso successo di Bond da noi. È la storia di Lenny rispetto a un gruppo familiare (nel quale s’insedia quasi per caso) e a un piccolo clan di coetanei. Costoro sono non proprio quelli che si chiamano teddy boys, sono veri e propri sbandati, ragazzi privi di qualsivoglia educazione e orientamento e alla fine dei puri e semplici delinquenti.
Il punto di gravità della commedia è una scena di lapidazione. Pamela, la ragazza di Lenny, ha avuto un figlio da Fred. Lo porta in giro in carrozzina, ma è come i suoi genitori, Harry e Mary: è distratta, anche lei priva di educazione e orientamento. In ultima analisi, lo stesso Lenny è uguale a tutti gli altri. Non reagisce di fronte al tradimento di Pamela, non reagisce di fronte alla lapidazione di suo figlio: si limita a guardarla da lontano. Ne viene fatto di accettare come un lieto fine che, sempre piazzato in casa di Harry e Mary, da ultimo lo vediamo aggiustare una sedia. Bond si pone fuori del teatro dell’assurdo: «Ma se Saved (disse in un’intervista del 1981) era una macchina fotografica situata in una stanza o nella strada, con Early Morning essa si situa nella testa e si può vedere quello che ci sta dentro: il caos totale, la psicologia politica degli individui di Saved e il loro vivere in un mondo d’incubo con la sua particolare teologia della follia». Lasciando perdere la teologia della follia, decisivo è il termine «politica». Bond è uno scrittore politico. Ma ciò che noi riceviamo con difficoltà o non siamo in grado di ricevere è il linguaggio attraverso il quale la sua politica si manifesta.
È un linguaggio scabro duro, mai ideologico, in alcun modo sentimentale. E se il regista Merolli ha il merito di aver tentato, non ha quello di essere riuscito (era forse impossibile, almeno con gli attori che aveva a disposizione). Merolli è un regista ambizioso. Ha al suo attivo Un gabbiano e Yerma . Si capisce che cerca strade nuove, poco esplorate dal nostro teatro. Ma né il primo né il secondo esperimento erano riusciti; e non è riuscito il terzo. Lo ripeto, era forse impossibile.
Non riesco neppure a immaginare chi in Italia potrebbe. La traduzione, non quella sintattico-lessicale, ma quella che sta sotto a ogni sintassi e a ogni lessico, è l’ostacolo insormontabile. Vi sono culture intraducibili. Tale appare quella di Bond. La nostra lingua, almeno quella contemporanea, è adolescenziale e sentimentale. Non c’è attore, né esperto come Manuela Kustermann, né giovane come Lucia Lavia e lo stesso Merolli, in grado di mutarne il suono. Cordelli Cds 21/12
Export
Svolta per gli investimenti sui robot made in Italy La Cina è il primo mercato
di Dario Di Vico
Ucimu: la produzione sale del 10,1% a 6,1 miliardi
Stiamo per archiviare il 2017 e possiamo dire tranquillamente che è stato un anno di svolta per la ripresa degli investimenti. Dopo gli anni della Grande Crisi che avevano concentrato le attenzioni degli imprenditori su ristrutturazioni e risparmi nel ’17 si è ripreso a guardare avanti. Un’affermazione così netta si giustifica in virtù dei dati forniti ieri dal presidente di Ucimu-Confindustria, Massimo Carboniero. Si potrà e dovrà discutere se il ritorno all’investimento sia dovuto prevalentemente all’utilizzo degli incentivi previsti dal Piano Industria 4.0 oppure siamo in presenza di un mutamento più profondo, intanto però più di qualcosa si è mosso. Spiega (e brinda) Carboniero: «L’imprenditoria italiana si è risvegliata. Hanno comprato macchine e robot i grandi gruppi che già hanno al loro interno sistemi interconnessi ma si stanno mettendo in gioco anche le Pmi. Stanno ripensando i loro sistemi produttivi e hanno cominciato rinnovando il parco-macchine. Dobbiamo confidare che questa tendenza continui non solo nel ’18 ma anche negli anni successivi».
Esauriti i giudizi di sintesi passiamo ai tanti dati che riepilogano il ’17, comprese le stime sul quarto trimestre ancora in corso. L’industria italiana di macchine utensili, automazione e robot ha raggiunto e oltrepassato in termini di fatturato gli 8 miliardi di euro, la produzione è cresciuta del 10,1%, le consegne sul mercato interno del 16,1%, il consumo del 13,8% e le esportazioni del 5,8, la bilancia commerciale ha fatto segnare +1,6%. Il trend positivo proseguirà per tutto il 2018: la produzione dovrebbe salire ancora di un altro 6,2%, l’export del 4,7%, il consumo dell’8,2%. In estrema sintesi tra consuntivi e previsioni l’Ucimu parla di un mercato interno estremamente vivace e di un export che è ripreso in maniera significativa. Le aziende italiane di automazione viaggiano da mesi e mesi sopra l’80% della loro capacità produttiva e vantano tra i 6 e i 7 mesi di saturazione degli ordini. Per quanto riguarda le vendite incentivate da Industria 4.0 un terzo è pura sostituzione di vecchi macchinari, mentre due terzi è rappresentato da macchine e sistemi interconnessi/digitalizzati.
La novità in materia di export riguarda la Cina diventato il primo mercato di sbocco (248 milioni di euro e +11,5%) a scapito di Germania e Usa. «Le loro aziende coinvolte nel Piano China 2025 — sostiene Carboniero — stanno sostituendo lavoro manuale con automazione. Le imprese nazionali realizzano per lo più macchine standard mentre noi siamo in grado di esportare soluzioni ad hoc per il cliente grazie all’indiscussa capacità tecnologica. E quindi risultiamo complementari». Ma non c’è il rischio che lo sforzo finanziario che sta dietro China 2025 preveda uno shopping a tappe forzate delle migliori imprese italiane? «Per quello che vedo i cinesi oggi cercano partner europei che li aiutino a modernizzarsi — risponde il presidente Ucimu — e quindi auspico la massima collaborazione. L’Asia è prima di tutto una grande opportunità per il made in Italy».
Champagne
Le bollicine francesi e l’egemonia inglese
di Danilo Taino Statistics editor
L a forza della reputazione non è, ovviamente, stagionale. Nei momenti di festa, però, è ancora più evidente del solito. Quando si tratta di celebrare, la propensione a spendere di più per qualcosa che non sia solo piacevole ma contenga anche una carica emotiva è decisamente maggiore. Se questo dato di fatto si declina nei vini frizzanti — centrali nelle occasioni di festa — si nota che l’Italia ha ancora della strada da coprire. La questione riguarda la differenza di valore che ancora oggi il mercato dà allo champagne e agli altri sparkling wines. La statistica appena aggiornata da Eurostat, l’agenzia statistica europea, dice che nel 2016 l’Italia è stata il Paese europeo che più ha esportato fuori dalla Ue in termini di volumi ma è solo seconda, e ben distante dalla Francia, se la misurazione viene fatta in valore, cioè in euro. I vini mossi francesi — quasi esclusivamente champagne — esportati fuori dal continente hanno toccato i 102 milioni di litri; quelli italiani i 121 milioni di litri. Il fatturato francese è stato però di un miliardo e 530 milioni mentre quello italiano si è fermato a 485 milioni . Nel suo complesso, la Ue esporta 279 milioni di litri di vino frizzante per un totale di 2.363 milioni di euro. Se si considerano anche le esportazioni interne alla Ue, lo champagne supera i 2,8 miliardi di euro, gli sparkling wines italiani arrivano a un miliardo e 78 milioni (sempre nel 2016 ). La differenza sta probabilmente in parte nella qualità ma in una misura forse maggiore nel nome, nella reputazione dello champagne. Interessante dunque, chiedersi cosa e chi abbia creato la reputazione del prodotto francese. Una risposta può essere: il Regno Unito. La Francia aveva il suo impero e questo l’ha aiutata ad affermare il suo vino nel mondo. La differenza, però, l’ha probabilmente fatta l’enorme quantità di champagne consumata in Gran Bretagna e l’onda di reputazione che dai club di Londra è partita e ha stabilito il primato dello champagne nell’impero britannico. Ancora l’anno scorso, il Paese che ha importato più champagne è stato di gran lunga il Regno Unito, 31,19 milioni di bottiglie da 75 cl. Secondi, distanziati, gli Stati Uniti con 21,81 milioni di bottiglie (però di prezzo maggiore: 540 milioni di euro in America, 440 in Gran Bretagna). Le vie della reputazione sono in parte misteriose: l’impero e l’egemonia di Londra spiegano forse lo champagne. Francese. Taino, CdS 21/12
Inizio modulo
Fine modulo
Freddo
Si stava meglio quando si stava peggio, mettevamo due maglioni di lana anche dentro casa, le valvole termostatiche a regolazione autonoma non esistevano e uscivamo per andare al lavoro intabarrati come Tutankhamon. Naturalmente non è vero, non si stava meglio. Ma ci lamentavamo di meno, il meteo non ci sembrava polare quando era soltanto normale e non avremmo scritto articoli su com’è cambiata la nostra percezione del freddo se il 20 dicembre a Milano c’erano 6 gradi di massima: 30 anni fa sarebbero stati del tutto adeguati alla stagione e nessuno, a parte Nada, avrebbe ripetuto allo sfinimento ma che freddo fa.
«È il problema della memoria corta e, semmai, degli ultimi inverni troppo caldi: ora siamo vicini alla normalità», spiega il meteorologo Massimiliano Pasqui, per nulla colpito dalla temperatura media di 2 gradi a Milano, di 8 a Roma e di 6 a Napoli, perché l’anomalia erano i quattro gradi in più registrati lo stesso giorno di un anno fa. Anche se la tendenza è quella: il Cnr ha appena presentato la relazione termometrica del 2017, con 1,3 gradi in più rispetto alla media di riferimento.
«Le stagioni si spostano in avanti, le masse di aria fredda arrivano a fine gennaio. Quella attuale, che ha investito l’Italia da una settimana e mezzo, sarebbe stata del tutto ordinaria fino agli anni ‘90», insiste Giampiero Maracchi, fondatore e già direttore dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La sua esperienza professionale e umana gli fa notare una serie di cambiamenti che hanno a che fare con la nostra quotidianità: «Ci vestiamo più leggeri, gli appartamenti e gli uffici sono ben riscaldati, lo stesso i mezzi pubblici. Così una variazione che tutto sommato ci riporta a temperature nella norma dell’inverno viene percepita come straordinaria».
E qui veniamo alla nostra percezione del freddo. «Se fuori ci sono 5 gradi e soffia un vento a 20 chilometri orari, il corpo ne percepisce zero». La formula matematica di Maracchi si giustifica con l’«effetto ventilatore», tanto piacevole d’estate, quanto raggelante d’inverno. In questo caso giova un po’ non esser magri, giacché il grasso è un cattivo conduttore di calore e se lo tiene tutto nel corpo. Ma non è un invito a mangiar tanto, anche se l’equazione «più freddo più fame» è radicata nella memoria dei nostri antenati ed è alla base della termoregolazione. «Siamo portati a mangiare di più per bruciare di più e generare più energia — racconta Marcello Ticca, vicepresidente della Società italiana di Scienza della alimentazione —, ma non c’è bisogno, non viviamo né lavoriamo all’aperto».
Il problema se l’era posto anche Mario Rigoni Stern nel suo Stagioni , del 2006. E non se ne fece scomporre. Scrisse: «Basta con queste lagne. È perché viviamo sempre in case surriscaldate, perché facciamo poco movimento; perché le donne vanno vestite leggere per far vedere le forme (...), perché i giovani vestono i jeans e non mettono le mutande di lana e bevono bevande fredde invece di tè caldo». E non c’erano già più le mezze stagioni. Serra, CdS
Capannoni
TREVISO Il paese è minuscolo e agricolo come quello di vent’anni fa. Anche la strada è sempre la stessa e serpeggia stretta fra i campi di soia, la chiesa, i platani, il Sile. Nulla è cambiato nel profondo Veneto di Ca’ Tron. All’improvviso, superata l’ansa del fiume, ecco spuntare una bella struttura a vetri in un prato inglese. E dov’è l’infangato capannone di Ettore Fiorani nel quale starnazzavano centinaia di pollastrelle da allevamento? Sparito.
Oggi c’è Akqa, colosso dei digital media. Dentro, al posto delle pollastrelle, smanettano un centinaio di giovani designer, programmatori, ingegneri della customer experience. Uomini tecnologici in una tecnologica struttura disegnata dall’architetto Mariano Zanon, titolare di uno studio che si sta affermando nel recupero di capannoni dismessi.
Come quello grigio di una vecchia impresa edile di Montebelluna che oggi è InfiniteArea, 2.500 metri quadrati pieni di colore e dinamismo animati da giovani startupper. «Abbiamo una quindicina di progetti in corso, siamo cresciuti del 30 per cento in un anno», gongola Zanon.
Architettura industriale
Solo un paio di esempi, ma nel vecchio Nordest del capannone prêt-à-porter, spina dorsale di un’economia molecolare che ha disseminato il territorio di 161 mila prefabbricati dei quali circa 20mila oggi abbandonati (secondo un censimento della Confartigianato il bilancio della crisi in Veneto è di 10.612 dismessi su 92mila esistenti), sta davvero crescendo una nuova architettura industriale. Di più: griffata.
Spuntano infatti nomi del calibro di Flavio Albanese, Cino Zucchi, Jean-Marc Sandrolini, studio Geza e pure Richards Roberts che proprio a un passo da Akqa ha messo la firma sul futuro cuore pulsante del campus H-Farm. Archistar. Di recente Albanese, che ha in corso una cinquantina di riqualificazioni industriali con un aumento pure lui del 30 per cento di fatturato, ha presentato Agrologic, il nuovo polo voluto da Despar, qualcosa come mezzo chilometro di magazzini ed edifici integrati e luminosi a un passo da Monselice.
«Saranno anche belli ma hanno un peccato originale: oggi qui ci sono campi, domani ci sarà nuovo cemento e nuovo inquinamento», urla in questi giorni Francesco Miazzi, leader ambientalista e docente di architettura, che lotta con una parte degli abitanti contro il progetto. Nel frattempo, Sandrolini si è già esibito a Fiesso d’Artico, cuore della riviera del Brenta, infilando nella terra della calzatura un futuristico parallelepipedo dedicato alla «manifacture de souliers» di Louis Vuitton, produzione di scarpe.
Tocco da designer
Mentre Cino Zucchi, che in Alto Adige aveva ideato il quartier generale dell’azienda di abbigliamento Salewa ispirandosi alle cime dolomitiche, ha rifatto in pianura il nuovo magazzino automatizzato della Pedrali di Mornico al Serio, al quale ha dato addirittura un nome, «fili d’erba», per via delle lamelle verticali che cambiano colore. E cangianti sono pure le facciate dell’azienda di tendaggi Pratic, ai piedi delle colline udinesi di Fagagna, così volute dagli architetti Stefano Gri e Piero Zucchi dello studio Geza. Le «firme» sulle nuove strutture spuntano in qua e in là nella distesa grigia delle fabbriche, dove circa un capannone su nove è dismesso e abbandonato, risultato tangibile della lunga crisi.
Domanda: possibile che di questi tempi si spendano risorse per il look? «Possibile sì — dice Albanese —. È la nuova rivoluzione, è l’epoca di industria 4.0 con sensibilità ambientale. L’imprenditore non può più ignorare questi aspetti, anche perché alla lunga ripagano tutti». Allarga le braccia il presidente della Confartigianato veneta, Agostino Bonomo: «Nessuna preclusione per il bello e per le archistar ma noi dobbiamo fare i conti con tanti problemi, fra cui l’enormità di invenduto costoso, al punto che qualcuno ha tolto il tetto al capannone per non pagarci le tasse».
Nuovi investimenti
Fra i vecchi inguardabili capannoni e quelli «firmati» c’è la massa delle riqualificazioni progettate da architetti sconosciuti, molti dei quali neolaureati. «Per tutti la regola è non occupare altro suolo perché così prevede la nuova legge regionale, poi ci vuole il coraggio di demolire il vecchio e la forza di riuscire a recuperare il buono», auspica l’avvocato Bruno Barel, assurto a principe legale delle riqualificazioni.
In questo nuovo corso nordestino c’è dunque chi investe, chi sospira e chi assiste impotente alla crescita di insolite creature. Come Armando Valeri che, proprio di fronte a Akqa, difende i suoi campi di frumento dalle mire espansionistiche dei rivoluzionari 4.0 che lo circondano. Triste e solitario, li osserva con sospetto mentre entrano ed escono dal capannone a vetri come uomini di un altro pianeta: «Ma cosa fanno lì dentro?». Pasqualetto, CdS 21/12
Macron
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI Oggi il presidente Emmanuel Macron compie quarant’anni e i francesi gli regalano sondaggi lusinghieri: i suoi primi otto mesi al vertice dello Stato sono apprezzati dal 52% dei cittadini (Bva-Orange-La Tribune), con un recupero di popolarità inedito nella Quinta Repubblica e la sensazione che tutto vada sempre a suo favore. Per esempio, lo scorso weekend Macron ha festeggiato con la famiglia nel castello di Chambord, luogo simbolo dell’ ancien régime , e dopo un’inizio di polemica sull’opportunità di quella scelta (il leader dell’opposizione Jean-Luc Mélenchon lo ha accusato di gesti da «monarca repubblicano»), adesso Chambord è meta di nuovi pellegrinaggi.
Anche Jean Plantureux, detto Plantu, sta per festeggiare: l’anno prossimo saranno i 50 anni di carriera come vignettista, celebrati con una grande mostra alla Biblioteca nazionale Mitterrand. Incontriamo Plantu, colonna di Le Monde , al ristorante assieme ad altri giornalisti della stampa internazionale. Macron non è facile da disegnare, dice, «perché è giovane, magro, senza barba o segni particolari. Certo non come Sarkozy».
Plantu parte da un giudizio negativo su Macron, per il ruolo che l’allora banchiere ebbe come consulente dei giornalisti di Le Monde . Nel 2010 il giornale era in difficoltà, diverse cordate cercavano di prenderne i controllo. Da un lato quella di Bergé-Niel-Pigasse, poi vincitrice, dall’altra il gruppo Prisa sostenuto da Alain Minc. «Macron ci offrì il suo aiuto. Noi volevamo sottrarci alle mire di Alain Minc, e solo dopo molto tempo scoprimmo che Macron in realtà lavorava per lui. A noi lo aveva sempre tenuto nascosto».
Detto questo, Plantu riconosce che Macron gode di una grande popolarità. «Ovunque io vada in Europa sento giudizi molto positivi su di lui. Lo ripeto spesso ai miei amici francesi più scettici: se non tenete conto d quanto seguito abbia in Europa non potete capire il personaggio Macron».
Plantu ha appena pubblicato un raccolta di vignette su Macron intitolata Les toutus du Président , «I cagnolini del presidente». Che sono il suo labrador Nemo, e quelli che Macron vorrebbe trattare come altrettanti cuccioli devoti, dall’ex capo di stato maggiore de Villiers cacciato perché ha osato dissentire dal presidente, al branco di giornalisti alla ricerca di qualsiasi osso-notizia.
Quanto alla première dame Brigitte, Plantu preferisce per adesso ignorarla o quasi. «La disegnerò se prenderà posizioni politiche. Feci lo stesso con Danielle Mitterrand, quando si schierò con i curdi, e con Bernadette Chirac, che ballò il tango con il leader cinese». Montefiori, CdS 21/12Capannoni
ROMA Si apre la via della seta per la carne bovina italiana: la Cina rimuove, dopo oltre 16 anni, il bando alla bistecca alla fiorentina e ai prodotti a base di carne, come ragù e lasagne. Ci vorrà almeno un anno perché il primo Kg di carne nostrana superi la Grande Muraglia, dopo la definizione del protocollo coi requisiti sanitari per la carne disossata di bovini con meno di 30 mesi, ma il passo è importante per la nostra filiera della carne bovina che, precisa Assocarni, vale in totale dieci miliardi di euro (6 miliardi per l’ industria, 4 per gli allevamenti). Il semaforo verde è stato annunciato dal Ministero dell’Agricoltura cinese e dall’Amministrazione per il Controllo della Qualità, l’Ispezione e la Quarantena (AQSIQ) a conclusione dei lavori del Comitato governativo Italia-Cina presieduto dai rispettivo ministri degli Esteri, Angelino Alfano e Wang Yi. «Soddisfatto e grato alle istituzioni italiani impegnate nel lungo negoziato e alle strutture pubbliche veterinarie che hanno dimostrato alla delegazione cinese la capacità di tracciare ogni singola fettina di carne, il direttore di Assocarni Francois Tomei. «Manca l’ultimo miglio - ha precisato - ma la Cina è un mercato per noi fondamentale sia per la carne fresca bovina, che per i prodotti trasformati. L’apertura di un mercato alternativo potrebbe essere un sostituto delle vendite bloccate dall’embargo russo. Per le nostre carni vaccine il gigante asiatico può diventare una piazza fondamentale, come lo è già diventata per il mercato europeo delle carni suine dove ha riequilibrato i prezzi». Messaggero 20/12
Intimo
Effetti del caso Weinstein. Nella nuova campagna pubblicitaria di Intimissimi, colosso europeo della biancheria intima, l’attrice Dakota Johnson appare vestita [Lanterna, La Verità 20/12].
Procuratore, il processo mediatico è una patologia di questo tempo di crisi?
«Tutt’altro. Il processo mediatico c’è sempre stato a partire dal dopoguerra: penso all’omicidio di Wilma Montesi, che è stato il primo caso di interferenza delle indagini a fini politici, perchè il processo era stato montato a bella posta per colpire l’onorevole Piccioni. Questa strumentalizzazione, tuttavia, ha assunto la forma di ordinaria patologia con Tangentopoli».
Come è fatto questo virus che ha contagiato il nostro sistema giudiziario?
«Con Mani pulite si è instaurato un intreccio perverso tra magistratura inquirente e stampa. Gli inquirenti avevano canali privilegiati con alcuni giornali, ai quali facevano filtrare le notizie più succulente per fargli fare degli scoop. In cambio, questi pm ricevevano una serie di sperticati riconoscimenti elogiativi che li rendevano a loro volta più credibili, prestigiosi e forti. Così si è generato un potenziamento reciproco: più il magistrato era forte e più si sentiva impunito se lasciava filtrare le notizie, più le lasciava filtrare e più si rafforzava perchè riceveva in cambio una legittimazione da parte della stampa.
Tutto questo ha portato a un cortocircuito che non solo ha condizionato la politica, ma ha anche alterato la fisiologia della giustizia e della stampa» [Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto di Venezia, a Giulia Merlo, Il Dubbio 20/12].
Lauree
Paolo Conte ha ricevuto la sua quarta laurea honoris causa, questa volta dall’Università di Parma per «meritata fama». Conte ha anche una laurea in Giurisprudenza regolarmente conseguita [Piano, La Verita 20/12].
Lauree ad honorem collezionate in vita da Umberto Eco: 40 [ibidem].
L’Italia ha il 26% di cittadini laureati tra i 30 e i 34 anni. Peggio di noi in Europa solo la Romania [ibidem].
Maschio
«Modugno era un artista rivoluzionario e un maschio all’antica. Ricordo che pretese di farmi sentire Dio come ti amo alla chitarra da soli, chiusi in una stanza» (Gigliola Cinquetti, che ha appena compiuto 70 anni) [Caminiti, Il Dubbio 20/12].
Gigliola Cinquetti è ancora oggi la più giovane vincitrice di Sanremo. Aveva sedici anni quando trionfò con Non ho l’età, nel 1964 [ibidem].
Bobby Solo
Al Sanremo del 1964 Bobby si beccò una faringite e non poté cantare. Allora, i suoi discografici lo convinsero a esibirsi in playback: squalifica assicurata ma visibilità massima. Alla fine Una lacrima sul viso passò in finale ma venne considerata fuori concorso [Caminiti, Il Dubbio 20/12].
Migranti
Nel mondo sono 258 milioni le persone che hanno lasciato il paese di nascita e ora vivono in altre nazioni. Si tratta di una popolazione pari alla metà degli europei e il fenomeno è in crescita. Rispetto al 2000 c’è stato un aumento del 49 per cento. Aumentato anche il numero dei paesi ricchi interessati dal fenomeno: dal 9,6 per cento del 2000 al 14 per cento del 2017. Sono dati del rapporto sulle migrazioni internazionali dell’Onu [Osservatore Romano 21/12].
Dall’inizio dell’anno, 3115 rifugiati e migranti sono morti mentre tentavano di raggiungere l’Europa via mare. Da gennaio al 17 dicembre, sono arrivati via mare 168.314 migranti e rifugiati, quasi la metà dello stesso periodo dell’anno scorso. Di questi, poco più del 70 per cento in Italia (118.064), il resto in Grecia, Cipro e Spagna [ibidem].
Missili
Il governo giapponese ha deciso di rafforzare i suoi sistemi di difesa missilistica per rispondere alle crescenti minacce della Corea del Nord. Il programma Aegis Ashore, sviluppato negli Stati Uniti, sarà introdotto nel paese entro il 2023, per un costo che ammonterà ad almeno 888 milioni di dollari. Da Mosca, il ministero della Difesa ha detto che, schierando dei propri sistemi missilistici in Giappone, Washington violerà il trattato Inf sulle forze nucleari a medio raggio [Osservatore Romano 20/12].
Dollaro
Nel mondo, due persone su tre usano valute legate al dollaro. Le riserve valutarie in dollari sono due terzi del totale globale. Investitori e banche estere detengono BoT statunitensi per oltre 6 mila miliardi. In generale, il dollaro è usato nel mondo 3-4 volte più dell’euro, 10 volte il renminbi (yuan) cinese [Costa, Sta 19/12]
Cina
In Cina esiste la Polizia dell’Oro «che segretamente estrae, importa e trasporta lingotti per conto della Banca del Popolo. Ne ha già accumulato, secondo gli esperti, il doppio degli Usa: 16 mila tonnellate, sufficienti a sostenere un yuan aureo» cioè uno yuan il cui valore sia legato all’oro delle riserve e che in questo modo possa diventare la moneta di scambio universale, sostituendosi al dollaro. A meno che a questa funzione non sia deputato alla fine proprio il bitcoin, «l’anti-valuta basata sulla anonimità degli operatori, l’apoliticità della gestione, e l’efficienza del processo (blockchain: la catena di blocchi di utenti) che lo genera» [ibid].
Santo
Si candida a diventare lei il primo santo?
«Non solo non succederà, ma non ne ho nessun desiderio. Resto critico sui criteri con cui si fanno i santi, sovente per contingenze storiche: non sempre vedo ragioni di esemplarità».
Ma la sua vita è esemplare!
«No, davvero. E non glielo dico per umiltà, io sono una persona molto terra terra, tentazioni verso l’alto non le ho mai avute» [il frate Enzo Bianchi a Elvira Serra, CdS 30/12].
2 “Le leggi approvate dal Parlamento, come il Bio testamento, si rispettano”. Il titolo è mio, perché questo è il mio atteggiamento verso le leggi: rispettarle sempre e comunque, specie quando non le si condivide. Però, se anziché un cittadino fossi il Cardinale di Torino chiederei la disobbedienza civile per il Cottolengo. Un torinese sa cosa hanno fatto, da secoli, vescovi, medici, suore infermiere, del Cottolengo per aiutare a vivere gli ultimi, che più ultimi non si può. Persino i nazi fascisti si sono sempre tenuti alla larga dal Cottolengo, come diceva mio papà, il Cottolengo li faceva vergognare di loro stessi. Senza il Cottolengo, Torino sarebbe una banale, cinica, città industriale. Il Cottolengo è l’opposto del nazismo, dello stalinismo, del maoismo, del giacobinismo, di tutte le schifezze del mondo. Il Cardinale Nosiglia assumerà una posizione ferma sul Cottolengo? Sarà pronto a andare prima in giudizio, poi in galera, con il sorriso sulle labbra? Deciderà lui. La storia del Cottolengo si incrocia con la civiltà, anzi è la civiltà, è l’uomo [Riccardo Ruggeri sul suo blog]
7 “Il muro di Erdogan. Pagato dall’Europa”. Se non fosse per List dell’amico Mario Sechi nessuno saprebbe che il losco Erdogan ha completato 781 km dei 911 previsti, il terzo muro più lungo del mondo, dopo la Grane Muraglia cinese e quello fra Stati Uniti Messico (iniziato e realizzato da Bill Clinton e poi da Barack Obama, mentre le fake news istituzionali ne assegnano, curiosamente, la colpa al buzzurro Trump). Per anni abbiamo dovuto sorbirci le teorie dell’Europa, di Merkel, di Macron, con il supporto determinante dei nostri intellò e purtroppo di Papa Bergoglio, sul dilemma “muro versus ponti”. Eppure tutti costoro, non certo il Papa, mentre pontificavano di ponti, chiudevano le loro frontiere e pagavano le spese per fare un muro insuperabile fra Turchia e Siria, quindi bloccando tutti i flussi da M.O. e dall’Asia. Mi chiedo, se l’Europa paga la costruzione di un muro in Turchia, significa che lo considera eticamente sostenibile, allora perché rifiuta la stessa logica per un blocco navale in Libia? E le mitiche ONG perché non
Como
Manzoni viene liquidato con un finto-quiz e c’è anche uno che si presenta con un arbusto e quello sarebbe il ramo del lago.
Poi un po’ di Clooney, aneddoti di storia locale, scrittori (Andrea Vitali, mica poco), giornalisti e prof di liceo e sbuca anche il Signor No. Non è proprio detto che dopo una puntata di Provincia Capitale (Rai3 la domenica mattina alle 10.30, varie repliche su Rai Storia) si sappiano di ogni città — stavolta Como — le cose giuste: che però non esistono, si va sempre per approssimazione e Edoardo Camurri usa una tecnica googlante, come scrivere Como sul motore di ricerca e poi dalla schermata prendere quello che intriga di più: saltando poi senza direzione precisa. Ovvero il programma è un gioco, sottolineato anche da espedienti e postazioni buffe — ma c’è anche il codice QR che appare in video e con lo smartphone si guardano i video completi.
Chiusura in gloria, ovvero con Teche Rai sotto mano: Alfred Hitchcock sul lago intervistato da Romano Battaglia. «Che fa se incontra un fantasma?». E Hitch, in italiano: «Lo attraverso».
E d’incanto Como, e le province tutte, sono già un vago pretesto per uno show mai banale. [Dipollina, Rep 19/12]
Caro dott. Dell’Arti le invio questo brevissimo comunicato stampa:
“Sotto attacco: la scure di revisionisti e censori sui beati e i santi” è il nuovo libro (120 pagine, Edizione Chorabooks su Amazon, VEDI QUI), del giovane teologo siciliano Matteo Orlando. Il testo denuncia «una sviluppatissima corrente teologica che fa di tutto, a volte riuscendoci, per eliminare dalle biografie dei beati e dei santi ciò che di miracoloso hanno compiuto in vita. Lo stesso discorso vale per le incursioni del demonio nella vita degli amici di Dio, sempre più occultate in certe biografie da qualche decennio a questa parte». Completano il libro un “Invito alla lettura” del celebre apologeta e agiografo Rino Cammilleri, e due appendici finali (su san Gregorio Magno e la sua celebre Regola Pastorale e su santa Caterina da Siena e le caratteristiche della sua maternità spirituale).
Cordiali saluti
Matteo Orlando
Ufo
Tra il 2007 e il 2012 il Pentagono ha stanziato 22 milioni di dollari all’anno per indagare sugli Ufo. Il programma si chiamava «Advanced Aerospace Threat Identification Program». Stando al racconto di due ufficiali, il comandante David Fravor e il tenente comandante Jim Slaight, entrambi top gun della Marina, per due settimane i radar della loro unità, che incrociava a 100 miglia al largo della costa, registrarono «oggetti volanti che apparivano all’improvviso a 80.000 piedi di altezza, si tuffavano in direzione dell’oceano e poi si fermavano d’un tratto all’altezza di 20.000 piedi. Quindi, come erano apparsi, sparivano». Nel 2004, nelle acque del Pacifico, era anche avvenuto un contatto «con qualcosa che può essere definito un Ufo». Dal 2012 a oggi il Pentagono avrebbe continuato a lavorare sugli Ufo con la Cia. James E. Oberg, ex ingegnere della Nasa che ha lavorato al progetto Shuttle e autore di libri che smontano gli avvistamenti di Ufo: «Lassù è pieno di gente che vola e di gente che non vuole far sapere che sta volando» [Manila Alfano, Gio 18/12]
Pagina 14/15
Debito
Metalli
Negli ultimi 18 mesi il valore del cobalto è triplicato, quello del litio è raddoppiato. Motivo: sono i metalli-base delle batterie che fanno camminare le auto elettriche. La metà del cobalto esistente si estrae nella Repubblica Democratica del Congo, dove è in corso una guerra civile. Le grandi aziende, i fondi d’investimento, gli speculatori se lo accaparrano ricorrendo anche al lavoro di donne e bambini. «Nel febbraio 2016 il cobalto raggiungeva i suoi minimi storici, scivolando a 21.750 $ per tonnellata al London Metal Exchange. Le news relative alla crescita della Gigafactory, un’imponente struttura creata dalla Tesla per produrre 500.000 nuovi veicoli elettrici entro il 2018, hanno scatenato gli acquisti ed il cobalto ha chiuso il 2016 a 32.000$. Ma il vero rally doveva ancora iniziare: nel corso del 2017, infatti, le quotazioni hanno raggiunto i 50.000 dollari a marzo, fino a raggiungere negli ultimi giorni i 75.000 dollari, con un rialzo da inizio anno prossimo al 140%» [De Casa, Sta 18/12]
Ogm
La coltivazione degli ogm è proibita in Italia, ma non la loro commercializzazione. Per esempio: «la soia venduta in Italia è per il 90% ogm. Ogni cittadino europeo consuma ogni giorno indirettamente 186 grammi di soia ogm ed ogni giorno l’Italia ne importa diecimila tonnellate». Terreni coltivati a ogm nel mondo: il 10%. Posizione contraria agli ogm di Slow Food, condivisa da Coldiretti: «La biodiversità è a rischio: le varietà transgeniche occupano grandi superfici e fanno parte di sistemi di monocoltura intensiva che distruggono altre colture e ecosistemi. Le colture Gm snaturano il ruolo degli agricoltori: i produttori hanno sempre migliorato e selezionato da soli le proprie sementi. Le sementi Gm, invece, sono proprietà di multinazionali alle quali l’agricoltore deve rivolgersi a ogni nuova stagione, perché gli Ogm di seconda generazione non danno buoni risultati». Posizione favorevole di Giorgio Fidenato, agronomo e proprietario di una piccola azienda ad Arba, in provincia di Pordenone: «Voglio ottenere mais senza usare insetticidi: con gli ogm si può, perché gli insetti non attaccano quelle piante».
Perché l’Italia prosegue nel divieto di semina?
«Di fronte all’avanzare inarrestabile delle biotecnologie l’Italia pensa che sia meglio continuare a diffondere nel mondo l’immagine falsa di un paese da mulino bianco».
Falsa?
«Per fare il Prosecco o per coltivare le mele ci vogliono 15 trattamenti antiparassitari all’anno. E non venite a dirmi che il rame metallico usato nell’agricoltura biologica non è tossico» [Cappelletto, Sta 18/12].
Ogm
Europa e Italia importano 68 diversi tipi di Ogm, autorizzati per il consumo umano. Roberto Defez, ricercatore presso l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Cnr di Napoli: «Quindi, anche coloro che non vogliono Ogm li consumano indirettamente tramite latte, formaggi, yogurt, salumi, carni e prosciutti. Tutti i consumatori sono così beffati».
Esclude che la nostra salute risenta del consumo di prodotti Ogm?
«Sei anni fa dei germogli di soia biologica causarono in Germania 300 intossicati gravi tra cui 53 morti. Nessuna attività umana è a rischio zero, ma non esiste al mondo una singola persona ospedalizzata per il consumo di un qualunque derivato di pianta ogm».
Lei sostiene che le coltivazioni Ogm sono meno dannose di quelle tradizionali. Su quali basi?
«Piante ogm come il mais o il cotone Bt riducono l’uso di insetticidi ed i rischi per l’ambiente, i vertebrati e l’uomo. Tutto il mondo usa cotone per asciugare le ferite. Il 70% del cotone mondiale è cotone ogm e nessuno ha mai avuto intossicazioni o reazioni allergiche».
Gli Ogm confliggono con la biodiversità. Come replica a questa affermazione?
«La biodiversità si perde illudendosi di lasciar fare al caso. Insetti, funghi e parassiti sono molto efficaci nel mangiare la nostra biodiversità. Ad esempio sta scomparendo il riso Carnaroli aggredito da un fungo. Ma il Carnaroli è una varietà nata nel 1945. Bastano pochi anni per perdere biodiversità se non la aiutiamo rinforzando le nostre piante. I parassiti evolvono più velocemente dei sistemi di difesa e con la ricerca scientifica vietata come è in Italia da 16 anni possiamo solo assistere inermi alla scomparsa continua di biodiversità che invece i ricercatori pubblici, non le aziende private, potrebbero salvare.
Concentrati nelle mani di poche multinazionali, i semi Ogm accentuano la dipendenza degli agricoltori. Questo è un dato innegabile.
«Il 99% del mais piantato in Italia proviene già da multinazionali straniere. Il 95% è prodotto da tre aziende: 55% Dupont, 20% a testa Monsanto e Syngenta. L’Italia non ha aziende sementiere né grandi né medie: se si continua così saremo i braccianti di scelte pensate all’estero e di proprietà estera. Solo l’innovazione può consentire di produrre semi che tutelino la biodiversità nazionale e combattano le malattie che abbiamo qui» [ibidem].
Per Nino Paparella, pugliese, presidente del Consorzio Italiano per il Biologico, «quello italiano è un necessario atteggiamento precauzionale e mette in guardia dal rischio di inquinamento genetico che avviene quando il polline di una pianta Ogm si mescola con piante coltivate in modo tradizionale oppure spontanee». Ma in Italia la semina è vietata. «Tuttavia numerosi agricoltori, soprattutto in Emilia-Romagna e in Veneto, usano gli Ogm non solo come mangime animale. Segretamente lo seminano». Gli Ogm sono inattaccabili dai parassiti? «I primi anni resistono, poi i parassiti riescono ad attaccare anche queste piante, che devono essere sostituite. In India e in Cina è successo con il cotone. In Africa, le coltivazioni Ogm si stanno riducendo perché i semi delle multinazionali sono costosi e i contadini che vendono a prezzi bassi si impoveriscono».
Agricoltura pulita?
Dice Giovanni Doglio, agronomo astigiano: «Il costo del processo per arrivare a brevettare un Ogm è di circa 50 milioni di euro, solo le multinazionali possono permetterselo. Cercano di far sparire le produzioni tipiche e costituiscono una minaccia alle varietà alimentari. Inoltre le sementi modificate sono efficaci solo per qualche anno e non in una lunga prospettiva. In Italia non abbiamo le grandi estensioni agricole degli Usa, del Brasile, del Canada; ci salviamo difendendo la nostra tipicità, che va riconosciuta». Da piemontese, è preoccupato per il riso: «Sulle nostre tavole arrivano risi confezionati da paesi del Sud est asiatico prodotti da piante Ogm. L’etichettatura “riso italiano’” deve diventare obbligatoria». Gaetano Laghetti, Primo Ricercatore Cnr e curatore della banca del Germoplasma di Bari, difende il ruolo della ricerca responsabile: «L’agricoltura biologica è un ritorno al passato, quando la popolazione mondiale era molto inferiore. Nel corso degli anni la ricerca ha migliorato tutte le fasi della produzione agraria aumentando produzione e produttività. Se oggi dobbiamo sfamare 7,5 miliardi di persone non possiamo non ricorrere a tecniche intensive e a varietà migliorate, non necessariamente Ogm. Il pregio dell’agricoltura biologica è di essere rispettosa dell’ambiente il che, spesso, è meno evidente con l’agricoltura intensiva. Quest’ultima, comunque, frutto della ricerca universitaria, se applicata con criterio, non mira certo ad avvelenare l’ambiente a vantaggio della produttività, anzi». Cita I’esempio del Bangladesh dove ha avuto successo la melanzana transgenica Bt che ha ridotto del 90% l’impiego di insetticidi spruzzati da agricoltori privi di misure di protezione. Roberto Defez, attivo al Cnr di Napoli, sostiene che nonostante il divieto alla semina Ogm, in Italia «non siamo messi bene. Le nostre monoculture secolari come le viti o i meleti richiedono fungicidi a base di rame e questo inquina i terreni. Anche l’autorizzata poltiglia bordolese contiene rame, un metallo pesante legato a diverse patologie umane che rimane per decenni nei suoli e li intossica. Biologico non significa sicuro né per l’ambiente né per l’uomo».
In una sola provincia
Claudio Mazzini è il responsabile dell’area Freschissimi di Coop Italia. «Nel dubbio, preferiamo astenerci. Per questo abbiamo escluso prodotti Ogm, mangini compresi. I 35 milioni di animali di cui abbiamo bisogno sono per il 90% italiani e provengono da allevamenti controllati. E’ una scelta che ci costa 10 milioni di euro ogni anno, e riguarda tutte le fasi della lavorazione, compresi i silos, i camion, le navi di cui ci serviamo. La normativa italiana rimane comunque zoppa e non informa correttamente il consumatore: le carni non devono portare in etichetta la provenienza da allevamenti dove si usano mangini Ogm». Ritiene gli Ogm dannosi? «La mia esperienza dice che rischi alimentari non ce ne sono. Rimangono dei dubbi legati alle contaminazioni ambientali. Se uso grano transgenico, la sua resistenza si trasmetterà alle piante tradizionali?».
L’unica provincia italiana che vieta, grazie a una legge del 2001, anche i mangini Ogm è quella di Bolzano. «E’ stato difficile trovare mangini no Ogm, li abbiamo cercati ovunque, ora abbiamo la garanzia che tutta la filiera ne è esente. Se la vacca mangia Ogm, non si scappa: te lo ritrovi nel latte», dice Annemarie Kaser, direttrice della Federazione delle Latterie dell’Alto Adige. «Il processo di controllo è più costoso, ma i consumatori sono contenti. Alla gente piacciono le garanzie». Un caso unico in Italia. Ma chi controlla? Racconta Luca D’Ambrosio, direttore del Laboratorio analisi alimenti a Bolzano: «Dopo i controlli diamo alle ditte un certificato che dimostra che non usano mangimi Ogm». E’ possibile verificare la presenza di Ogm nel latte? «Grazie alle tecniche della biologia molecolare è possibile rintracciarla nei mangimi, non nel latte. Chi compra i nostri prodotti premia l’impegno di allevatori e coltivatori. Realisticamente vedo vari fattori che hanno facilitato il rispetto di questa legge. E cioè il fatto che i nostri animali siano al pascolo, che da noi non ci siano coltivazioni molto estese e il basso numero medio delle vacche». [Cappelletto, Sta]
NAZIONALE - 18 dicembre 2017
CERCA
16/17 di 52
NAZIONALE - 18 dicembre 2017
CERCA
18/19 di 52
18/12/2017
CRONACA
Intervista
Orlando
“In cella 506 come Amri Riforma carceri prima di Natale”
GIANLUCA DI FEO,
ROMA
Ieri un tunisino è stato espulso dall’Italia. Nel penitenziario di Sollicciano aveva più volte minacciato gli agenti, vantandosi di essere un «terrorista». E un anno esatto fa Anis Amri, un altro tunisino che aveva manifestato in prigione i primi segni di radicalismo islamico, si preparava a uccidere 12 persone a Berlino. In tutta Europa le carceri sono state la culla della violenza fondamentalista, ma il ministro della Giustizia Andrea Orlando ritiene che la nostra situazione sia meno allarmante.
«Da noi le seconde generazioni di immigrati cresciute nel disagio sono meno numerose e questo si rispecchia anche nella situazione carceraria. Le persone monitorate sono 506, ma solo per 150 si ipotizza un alto rischio di radicalizzazione mentre le altre vengono tenute d’occhio anche dopo segnali minimi. Grazie poi al coordinamento del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, le informazioni della polizia penitenziaria vengono condivise con le altre forze dell’ordine per valutare al meglio le singole posizioni. In ogni caso, il rischio non deve essere sottovalutato».
Spesso alla radicalizzazione si arriva attraverso percorsi di disagio personale, come quello del ventenne Amri, e sotto la spinta di imam improvvisati o estremisti.
«Abbiamo disposto un programma, confrontandoci con altri paesi europei, che va oltre il monitoraggio e prevede un intervento psicologico. I detenuti che provengono da paesi musulmani sono circa 11mila e, anche se solo meno del 5 per cento viene monitorato a vario livello, garantire il culto è un fattore decisivo. Sia per impedire che questo argomento venga usato dagli estremisti per fare proselitismo, sia per evitare che i riti siano officiati da imam senza controllo. In carcere le dinamiche sono le stesse del mondo esterno: il degrado sociale aiuta la devianza e la clandestinità nel culto contribuisce all’uso distorto della religione come propaganda d’odio».
Nel 2014 Matteo Renzi presentò la riforma delle carceri come un punto chiave del programma di governo.
Lei poi l’ha portata avanti in solitudine: manterrà la promessa di vararla entro l’anno?
«I testi dei decreti attuativi sono da settimane a Palazzo Chigi e credo ci siano le condizioni per vararli prima di Natale: sarà all’ordine del giorno in uno dei prossimi Consigli dei ministri».
Il concetto di fondo di questa riforma è meno carcere e più pene alternative...
«Sì, viene valorizzato l’uso delle pene alternative durante l’esecuzione della condanna. Ma anche nel carcere si introduce maggiore responsabilizzazione: più occasioni di lavoro, di studio, di attività. Allo stesso tempo basta con gli automatismi: accedi agli sconti di pena e alle misure alternative solo se c’è un comportamento di responsabilità e segui percorsi di rieducazione».
Quali sono gli ostacoli? C’è un problema di fondi?
«I fondi sono già stati accantonati con la legge di bilancio. Abbiamo aumentato gli agenti reclutandone circa 2000, ci dovrebbero essere assunzioni di operatori sociali. Quello che manca è un ripensamento organizzativo e culturale. Spesso si crede che il carcere efficiente sia quello dove non succede nulla, spingendo i detenuti a comportamenti passivi che sono il presupposto alla recidiva. Io credo invece in un penitenziario dove si innova, si sperimenta, ci si assumono delle responsabilità permettendo di rieducare».
Le forze politiche non sembrano molto interessate alla realtà dei penitenziari, salvo quando si discute di detenuti eccellenti...
«La realtà del carcere non porta voti ed è spesso oggetto di banalizzazioni: è un grande luogo di esorcismo sociale; si pensa che una volta messa in prigione una persona, la società si è liberata del problema.
Questo è uno strumento retorico, di propaganda, senza comprendere che un carcere che non rieduca genera insicurezza: la recidiva rappresenta anche un uso poco razionale delle risorse pubbliche perché così la detenzione diventa solo un intervallo nella carriere criminale. Insomma si tratta di un tema importante non seguito dal dibattito politico. Per fortuna ci sono eccezioni, non da poco: i Radicali, associazioni come Antigone. Credo che se si riuscirà ad arrivare all’approvazione della riforma molto lo dobbiamo all’attenzione del presidente emerito Napolitano, del Papa e del presidente Mattarella».
Siamo alle soglie della campagna elettorale, non teme che questa riforma che prevede la riduzione dell’uso del carcere possa venire fraintesa dagli elettori o impugnata dalla destra?
«Dobbiamo fare lo sforzo di spiegare bene che stiamo costruendo un modello di pena che crea più sicurezza e che è più conveniente per tutti.
L’esperienza della riforma degli istituti per minorenni ha raggiunto questo obiettivo: abbiamo un sistema con i tassi più bassi in Europa di recidiva. È un esempio che serve per raccontare quello che stiamo per fare in tutte le carceri».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Rep 18/12
NAZIONALE - 18 dicembre 2017
CERCA
18/19 di 52
18/12/2017
CRONACA
S T O R I E
Calabria
La rivolta contro le vacche sacre della ’ ndrangheta
ALESSIA CANDITO
Basta, perché sono pericolose. Basta, perché sono un simbolo intollerabile dell’arroganza dei clan. Delle mandrie della ‘ndrangheta, i cittadini della Piana di Gioia Tauro si sono stufati. Vagano per le strade, invadono le provinciali e le statali, bloccano il traffico e provocano incidenti, a volte anche mortali. E poi distruggono recinzioni, campi, giardini, devastano raccolti e serre. Senza che nessuno le possa toccare. Le chiamano “vacche sacre” ma l’unico culto cui sono legate è quello della ‘ndrangheta.
Simbolo di opulenza in una terra affamata, nella Piana di Gioia Tauro i bovini dei clan da decenni vagano allo stato brado, arrivando a pascolare persino per le vie cittadine.
Ora però gli abitanti della zona vogliono una soluzione e per questo hanno costituito un comitato che vede insieme agricoltori danneggiati, sindaci, attivisti antimafia ma anche cittadini. «Qui — dice uno di loro — le strade sono per lo più senza illuminazione e d’inverno ghiacciano. Se una vacca attraversa una strada all’improvviso hai due opzioni: frenare e rischiare di finire nei campi o investirla, che è come schiantarsi contro un muro».
Ma non è solo una questione di sicurezza. «Non è tollerabile che i clan usino queste terre come se fossero cosa loro — afferma il sindaco di Cinquefrondi, Michele Conia — non possiamo arrenderci all’arroganza della ‘ndrangheta».
Entrambi erano alla manifestazione organizzata sabato scorso per chiedere l’intervento della prefettura, che per gennaio ha promesso un tavolo tecnico. Non è il primo, ma il comitato pretende che questo sia risolutivo. Discusso persino in commissione parlamentare antimafia quando era Luciano Violante a presiederla, il problema delle vacche sacre negli anni è finito sul tavolo di diversi prefetti.
C’è chi ha inutilmente cercato di appaltare la cattura delle bestie a ditte private, che nonostante i lauti compensi promessi si sono ben guardate dal toccare le mandrie dei clan. Altri hanno sguinzagliato a caccia dei bovini il corpo forestale e le forze dell’ordine, ma tutto si è risolto in un nulla di fatto perché dopo la cattura, le bestie sono state liberate nottetempo da anonime manine. Quando è stato proposto di abbatterle, sono insorti gli animalisti. «Ora vogliamo una soluzione concreta» dicono dal comitato. Prima che ci scappi il morto. Con la complicità di chi ha permesso che anche gli animali diventassero uno strumento di affermazione del potere dei clan. Rep 18/12
© RIPRODUZIONE RISERVATA
18/12/2017
MONDO
La storia
La nuova Versailles
La casa più costosa del mondo ultima follia del Re Sole d’Arabia
Un castello in Francia da 300 milioni prima dell’acquisto del Salvator Mundi di Leonardo Lo shopping estremo di Mohammed Bin Salman, l’erede al trono che vuole riformare Riad
FRANCESCA CAFERRI,
ROMA
Uno yacht da 500 milioni di dollari comprato nel 2015.
L’acquisto – controverso – di un Leonardo da 450 milioni qualche settimana fa. E, viene fuori adesso, l’acquisizione due anni fa della casa più costosa del mondo, lo Chateau Louis XIV a Louveciennes, Francia, a poca distanza da Versailles, per più di 300 milioni. La lista della spesa del principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman, non ha nulla di ovvio. Solo il meglio del meglio, solo cose e proprietà da centinaia di milioni di dollari. Per questo, fra gli osservatori delle cose saudite, sono pochi quelli che si sono stupiti quando ieri il New York Times ha dimostrato – carte alla mano – che il misterioso acquirente della proprietà ispirata al Re Sole era proprio MBS.
«Adora la Francia e tutto ciò che è francese», raccontava qualche settimana fa a Riad un uomo vicino al principe. E Chateau Louis XIV è l’essenza del gusto del Re Sole – moderno, appariscente e anche pacchiano - in chiave contemporanea.
Una tenuta da decine di stanze su più piani, circondata da un parco di oltre 23 ettari adornato con una fontana con rivestimenti in oro, statue di marmo e un labirinto in stile rinascimentale: una tenuta che da lontano ha le fatture di un castello francese del 18simo secolo, ma di antico ha solo l’apparenza. A buttare giù la vecchia costruzione e sostituirla con un edificio ipermoderno, con una piscina interna, un enorme acquario che si affaccia su uno dei saloni, un cinema, una discoteca sotterranea e una cantina che può contenere migliaia di bottiglie è stato nel 2009 Emad Kashoggi, nipote del mercante d’armi Adnan. «Come a Versailles, è superiore a tutto quello che c’è intorno. Come per Luigi XIV, è stato realizzato qualcosa di
incredibile», dice Marianne Merlino, vice sindaco della città durante la costruzione. E incredibile è un concetto che si sposa bene con la personalità di un uomo che in due anni e a colpi di mosse azzardate (la guerra in Yemen, l’embargo al Qatar, le centinaia di arresti in patria) è diventato la figura più importante del Medio Oriente.
Secondo quanto scritto dal New York Times – ma già anticipato due anni fa dal sito francese
Mediapart – l’acquisizione è stata condotta dalla Eight Investment Company, società saudita gestita dall’amministratore della fondazione privata di Mohammed Bin Salman. L’inchiesta del quotidiano americano - che aveva già rivelato sia l’acquisto dello yacht che quello (smentito dalla corte reale) del Leonardo - si avvale dei documenti dei Panama Papers, le migliaia di carte emerse dalla studio legale Mossak Fonseca di Panama. Ed è un grosso danno di immagine per MBS, che si presenta come un riformatore che combatte la corruzione ed è attento alle esigenze dei più giovani.
Ma in un Paese con un tasso di disoccupazione giovanile oltre il 12% per le statistiche ufficiali e il 30 per quelle ufficiose, molti potrebbero non gradire gli eccessi. Rep 18!2
© RIPRODUZIONE RISERVATA
MAGALI DELPORTE / EYEVINE
Funerali
«Capita sempre più spesso di trovarsi ad assistere a cerimonie religiose in cui il sacerdote officiante non conosce il defunto, né i suoi familiari, e i partecipanti sono per la quasi totalità non credenti, o almeno non praticanti. Certo per il sacerdote è difficile, in questi casi, fare un’omelia dignitosa, riuscire a trovare parole di consolazione ma al tempo stesso di riflessione profonda, quali la circostanza richiede. L’abitudine che si è diffusa, poi, di parlare del defunto familiarmente usando il nome proprio, come se si avesse intessuto con lui un legame di vicinanza e di amicizia, anche quando è chiaro che non esisteva alcun legame, rende ogni discorso poco sincero agli occhi degli astanti» [Scaraffia, Osservatore Romano 16/12].
Porno
Il 20 per cento delle ricerche online su dispositivi mobili è indirizzato verso contenuti pornografici. I siti porno attraggono più visitatori ogni mese rispetto ad Amazon, Netflix e Twitter messi insieme. Il 30 per cento dei contenuti di Internet è pornografico. L’88 per cento del porno contiene violenza contro le donne. Numeri dal saggio di Patricia Wallace La Psicologia di Internet (Raffaello Cortina Editore) [Martini Grimaldi, Osservatore Romano 16/12].
Pedofilia
Da quando è stata istituita nel 2013, la Commissione d’inchiesta australiana sulla pedofilia ha raccolto le deposizioni di oltre 15.000 persone e ascoltato a porte chiuse oltre 8.000 vittime di abusi. L’organismo ha inoltre intimato e ottenuto il rilascio di 1,2 milioni di documenti riservati e ha identificato più di 4.000 istituzioni in cui si sono commessi abusi negli ultimi decenni. Quasi 2.600 persone sono state segnalate alla polizia e ad altre autorità e sono state avviate 230 azioni penali [Osservatore Romano 16/12].
Fotoromanzi
Grand Hôtel, la principale rivista di fotoromanzi, esce ininterrottamente dal 1946. Racconta Carlo Micolano, classe 1944, romano, regista e sceneggiatore di fotoromanzi: «Quando usciva con i disegni di Walter Molino, Grand Hôtel vendeva 1,3 milioni di copie, perché era il dopoguerra, non c’era niente. Oggi vende ogni settimana 170-180.000 copie: 15.000 vanno all’estero, in Argentina, Canada, Francia, Svizzera, Germania, dove c’è una comunità italiana. C’è stata una forte ripresa negli anni Ottanta e Novanta grazie ai divi televisivi. Abbiamo cominciato con Veronica Castro e Grecia Colmenares. Quando accompagnavo Grecia all’hotel Parco dei Principi, arrivavano i pullman con i suoi fan che le portavano regali, torte, cioccolata... Aveva una popolarità incredibile. Io spesso, non seguendo certi programmi televisivi, me ne rendevo conto solo a posteriori» [Pallanch, La Verità 16/12].
Guttuso
A Renato Guttuso piaceva la Pop Art e quando Warhol passò da Roma nel 1976 (anno del sorpasso Pci sulla Dc) rimanendo folgorato dal simbolo della falce e martello, lo riprodusse e gli regalò una delle prime versioni. Per gli Usa, Guttuso era un “activist” da rifiutare come persona e artista (Mammì, L’Espresso 17/12 )
Compleanni
Compleanni del 2018: Adriano Celentano (80 anni il 6 gennaio), Patty Pravo (70 il 9 aprile), Karl Marx (200 il 5 maggio) (GQ n. 2015 – dic. 2017)
Mezzo secolo fa
Nel 2018 si celebreranno i 50 anni della morte di Martin Luther King (4 aprile) e di Padre Pio (23 settembre) (ibid)
Airbnb
«Esperienze come Airbnb sono notevoli. Ma per lo stesso meccanismo, ora milioni di persone credono più a uno sconosciuto su facebook che a The Economist» (Rachel Botsman, guru della new economy, intervistata da Ferdinando Cotugno, GQ n. 2015 – dic. 2017)
Airbnb nacque nel 2008 perché durante una grande fiera del mobile a San Francisco non si trovavano posti dove dormire (il primo cliente fu un indiano che dormì su un divano); uno dei suoi fondatori, Joe Gebbia, è originario di Mezzojuso (Palermo)
Mensa Kiton
I tavoli della mensa Kiton sono spartani e ricchi allo stesso tempo. Lunghi e bianchi, sono apparecchiati con piatti senza alcuna decorazione, tovaglioli di carta, posate essenziali e cestini del pane da dividere tra i commensali. La ricchezza sta nel cibo, ovviamente: oltre alle bottiglie d’acqua, sui tavoli ci sono solo, prima dell’arrivo delle pietanze principali, piatti con due fette di mozzarella, una normale, l’altra affumicata. Basta guardarle per capire che non ci sarà bisogno di aggiungere sale e forse neppure olio.
Il profumo ne fa intuire il sapore. Però all’occhio della milanese abituata a “finte capresi” tutto l’anno manca qualcosa. «Sarebbe possibile avere qualche pomodoro per accompagnare questa fantastica mozzarella?», chiede, pensando di rendere onore a quello che crede essere uno dei più famosi accostamenti napoletani.
Continua pagina 10
Continua da pagina 1 Seguono alcuni secondi di silenzio e qualche sguardo imbarazzato degli ospiti, Maria Giovanna Paone e Antonio De Matteis. Rompe gli indugi un cameriere la voce della verità, quasi come nella favola del re nudo: «No, pomodori non ce ne sono. Non è stagione. Però sull’altro tavolo abbiamo tante verdure cotte in modi diversi, le assaggi».
Sta anche in questo piccolo episodio lo spirito, l’anima di un’azienda come Kiton. Da una parte l’importanza del momento conviviale: il pranzo nella mensa aziendale è organizzato con diversi turni non per fare mangiare separatamente proprietà, manager e “maestranze”, bensì per evitare che ci siano code o sovraffollamenti. «Se così succedesse, i piatti si raffredderebbero, la pasta non sarebbe cotta al punto giusto, l’insalata non sarebbe condita all’ultimo momento», spiega Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton e nipote del fondatore e presidente Ciro Paone. «Siamo tutti cultori della cucina napoletana e delle buone abitudini alimentari ed è stato proprio mio padre Ciro a volere questa impostazione della mensa – aggiunge Maria Giovanna Paone –. Quest’anno è andato in pensione il nostro storico cuoco e trovare chi lo sostituisse è stata un’impresa» [Crivelli, Sole]
Peste
Su undici fogli dei registri dei decessi milanesi di giugno, luglio e agosto 1630 sono saltate fuori le 26 proteine della peste che furoreggiò in città in quegli anni, la stessa dei Promessi sposi. «Le proteine hanno svelato anche altre storie. C’erano, per esempio, una sessantina di cheratine umane, tutte con proteine vegetali, segno che gli scrivani erano a una dieta strettamente vegetariana, tanto mais e mai carne. E sui fogli sono state anche trovate tracce di topi, che erano poi i veri untori, e di ovini, le famose capre che allattarono i bebé rimasti senza mamma. Per finire, sull’angolo in basso a destra dei fogli, delle strane macchie verdastre. Sono l’olio e il petrolio con i quali il barbiere Mora realizzava i suoi unguenti, per il resto composti da erbe magari non troppo curative ma di certo non nocive. Voleva soltanto proteggere la gente. Cosa che non gli impedì di essere condannato come untore a una morte atroce: prima gli fu amputata la mano, poi rotte le ossa sulla ruota, infine fu scannato e il suo cadavere bruciato. Però qui non siamo più nei Promessi sposi, ma nella Storia della colonna infame» [Mattioli, Sta 17/12].
Bitcoin
A Torino, nel negozio di articoli per la casa Ullalà in via Sant’Ottavio 8, si può comprare un accendino con 0,000682 bitcoins, un’agenda con 0,000114 ecc. Il proprietario, Roberto Malanca: «Il cliente prende quello che vuole e alla cassa si collega al suo portafoglio elettronico dal cellulare. A quel punto mi invia i bitcoin richiesti». Il processo non è velocissimo perché ogni trasferimento deve essere approvato da un sistema di scatole comunicanti e unite, il blockchain, che, registrando permanentemente ogni modifica dei conti, ne garantisce anche trasparenza e sicurezza [Callegaro, Sta 17/12].
il rapinatore ordinò un tè per la vittima
EMILIO MARRESE
Il giovane bandito gentiluomo ha sempre il suo fascino cinematografico. La Sindrome di Stoccolma, anche. Come nel film con Al Pacino, quella mattina di un giorno da cani inizia giovedì scorso alle 10.15 in una banca del quartiere Talenti a Roma.
L’unica cliente al momento della rapina è un’anziana ottantatreenne: il colpo durerà un’ora e alla fine fuorilegge e ostaggio si saluteranno affettuosamente. «Ero andata a pagare il condominio — racconta la signora Anna, nome di fantasia — e avevo quasi finito quando sono entrati questi due con una borsa nera in mano.
Sembravano clienti normali.
Italiani e a volto scoperto.
Hanno detto che era una rapina e mi hanno detto di sedermi che non mi avrebbero fatto nulla. Hanno chiesto del direttore e gli impiegati hanno risposto che era malato.
Quando il vice-direttore ha provato a ribellarsi uno di questi ha tirato fuori un taglierino o un coltellino, così almeno mi hanno detto dopo perché io non l’ho visto. Se avessi visto una pistola, mi sarebbe venuto un infarto. Io sono cardiopatica, ho la pressione alta e ho iniziato a sentirmi male. Ho chiesto di liberarmi, mi hanno risposto che non potevano però questo ragazzo, avrà una trentina di anni, s’è seduto vicino a me per tranquillizzarmi e mi ha tenuto la mano per tutto il tempo che è servito per aprire la cassaforte. Quasi un’ora. Io chiedevo sempre quanto mancasse. “Stia tranquilla, non le facciamo niente, non le prendiamo neanche la borsa, due minuti ancora”. Ma quei due minuti mi parevano secoli, gliel’ho detto». E per ingannare l’attesa si sono messi a chiacchierare. «Mi consolava. “Signora, dobbiamo avere più paura noi di lei”, mi diceva. Gli ho raccontato che mio marito buonanima era poliziotto.
“Pure…” ha fatto lui. Gli ho raccontato tutta la mia vita: ho tribolato tanto, ho avuto quattro lutti solo quest’anno e mi ci mancava solo questa. È entrato un altro cliente e l’hanno messo a sedere, levandogli il telefonino. Il palo era gentile, l’altro mi pareva più cattivo. Gli ho chiesto perché facessero queste cose: “Perché non c’è lavoro”, si è giustificato. Pure mio nipote è disoccupato e mica fa le rapine, gli ho detto. Ha continuato a confortarmi finché non hanno avuto i soldi. Prima di scappare, si è raccomandato che gli impiegati mi accompagnassero in bagno, mi dessero dell’acqua o un tè.
Non mi ha toccato la borsa, ha augurato a tutti buona giornata e mi ha salutata con un bacio. Mi ha trattato come se fossi sua nonna. Gli ho voluto bene, dico la verità, e spero che non lo prendano». Rep 17/12
Frocio
Stefano Gabbana, sentendosi chiamare “frocio” da quattro tizi che stavano in macchina, li inseguì e li costrinse a scendere dall’automobile per regolare il conto [Proietti, CdS 17/12].
T-shirt
«Ho fatto persino una t-shirt che presto indosserò con la scritta “I am a man, I am not a gay”. Classificare crea solo problemi: cinema-gay, locali-gay, cultura-gay... Ma di cosa stiamo parlando? Il cinema, i libri e la cultura sono di tutti, anche se capisco che le lobby nascono quando c’è bisogno di proteggersi da un clima avvelenato» (Stefano Gabbana) [ibidem].
Gay
Quando un uomo si accorge di preferire l’amore di un altro uomo?
«Io l’ho capito chiaramente a 18 anni. Ero fidanzato con una ragazza di Sestri Levante, mi piaceva da morire. Poi mi è venuta a trovare un weekend a Milano e siamo andati a ballare. Guardavo più gli uomini di lei e allora mi sono detto: “non posso prenderla in giro”».
Prima di allora non lo aveva capito?
«Ma certo, lo sapevo da sempre, ma non avevo il coraggio di ammetterlo. Solo facendo un percorso di analisi ho capito cose della mia infanzia che erano dei segnali chiarissimi».
Che bambino era?
«Volevo giocare da solo. Prima di andare al mare a Jesolo, ogni estate stavo in cascina con i miei nonni, in provincia, dove c’erano tanti animali, oche, mucche, faraone... passavo giornate a creare per loro percorsi o tracciati di gara. Ma non volevo la compagnia di nessuno perché mi sentivo diverso dagli altri bambini e temevo che stando insieme lo avrebbero capito. E sarebbero corsi a dirlo a mia madre» [ibid].
Visco
«Visco non lo dice e chissà se lo pensa, ma per alcuni la sua audizione assume sempre più i contorni di una disperata offensiva finale. Per la precisione, una doppia offensiva finale o almeno il tentativo di lanciarla. La prima verrà dai renziani del Pd in commissione parlamentare, per cercare di dare una spallata a Visco stesso e poter così sostenere che i fallimenti bancari e le perdite dei risparmiatori sono colpa della Banca d’Italia. L’altra offensiva verrà invece dai parlamentari del centrodestra e dei 5 Stelle, per cercare di dimostrare che qualcuno dal governo ha esercitato pressioni improprie sulla Banca d’Italia nel 2014 o nel 2015 per salvare Etruria. Le cause profonde della crisi bancaria e le eventuali risposte interessano a pochi, i regolamenti di conti a molti» [Fubini, CdS 16/12].
Dapper Dan
«La moda di Dapper Dan è made in Harlem: “La vecchia boutique restava aperta 24 ore su 24, sette giorni alla settimana. Dormivo nel retro: non sapevi mai a che ora arrivavano i clienti. Tyson? Sempre verso le quattro di mattina. Una volta si picchiò con un altro pugile, Mitch Green, in negozio. Gli spaccò la faccia. Mike si ruppe la mano. Un macello. Motivo della lite? Aveva chiamato Mitch o ne-ho pimp , ’pappone con una sola ragazza’. Qui ti rispettano se sei un playa , uno giusto. Ma se sei un sucka , un perdente, avrai problemi”» [Dapper Dan a Matteo Persivale, CdS 16/12].
Cultura
«Puoi influenzare la cultura solo se ti trovi ai suoi margini» (Dapper Dan) [ibidem]
Approvate dall’Assemblea nazionale, le due leggi dovrebbero essere promulgate dal presidente della Repubblica Andrzej Duda la prossima settimana.
Se così fosse, e le dichiarazioni di Morawiecki a Bruxelles non lasciano dubbi in proposito, la Commissione avrebbe già deciso di proporre al Consiglio la messa in stato di accusa della Polonia, ai sensi del primo comma dell’articolo 7 [Valentino, CdS 18/12]
Cammelli
I bolzanini della Microgate, nati per cronometrare le gare di sci, poi specialisti anche nel cronometraggio delle gare di equitazione, ciclismo (Giro d’Italia, Vuelta) e atletica, prestano i loro strumenti anche agli emiratini per la misurazione delle gare tra falchi e delle corse di cammelli. Falchi: ««Una classica gara di velocità tra falchi si svolge di solito sulla distanza dei quattrocento metri, c’è una linea di partenza e poco più in là si posiziona un catcher, un ricevitore che regge una finta preda. Al via decretato dai giudici di gara il falconiere entra sul campo di gara e il catcher inizia ad agitare la preda; il falconiere toglie il cappuccio, il falco vede la preda e punta il catcher. I falchi volano a mezzo metro da terra e possono raggiungere anche i 120 chilometri orari. Sono gare molto spettacolari» (l’ing. Federico Gori della Microgate). Falchi e cammelli valgono due milioni di euro, su un fatturato complessivo di undici milioni [Meneghello, Sole 16/12].
Inizio modulo
Fine modulo
Platone
«Platone rifiuta le tragedie, perché a guardarle a teatro si proverebbe empatia per gli uomini e le donne che hanno agito in modo immorale. Le persone provano empatia per Edipo, ad esempio, che ha ucciso il padre e ha dormito con la madre. La rappresenzazione pubblica delle tragedia era spesso vietata per evitare precisamente l’empatia “immorale”. Gli autori moderni al contrario apprezzano la capacità umana di provare empatia per le persone con cui non hanno nulla in comune» [Agnes Heller a Riccardo De Palo, Mess 15/12].
Patente
Italiani over 15 che hanno una patente: 73,78%. I maschi patentati sono l’85,16%, le femmine il 63,21 [Cuomo, Giornale 15/12].
Euro
Può essere utile ricordare quale fu il meccanismo matematico in base a cui i cambi vennero calcolati. Lo ricorda Alessandro Barbieri da Serravalle Sesia ( Vc): « Il cambio euro/ lira pari a 1.936,27 non fu decisione politica, bensì equazione studiata perché i tassi di cambio tra le varie valute mantenessero i rapporti esistenti decisi dal mercato, non dagli Stati. Infatti, mettendo a rapporto 1.936,27 (euro/ lira) con 1,95583 (euro/marco) il risultato è 990 ovvero il tasso di cambio marco/lira di allora. Allo steso modo se si divide 1.936,27 con 6,55957 (euro/franco francese) si ha 295 ossia il tasso franco/lira di allora. Ecco perché il tasso non poteva essere diverso» [Augias, Rep 15/12].
Everest
L’Everest prende il nome dal topografo gallese George Everest. I nepalesi lo chiamano Sagarmantha, i tibetani Chomolungma
Il «punto-Callas» della Scala dove Maria si posizionava per le arie più impegnative, dato che da quel punto il suono si propagava in modo ottimale per tutto il teatro [Cavalli, Panorama 14/12].
«Io sono credente, un cattolico con milla dubbi, ma che si applica nel cercare la fede. Con i preti, come tutti gli italiani, ci sono cresciuto. Da piccolo ero iscritto a una congregazione cattolica, ho fatto carriera da lupetto a esploratore, poi ho studiato dagli Scolopi e soprattutto ho fatto il chierichetto per anni, ero bravissimo! I prelati sono materiale prezioso per un comico: con quella retorica da predica ridondante mi hanno permesso, negli ’80 e ’90, di sviscerare una certa ipocrisia cattolica. Uno dei miei migliori amici è stato monsignor Ersilio Tonini, grandi telefonate, cene insieme. Difficile che io potessi parlare perché quando attaccava lui non si riusciva a fermarlo, però ascoltavo. Un uomo spartano, di fede vera, sono riuscito a fargli vedere un solo mio film, Al lupo al lupo. Non aveva tempo e soprattutto non aveva il videoregistratore» [Carlo Verdone a Piera De Tassis, Panorama 14/12].
Nota Diplomatica sospende l’uscita per il ponte dell’Immacolata (più lungo qui a Milano), ma non volendo lasciarvi completamente soli, proponiamo una breve notizia che altrimenti potrebbe forse sfuggire…
Secondo uno studio da poco apparso sull’americano Proceedings of the National Academy of Science, gli uragani che portano nomi convenzionali da donna (come Katrina o Irma) causerebbero più morti di quelli etichettati con nomi maschili. Il risultato si deriva dai dati relativi ai tassi di mortalità per causa dei fenomeni tra il 1950 e il 2012.
Gli studiosi sono andati avanti a ipotizzare che il fatto potesse dipendere dalla percezione di maggiore pericolo insito in un bel nome “maschio” - “Bruno”, per esempio, più minaccioso del delicato “Camille” - cosicché la popolazione si preparasse meglio a resistere alla perturbazione maschile.
“Per le tempeste severe, dove un’azione protettiva avrebbe la maggiore potenzialità di salvare le vite, la mascolinità o femminilità del nome dell’uragano permette di prevedere il tasso di mortalità”, scrivono i ricercatori, adombrando poi disdicevoli motivi culturali.
Bello, ma purtroppo non hanno tenuto conto che, fino al 1979, tutti gli uragani americani venivano battezzati, senza eccezione, con nomi da donna - cioè, lo studio comprendeva un blocco di 29 anni di soli appellativi femminili per questi cicloni. Inoltre, da allora gli effetti mortali degli uragani sono statisticamente calati.
In altre parole, secondo un funzionario del National Center for Atmospheric Research, forse un po’ dispiaciuto di dover dissentire da un’ipotesi così stimolante e anche politically correct: “Può essere che più persone risultino morire in uragani femminili solo perché mediamente si moriva di più a causa di questi eventi prima che avessimo cominciato a dargli anche dei nomi maschili”.
I rohynga in fuga dai soldati birmani che si nascondevano sotto i cadaveri galleggianti sul fiume [P.R., Rep 2/12]
Una scossa elettrica per una marcia in più
COSIMO CITO,
ROMA
Pioniere com’è di molte cose, lecite e spesso molto meno, il ciclismo ha deciso di scavalcare una nuova frontiera ed invadere un terreno finora poco frequentato dallo sport, quello delle neuroscienze. Per la prima volta un team, la Bahrain Merida, userà la tDCS, la stimolazione transcranica a corrente diretta continua. Niente paura, non fa male e soprattutto non è doping.
O, almeno, non lo è ancora.
La presentazione del progetto oggi presso l’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino. E se vedrete, forse, Vincenzo Nibali con una cuffia elettrificata sulla testa non spaventatevi. La tDCS funziona proprio così: il corridore si sottopone per circa 15 minuti prima o dopo una gara a una debolissima stimolazione elettrica a intensità costante tramite elettrodi applicati direttamente alla testa. È sufficiente per trasmettere eccitazione e rilassamento a tutto il corpo. I vantaggi: effetti positivi sull’umore e sulla qualità e durata del sonno.
Controindicazioni: apparentemente nessuna.
Il passaggio è in un certo senso epocale e porta nello sport una tecnica che sta conoscendo un grande sviluppo come possibile terapia per combattere gli effetti di depressione, ictus, dolore cronico e la dipendenza da sostanze stupefacenti.
«L’obiettivo della nostra partnership con la Bahrain Merida» spiega il fondatore del Cidimu di Torino, Ugo Riba, «è studiare la possibilità di aumentare e migliorare le performance mentali dei corridori. Sappiamo bene che migliorare l’aspetto mentale, il benessere complessivo di un atleta porta lo stesso ad avere dei miglioramenti anche dal punto di vista delle prestazioni fisiche.
Questa pratica migliora anche qualità del gesto, precisione, concentrazione. Ha molti vantaggi. Doping? No, non nella definizione attuale».
In realtà, la tDCS, utilizzata soprattutto finora dai saltatori con gli sci e sporadicamente da alcuni ciclisti (uno di loro, l’ex pro americano Andrew Talasky) rischia di aprire un complesso dibattito. E anche sulla sua utilità, la comunità scientifica non è concorde. «Conosco molto bene vantaggi e svantaggi della pratica» sottolinea Carlo Miniussi, fisiologo presso il Cimec di Trento, «e posso dire che, a fronte di nessun rischio pratico per la salute, non sono stati finora riscontrati particolari miglioramenti in pazienti con patologie come depressione e Alzheimer, per le quali questa pratica aveva aperto vent’anni fa incoraggianti prospettive». E se fosse solo effetto placebo?
«L’effetto legato alla suggestione può essere significativo» spiega Vincenzo Di Lazzaro, ordinario di neurologia all’Unicampus Bio-medico di Roma, «ma gli effetti sono di breve durata e non è dimostrato che la tDCS possa migliorare le prestazioni fisiche.
C’è però la speranza che, anche grazie a nuovi sviluppi tecnologici, essa possa trasformarsi in una nuova forma di terapia». Si apre un innovativo fronte di studi. E poi, come si dice nel ciclismo, sarà la strada a decidere. Rep 2/12ß
L’orologio Audemars Piqut Tourbillon Extrapiatto Scheletrato costa 195 mila euro. Caratteristiche: carica manuale e di spessore contenutissimo (4,46 mm), 70 ore di autonomia, scappamento in tourbillon, cassa e bracciale in acciaio, tiratura 100 esemplari [Veroni, CdS 2/11].
«Abbellire il pianerottolo è un segnale d’altruismo» (Barbara Violi) [Ghezzi, CdS 2/11].
Ruote
«Ieri, ad esempio, a Verona si è disputato il Mondiale di SSCX, ossia di ciclocross single speed: in pratica, si gareggia con bici a scatto fisso ma su percorsi di campagna, nel fango, con abbigliamenti che non rimandano per nulla alla seriosità delle gare di ciclismo. Ma è stato un campionato del mondo vero e proprio, il primo mai disputato in Europa, e si è corso tra Porta Palio e i Bastioni di Santo Spirito. Ha vinto un italiano, Andrea Pirazzoli, e il premio alla fine è stato un tatuaggio sul polpaccio. « È un mondo di hipster, matti, appassionati, atleti veri e bici costose» racconta Domenico “ Lupo” Abruzzese, uno dei veterani del SSCX in Italia. Al via erano in 150 e lungo il percorso hanno dovuto superare anche tavole a piedi, scalinate, tunnel annebbiati dai fumogeni, disturbatori vari. Un po’ ciclocross, un po’ ‘ Mai dire Banzai’, ma un vero spasso per il folto pubblico, armato di birra e impermeabili, divertito nonostante il gran freddo. Niente tessera federale, niente di organizzato. Solo passione e tanto sudore. Ma (anche) questo è il ciclismo di oggi. Ha sempre più successo il movimento Red Hook, le gare con bici da pista ma corse su strada, nelle città, negli ex quartieri industriali, come la Bovisa, a Milano, tra vecchi rottami e, come illuminazione, i fari delle auto parcheggiate. Il campione del circuito mondiale 2017 è l’ex pro Danilo Viganò» [Cito, Rep 4/12].
Censis
Il Censis ormai ha coniato una versione sociologica della lingua italiana, tutta per iniziati. Per esempio, scrive «Polarizzazione dell’occupazione che penalizza il ceto medio», si deve leggere «Quattro gatti avranno compensi principeschi, gli altri da reddito di cittadinanza» [Riccardo Ruggeri sul suo blog, 2/12].
Cuochi
Il bravo cuoco è un artista che stupisce con le sue combinazioni di sapori, che sorprende con la preparazione dei piatti e la loro presentazione. Al ristorante, non in tv. [Aldo Grasso, Io Donna 2/12]
Calmi
«Temete l’ira dei calmi» (Aldo Moro) [Giampaolo Pansa, La Verità 3/12].
Condominio
Ogni anno circa due milioni di italiani fatto causa per questioni condominiali. La prima causa di liti condominiali: odori e rumori provenienti da altri appartamenti. A seguire: l’automobile parcheggiata in uno spazio non autorizzato; le urla dei bambini in cortile; gli animali domestici in ascensore, ecc. (dati Anammi, associazione degli amministratori immobili) [Alfredo Arduino, La Verità 1/12].
Sposi
Nel 1960, tre quarti degli adulti americani erano sposati. Oggi lo è la metà [Giulio Meotti, Il Foglio 1/12].
Cinture
«Vi ricordate le magliette con la cintura di sicurezza stampata sopra vendute a Napoli? Era il 1989 e, a distanza di 28 anni, molti sono ancora convinti che sulle bancarelle di Forcella e della Sanità se ne fossero vendute migliaia. Ebbene, di quelle magliette ne furono prodotte 100, tutte rigorosamente numerate come delle opere d’arte, che oggi sono in bella mostra in molti musei di arte contemporanea. Quello fu un esperimento, uno dei primi esempi di come una fake- news potesse fare il giro del mondo e rimanere impressa nell’immaginario collettivo per sempre» (Claudio Ciaravolo, 65enne psichiatra napoletano, creatore di quelle magliette) [Franco Insardà, Il Dubbio 2/12
Suola esterna
L’Italia è il secondo paese al mondo per bilancia commerciale nel settore calzature con suola esterna e tomaia di cuoio naturale, che ricoprono la caviglia, con un surplus con l’estero nel 2016 di 501 milioni di dollari, dietro l’India [Il Foglio 1/12].
Elettra
Eugenio Finardi ha una figlia down, Elettra, che ora ha 35 anni. «Da quando ha 19 anni vive in una casa famiglia vicino a me. Percependo la fatica dell’essere “normale”, fu lei a chiedere di andare a stare con altre persone disabili. Pranziamo insieme ogni settimana, è un rito. Elettra è stata una grande sofferenza, ma anche una responsabilità e uno stimolo. È una donna piena di iniziative» [Maurizio Caverzan, La Verità 3/12].
Lombardi
Eppure lei si era conquistata una fama di persona di destra parlando bene del fascismo.
Su quell’equivoco ho pianto tutte le mie lacrime Avevo scritto sul mio blog che il fascismo aveva fatto anche cose buone, come l’edilizia popolare o l’Inps, e sono stata massacrata senza pietà. Ero agli inizi e ancora non sapevo che in politica ogni parola viene strumentalizzata. Comunque sono andata in parità con le categoria del Novecento quando sono stata accusata di essere amica dei centri sociali perché ho partecipato a molte lotte per il diritto alla casa. [Roberta Lombardi, candidata M5S alla presidenza del Lazio a Stefania Rossini, L’Espresso 3/11]
Deficit
Meno tasse, più spesa pubblica, più deficit. Hanno un sapore statalista, verrebbe da dire keynesiano, le conseguenze economiche del Signor Di Maio. [Bruno Manfellotto, L’Espresso, 3/11]
Cosche emiliane
“Lungo la via Emilia si sta abbattendo un ciclone giudiziario, alimentato dalla dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che stanno rivoltando il passato di complicità che molti davano per sepolto”. La previsione è di Giovanni Tizian. I nuovi pentiti – sostiene il giornalista che vive sotto scorta perché minacciato dalle ‘ndrine - svelano come sul Po la ‘ndrangheta abbia stretto legami con la politica, la massoneria e uomini dei servizi. Nulla sarà più come prima in questa pianura trasformata in Far West. Il gruppo di ‘ndranghetisti finiti in carcere ha trasformato le celle in hotel a 5 stelle. Tablet, cellulari, droga, caffè in cella preso con i poliziotti penitenziari, in stile don Rafaè. Pestaggi e accordi con la camorra.[L’Espresso, 3/11]
Bagni freddi
(SAMUEL KUBANI/AFP) - L’accetta Per fare il bagno a temperature sotto zero basta fare un buco nel ghiaccio Le autorità consigliano di non tentare da soli
Ogni mattina migliaia di scandinavi lo fanno. Per alcuni bastano un paio di volte alla settimana, per altri è un rito quotidiano del quale non si può fare a meno. Ai duri e puri non serve altro che un piccone per aprire un foro nel ghiaccio e via, ma la maggioranza preferisce il bagno d’inverno in modo organizzato e in compagnia, come consigliato dalle autorità.
È una tradizione antica che, con nuove vesti, conquista le grandi città sul mare, dove abbondano le saune e si organizzano incontri e feste all’insegna di tuffi di ogni genere. I più estremi sono i cosiddetti “vichinghi del termosifone”, che si scaldano in sauna prima dell’immersione, per far si che lo sbalzo di temperatura sia estremo. Ma dietro la moda c’è una realtà dove la mancanza di luce per mesi e mesi, e il diffuso magone stagionale richiedono contromisure drastiche.
Lo sanno i fondatori di “Mörkrets och kylans glada vänner”, letteralmente “amici gioiosi del freddo e del buio”, una fondazione svedese che attraverso gare in acqua gelida, promosse insieme all’organizzazione mondiale per il nuoto invernale, mira ad arricchire la vita degli abitanti nordici.
Secondo uno studio del 2014, i bagni d’inverno raddoppiano il rischio d’infarto, ma dimostrare il collegamento è difficile, ma di contro un’altra teoria vuole che si sviluppi una migliore protezione contro i virus stagionali. Bo Belhage, medico danese studioso degli effetti dell’acqua ghiacciata sul corpo ed egli stesso bagnante d’inverno, non ha dubbi: «È sicuro per quasi tutti, ma si rischia la vita se non si cominciano i bagni prima dell’arrivo del freddo, è fondamentale far abituare gradualmente l’organismo alle basse temperature». Altra avvertenza medica: «Il bagno va fatto sempre in compagnia, mai da soli».
Le controindicazioni sono molte. È sconsigliato in assoluto per chi soffre di dolori al petto, battito cardiaco instabile e pressione alta, e sono vietate bravate come buttarsi di testa (può provocare uno stato di shock) e mettere il capo sotto il ghiaccio. Tra le reazioni indesiderate si contano i crampi e l’iperventilazione, che scatta di riflesso nel momento in cui i glutei vengono messi sotto l’acqua. A quel punto, invece di continuare a immergersi, bisogna fermarsi e recuperare il controllo del respiro, altrimenti si rischia l’iperventilazione incontrollata e, a seguire, lo svenimento, con l’evidente pericolo di trovarsi in mare.
Ma non è tutta sofferenza. Al contatto con il freddo, i vasi sanguigni si contraggono, la pressione si alza e si ha come una sensazione di sangue che scorre forte nelle vene. A livello neurologico, ci sarebbe un aumento di sostanze come l’adrenalina e l’endorfina che, insieme alla serotonina, inducono un senso di eccitazione e felicità. In tanti descrivono una sensazione di ebbrezza.
Il bagno invernale viene anche indicato come una specie di antidolorifico generale il quale, per via della scossa fredda che attiva il sistema nervoso simpatico, crea un successivo e piacevole rilassamento [Metz, Sta]
.
Curva di Laffer
«2 dicembre 1974 Arthur Laffer, giovane professore dell’University of Chicago, era al ristorante Two Continents dell’Hotel Washington nella capitale insieme ai repubblicani Dick Cheney, Donald Rumsfeld (capo di Gabinetto di Gerald Ford) e del cronista del Wall Street Journal Jude Wanniski. A un certo punto disegnò su un tovagliolo una curva. “Erano aliquote e introiti fiscali”, ci spiega Laffer, 77 anni, oggi a capo della sua società di consulenza di Nashville dopo una lunga carriera accademica. “Dimostrava che dopo un certo livello all’aumentare delle aliquote non corrisponde un maggior gettito ma un calo. L’importante è identificare a seconda del momento storico il punto di svolta. Allora era sul 30%, ora che è aumentata la competizione globale è sceso al 20”. L’originale di quel tovagliolo è in mostra al Museum of National Heritage di Washington, Laffer divenne nel 1981 capo economista di Ronald Reagan e varò una riforma fiscale molto controversa a cui è ispirata quella di Trump.
Allora come ora si parlò di regalo alle aziende e ai ricchi.
Dov’è il bene per l’economia?
«Le rispondo con i dati: la riforma entrò in vigore nel dicembre 1982 e da allora allo stesso mese dell’anno dopo l’economia crebbe del 9%. Nel 1984 la crescita fu del 7%, negli otto anni dei due mandati in media del 3,2».
Però si ricorda il disastro per le finanze pubbliche.
«Se c’è stato qualche disastro, è stato dovuto alla mancanza di controlli successivi sulle spese — erano gli anni del build- up militare di Guerra Fredda e successive guerre — e all’infinità di deduzioni e privilegi che hanno portato i ricchi, gente come Bill Gates o Warren Buffett, a pagare aliquote ridicole, a una cifra. La colpa fu delle amministrazioni successive, non tanto di Clinton, per il quale votai, quanto di George W.Bush. Quello sì che fu un disastro, la crisi del 2008 è colpa sua» [Artur Laffer a Eugenio Occorsio, Rep 3/12].
Pubblicità
«Ho la terza media e gli algoritmi non li ho studiati. Mi è bastato capire che l’algoritmo è la formula che risolve un problema. Mi sono detto: se esiste un algoritmo che risolve un problema, deve esistere un contro-algoritmo che il problema lo crea e che ne moltiplica l’effetto in termini di viralizzazione. Ecco, i bufalari creano dei contro-algoritmi. Lavorano sui nervi scoperti dei gruppi di discussione sui social.
Comprendono quali temi sono potenzialmente in grado di incendiarli e il gioco è fatto. Basta dare fuoco. Nei giorni del diesel gate, misi in piedi un falso concorso ai cui partecipanti la Volkswagen regalava auto.
L’azienda ebbe i call center intasati per ore e fu costretta a fare un comunicato stampa».
Un giorno, alla porta di Leonardo, come a quella di alcuni suoi amici hacker e ingegneri sociali, cominciano a bussare i broker pubblicitari. Cercano gente che faccia traffico e i bufalari sono i re del traffico» [Loenardo Piastrella, bufalaro pentito, a Carlo Bonini e Giuliano Foschini di Rep 3/12].
Animali
«Tengo a fare i complimenti all’Italia per gli sforzi in favore degli animali. Per esempio la proibizione degli animali nei circhi, il diritto di obiezione di coscienza per gli esperimenti sugli animali, il divieto di ingozzare le oche per produrre foie gras e i quattro giorni alla settimana in cui la caccia non è autorizzata. Adesso resta da contrastare l’abitudine di mangiare la carne di cavallo, la cosa più orribile che gli italiani continuano a praticare soprattutto nel Sud, a Bari, conosciuta per i suoi atroci mattatoi di cavalli e il loro consumo. Vergogna» [Brigitte Bardot a Stefano Montefiori, CdS 3/12].
Madre
Daniela Manzitti, che ha fatto arrestare il figlio latitante nella speranza che in cella la smetta di drogarsi e si prepari a una nuova vita. «Ho seguito Michael in caserma, e non potrò mai dimenticare il suo ultimo sguardo, carico di rancore: “Ti odierò per il resto della vita”, mi ha gridato prima che lo trasferissero al carcere di Trani... Non ci siamo più visti da allora. Ai colloqui sono andati la compagna e il mio terzogenito, che ha 16 anni. Lei ha cercato di minimizzare, dice che lui cambiava discorso quando provava a parlargli di me. Ma il piccolo me lo ha detto chiaro: “Ma’, sta incavolato nero...”. Tornando indietro, però, lo rifarei... Non voglio dire che è una vittima, ma l’infanzia è stata quella che è stata e io ho le mie responsabilità: dopo suo padre, ho avuto un compagno molto violento. Poi lavoravo di notte come vigilante, di giorno ero stanca e forse non vedevo quello che avrei dovuto vedere... In casa è sempre stato un angelo, sbrigava le faccende, mangiava quello che preparavo senza mai protestare. Però quando usciva si trasformava, io gli vedevo proprio cambiare il passo, diventava un altro che a guardarlo di spalle non l’avrei riconosciuto nemmeno io che l’avevo messo al mondo» [Serra, CdS 3/12].
Romiti
LUGANO Ingegnere, anche lei, come Scalfari, tra Berlusconi e Di Maio voterebbe Berlusconi?
«Ovviamente mi asterrei».
Non vale. Bisogna scegliere.
«È una questione improponibile. Si può restare a casa, o votare scheda bianca. Berlusconi fa venire in mente quando, rovistando tra le cose vecchie, si trova un abito in disuso; e infilando una mano nella tasca spunta un vecchio biglietto del tram già obliterato».
Allora perché Scalfari lo voterebbe?
«Scalfari è stato talmente un grande nell’inventare Repubblica e uno stile di giornale che farebbe meglio a preservare il suo passato».
Sta dicendo che ha avuto un lapsus?
«Penso l’abbia fatto per vanità, per riconquistare la scena. Ma è stato un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di Repubblica , me compreso. Berlusconi è un condannato in via definitiva per evasione fiscale e corruzione della giustizia. Se non fosse per l’età, sarebbe un endorsement sorprendente per uno come Scalfari che ha predicato, sia pure in modo politicamente assai cangiante, la morale».
C’è stata una frattura personale tra lei e il fondatore?
«Penso che la risposta di Scalfari abbia gravemente nuociuto al giornale» [Carlo De Benedetti a Aldo Cazzullo, CdS 3/12].
Papa
Venerdì ha nominato a Dacca i Rohingya, la minoranza musulmana cacciata dall’esercito birmano. Avrebbe voluto poterlo fare anche nel Myanmar?
«Non è stata la prima volta, li ho nominati più volte all’Angelus in San Pietro. La domanda mi fa riflettere su come io cerco di comunicare. Per me la cosa più importante è che il messaggio arrivi. E per questo bisogna dire le cose passo passo, e ascoltare le risposte. Un adolescente in crisi può dire quello che pensa sbattendo la porta sul naso all’altro, e il messaggio non arriva. A me interessava che questo messaggio arrivasse. Ho visto che nel discorso ufficiale, se avessi detto quella parola, avrei chiuso la porta in faccia. Ma ho descritto la situazione, ho parlato dei diritti per tutti, nessuno escluso. Per poi permettermi, nei colloqui privati, di andare oltre. Sono rimasto soddisfatto dei colloqui. È vero, non ho avuto il piacere di chiudere la porta sul naso pubblicamente, ma ho avuto la soddisfazione di dialogare, e così il messaggio è arrivato» (papa Francesco) [Vecchi, CdS 3/12].
Lirica
Nella lirica gli amori sono sempre più forti di tutti. Lo vedremo anche nell’Andrea Chènier diretto da Riccardo Chailly il 7 dicembre, grandioso affresco storico in cui al centro è la passione. Un concetto che è bene ribadire oggi visto che pure i giovanissimi - forse per timore del rifiuto, di restare feriti - nelle relazioni si schermano dietro ai social, vanno avanti a WhatsApp. "L’opera sms" non esisterà mai e la musica resterà un’arte che sprona la persone a esprimere quel che provano. [Alexander Pereira, sovrintendente e direttore artistico della Scala a Io donna 2/12]
Zucchero
Le rabbia le ha permesso di scrivere canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana.
E’ vero (ride)., l’inferno è arrivato alla fine degli Ottanta quando il matrimonio è naufragato. Continuo ad essere ossessionato da ciò che poteva succedere e non è accaduto: è finita perché lei era troppo gelosa, dopo tutto questo tempo forse si è pentita. Ma ormai è troppo tardi. [Zucchero a Salvo Barbasso, Io Donna 2/12]
Cuochi
Il bravo cuoco è un artista che stupisce con le sue combinazioni di sapori, che sorprende con la preparazione dei piatti e la loro presentazione. Al ristorante, non in tv. [Aldo Grasso, Io Donna]
2/12
Suicidi
Smartphone
Chi ha tra i 15 e i 20 anni controlla lo smartphone in media 75 volte al giorno; tra i 26 e i 30 anni 63 volte al giorno; tra i 26 e i 40 anni 43 volte al giorno; oltre i 40 anni 39 volte al giorno (dati dell’Associazione nazionale dipendenza tecnologie) [La Verità 29/11].
Facebook
Le storie del signor Ayhan Uzun e della piccola Katelyn Nicole Davis. Lui, turco di 54 anni, si è suicidato in diretta su Facebook il mese scorso perché – così riportano i media che si sono occupati della questione – sua figlia si sarebbe fidanzata senza il suo permesso. Lei, inglese di 12 anni, ha registrato in diretta il suo suicidio su un altro sito, Live.me, ma quando lo stesso video è stato postato su Facebook il social network ci ha messo due settimane prima di accorgersene e di toglierlo [Eugenio Cau, Il Foglio 29/11].
Prevenzione
Mark Zuckerberg ha annunciato che Facebook ha sviluppato un sistema di intelligenza artificiale che aiuta a prevenire i suicidi, o quanto meno a riconoscere chi potrebbe avere tendenze suicide molto più velocemente di qualunque revisore umano. Il sistema è proattivo, nel senso che l’intelligenza artificiale controlla i post e i contenuti degli gli utenti, e rileva i possibili contenuti a rischio. Se l’intelligenza artificiale giudica che un utente di Facebook abbia tendenze suicide in base ai suoi commenti o alle sue foto, avverte un operatore umano, che a sua volta può attivare protocolli di sicurezza come per esempio mettere in contatto il soggetto a rischio con società specializzate in prevenzione.
Il sistema sarà attivo in tutto il mondo tranne che nell’Unione europea, che ha regole stringenti sulla privacy, e non consente a Facebook di scansionare i post degli utenti a piacimento e senza chiedere il permesso [Eugenio Cau, Il Foglio 29/11].
Carceri
Dati sulle carceri aggiornati al 31 ottobre scorso: a fronte di una capienza regolamentare di 50.544 unità, sono presenti nelle strutture italiane 57.994 detenuti, di cui 10.249 in attesa del giudizio di primo grado [Il Dubbio 29/11].
Telai
L’Italia è il primo paese al mondo per bilancia commerciale nel settore telai per maglieria, circolari, con cilindro di diametro =< 165 mm, con un surplus con l’estero nel 2016 di 136 milioni di dollari, davanti alla Germania [Il Foglio 29/11].
Grillo
Grillo, dopo aver qualificato di stalker Mdp e Lega Nord che s’immaginano un qualche asse con i cinquestelle (vedi Anteprima di venerdì), s’è però spaventato delle cause che gli hanno mosso i ventitrè napoletani espulsi dal Movimento con una semplice mail. Ha perso tutt’e ventidue le cause al primo grado di giudizio e adesso, per non correre il rischio di rifondere i danni, ha offerto ai ventitrè, tramite l’avvocato Paolo Morricone, il rientro degli attivisti, il pagamento delle spese legali (circa diecimila euro) e la garanzia di poter partecipare alle primarie per le candidature alle prossime politiche. Un posto, o quasi, in lista che in realtà è semplicemente conseguente alla loro riabilitazione. Non tutti hanno intenzione di accettare [La Stampa, 11/11]
Prevenuti
«Mai andare a teatro non prevenuti» [Mattioli, Stampa 11/11].
Clan
Accade nel 2015, ai tempi del funerale sfarzoso e pacchiano per il capostipite dei Casamonica, Vittorio. Salvatore Casamonica pretende il pizzo dagli esercizi commerciali del Tuscolano e al titolare di un pub fa il seguente discorso: «Voi con ’sta movida avete rotto. La gente fa rumore, così in piazza passano di continuo i carabinieri e i miei non possono più lavorare». Sottinteso, con la droga. «Ora, siccome io non ci voglio rimettere... Me dovete dare ’sti sordi. So’ 500 euro a settimana [Grignetti, Sta 12/11]
Morricone
Morricone. «L’Oscar – ci tiene a sottolineare - me l’aspettavo nell’87, a quelle musiche tenevo particolarmente. Invece se lo prese Herbie Hancock per Round Midnight. Per carità: non discuto l’artista, ma non erano neanche tutte composizioni originali. Ricordo le proteste alla cerimonia di consegna. Poi l’Oscar è arrivato con The Hateful Eight che all’inizio neanche volevo fare. Tarantino venne a trovarmi a casa, mi raccontò questa idea singolare del western girato sulla neve. Solo Corbucci poteva avere un’idea del genere e così mi sono lasciato convincere».
Morricone ti parla di quando, una sera a cena con Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini, propose loro il soggetto originale per un film che avrebbe dovuto intitolarsi La morte della musica, su un’immaginaria umanità del futuro cui un dittatore vieta le sette note. «L’idea piacque – racconta – ma nessuno dei due alla fine ne fece niente». Trama da romanzo, in un certo senso surreale che ieri sarebbe potuta entrare nelle corde di Fellini. Oggi potrebbe forse intrigare Paolo Sorrentino? «Non ci credo», risponde. «Ogni progetto appartiene alla propria epoca. E poi Fellini stesso fece Prova d’orchestra, film che si poneva un po’ domande analoghe». Morricone non è stanco di girare. Che si tratti di pellicole o teatri. [Prisco, Sole 12/11]
Piranesi
All’inizio Piranesi campava realizzando un rame al giorno - sempre una vedutina di Roma - che vendeva poi au turisti per 12 franchi.
Prima vive a via del Corso (di fronte a Palazzo Mancini Salviati, allora l’Accademia di Francia), e dal 1760 si trasferisce a Palazzo Tomati in Strada Felice, ora via Sistina, possedeva anche un museo: gran parte di queste vedutine è adesso in Svezia
Frugando solo tra le licenze concesse e non badando alle vendite clandestine, se ne vanno, da metà Cinque a fine Settecento, 15.512 quadri; 4.168 sculture e marmi, più 190 spedizioni di materiali architettonici.
Eterna anche quello che diverrà il più celebre oggetto dell’antichità, il Vaso Portland del I secolo a.C.: vetro a cammeo blu cobalto e decori in bianco. Era del primo mecenate di Caravaggio, il cardinal Del Monte che se ne vanta con Rubens e Cassiano del Pozzo; passa ai Barberini, ma donna Cornelia, «sfortunata alle carte», lo vende, ora è al British Museum di Londra.
nel 1785, in Svezia arriva una nave, con 96 lotti Piranesi
Isman, recensendo Pierluigi Panza Museo Piranesi, 580 pag., 45 euro, Skira
Numeri 2
E’ il Lussemburgo ad avere il record dei divorzi: 65 ogni cento matrimoni. Malta era uno dei tre Stati al mondo, insieme a Filippine e Vaticano, a non ammettere il divorzio fino a maggio 2011. In seguito a un referendum (favorevole il 53% dei votanti), fu varata una legge ma, stando ai dati Eurostat, sono pochi a farvi ricorso: 11 divorzi su 100 unioni. [Anna Maria Angelone, Panorama 24/11]
Matrimoni
Per la prima volta, da dieci anni a questa parte l’Istat ha rilevato anche un aumento dei matrimoni: nel 2015 ne sono stati celebrati 194.377, 4.600 in più rispetto al 2014. [ibidem]
Donne
Il compositore Pino Donaggio dice che non ama lavorare con le registe donne «perché, non so come mai, cambiano idea ogni giorno e diventa tutto un disastro» [Accatino, Sta 30/11]
41 bis
Al 41 bis si può usare la radio, i giornali, ma non la tv. È il verdetto della Cassazione nei confronti di Vincenzo Forastefano, boss recluso al 41 bis, con una condanna a 24 anni di carcerazione dura. Forastefano aveva fatto ricorso lamentando «la violazione del diritto all’informazione, segnatamente l’asserito inibito accesso all’informazione televisiva» [D.A., Il Dubbio 30/11].
Televisione
La tv per i detenuti in regime di 41 bis non è vietata per legge ma è a discrezione dell’amministrazione penitenziaria. Infatti, ricordiamo che la nuova circolare sul 41 bis ribadisce il diritto di avere la tv in cella, ma a determinate condizioni. Il telecomando della tv deve essere sigillato e piombato, al fine di evitarne la manomissione, e frequentemente controllato dal personale di polizia penitenziaria. La visione dei programmi è limitata ai principali canali della rete nazionale vale a dire pacchetto Rai (1- 2- 3- 4- 5, News, Movie, Scuola, Storia, Rai sport 1 e 2, Premium, Yoyo, Gulp), Canale 5, Rete 4, Italia uno, La7, Cielo, Iris e Tv 2000, preventivamente sintonizzati e abilitati dal tecnico di fiducia della Direzione [D.A., Il Dubbio 30/11].
Silicon Valley
Da febbraio partirà il primo volo diretto Roma-San Francisco, della Norwegian Air. Costo: circa 200 euro. Roma era l’unica capitale dei paesi del G8 a non avere un collegamento con la Silicon Valley [Michele Masneri, Il Foglio 30/11].
Hiv
Nel 2016 sono state segnalate 3.451 nuove diagnosi di infezioni da Hiv in Italia. Di queste, 778 sono i casi di Aids Conclamato. La persone che hanno scoperto di essere sieropositive sono maschi nel 76,9% dei casi. L’età media è di 39 anni per i maschi e di 36 per le femmine. La fascia d’età più a rischio è quella tra i 25 e i 29 anni. Il 35,8% delle nuove diagnosi di Hiv nel 2016 riguardano persone di nazionalità straniera. Dati dall’ultimo studio del Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità [Carlo Tarallo, La Verità 30/11].
Fertilità
«Si legga Il trionfo della fede del sociologo della religione Rodney Stark, soprattutto il capitolo sull’Europa e il paragrafo “Fertilità e fede”. C’è il rischio di diventare ottimisti come l’autore. Da pagina 93 appaiono i risultati di una ponderosa ricerca (prestigiosissimi gli istituti coinvolti) che mostra la correlazione fecondità/pratica religiosa. I dettagli sono nel libro, edito da Lindau, qui mi limito a dire che in Europa le donne cristiane in età fertile si dividono in due grandi gruppi: 1) le non praticanti, che fanno mediamente meno di due figli; 2) le praticanti, che fanno mediamente più di due figli. Fra chi a messa non ci va mai e chi ci va ogni domenica la differenza è del 25 per cento. Che sale addirittura al 53 per cento confrontando le non praticanti con le iper-praticanti, coloro che a messa ci vanno anche durante la settimana. Poi dicono che pregare non serve...» [Camillo Langone, Il Foglio 30/11].
Classe media
«Secondo i dati della Banca mondiale, nonostante le sanzioni internazionali, la Corea del Nord cresce, ed è mutata anche la “classe media” di una città come Pyongyang. Ma nelle campagne inaccessibili, nei campi di lavoro, la situazione è ben diversa. Il sistema economico di Kim Jong-un è ancora quello di trent’anni fa: ogni singolo centesimo concorre allo sviluppo degli armamenti che siano in grado di tenere in piedi la dinastia dei Kim e coronino il sogno di una Corea del nord come potenza nucleare» [Giulia Pompili, Il Foglio 30/11].
Barzellette
«Lo stereotipo secondo il quale gli scienziati soffrano di una limitata dimestichezza nella sfera delle relazioni umane è scherzosamente illustrato in una nota barzelletta la cui versione originale sembra attribuibile a George Smoot (1945), Premio Nobel per la fisica nel 2006.
Un giovane fisico entra in una gelateria e ordina due coppe al cioccolato; ingurgita la prima avidamente e pone la seconda davanti a una sedia vuota aspettando che il gelato si sciolga. Il cameriere gli chiede allora se qualche cosa non sia stato di suo gradimento e lo scienziato gli confessa che, secondo i principi della meccanica quantistica, esiste la possibilità che la materia sulla sedia vuota si riorganizzi in una bellissima ragazza che, conquistata dal gentile dettaglio, accetti di uscire con lui. Quando l’inserviente gli suggerisce d’invitare fuori una delle tante signorine che frequentano il locale poiché fra di loro ve n’è almeno una pronta ad accettare, il fisico risponde: “Inutile: la probabilità di un tale evento è statisticamente nulla”» [Carlo Maria Polvani, L’Osservatore Romano 30/11].
Dittature/2
«La carriera politica di Matteo Renzi è stata così violenta che ormai non lo voterà più nessuno. Forse fra dieci anni, sempre che l’Italia non sia ancora diventata una dittatura fascista come tutta Europa, può tornare» (la giornalista di Repubblica Natalia Aspesi) [Luca Telese, La Verità 28/11].
Profumi
L’Italia è il terzo paese al mondo per bilancia commerciale nel settore profumi e acque da toletta, con un surplus con l’estero nel 2016 di 619 milioni di dollari, dietro alla Francia e alla Spagna. Nel 2016 l’Italia ha esportato profumi e acque da toletta per 1105 milioni di dollari con un import di 486 milioni di dollari. I principali paesi di destinazione dell’export italiano di profumi e acque da toletta sono: Germania (173 milioni di dollari), Stati Uniti (107 milioni di dollari), Emirati Arabi Uniti (84 milioni di dollari), Hong Kong (68 milioni di dollari), Regno Unito (65 milioni di dollari) [Il Foglio 28/11].
Acquisti
Archiviato il Cyber Monday, il lunedì degli acquisti online, si fanno i con- ti negli Stati Uniti e in Europa del weekend di shopping iniziato con il Black Friday. Tra negozi reali e virtuali gli americani hanno speso circa 25 miliardi di dollari, 15 dei quali, per l’osservatorio Adobe Analytics, sul web. In Italia gli affari sono stimati intorno a 1,5-2 miliardi di euro, il 52 per cento online. Si tratta di aumenti del 18-20 per cento, in controtendenza rispetto al calo di fiducia dei consumatori rilevato a novembre da Istat [Il Foglio 28/11].
Notizie vere
Ritorniamo a internet come fonte di informazione. Come combattere le notizie false?
«Certamente non ergendosi a censori. Non rivolgendosi a organizzazioni internazionali, come proposto da qualche bell’ingegno. Controllare tutto è impossibile. Bisogna, allora, agire in altro modo. Immettere nella rete sempre più notizie e informazioni controllate, “vere” (nei limiti in cui la verità è raggiungibile). Esempio: se un campione rappresentativo degli italiani crede che il numero degli immigrati sia in Italia il 27 per cento della popolazione, occorre che una macchina di produzione di notizie “vere” immetta in rete dati sicuri (gli immigrati non superano l’8 per cento circa degli italiani). Spazi enormi per Istat» [il professore Sabino Cassese al Foglio 28/11].
Robot
«Un fittizio bambino giapponese di sette anni, che non esiste materialmente ma può interagire per iscritto coi nostri smartphone, è stato appena inserito dal comune di Tokyo nella lista dei residenti. Un robot, anzi una signora robot antropomorfa in gomma siliconica, costruita due anni fa e in grado di riconoscere gli interlocutori grazie a microcamere collocate dietro gli occhi, ha non solo ottenuto la cittadinanza dell’Arabia Saudita ma anche rilasciato dichiarazioni oltremodo ragionevoli ai giornalisti che l’hanno intervistata» [Antonio Gurrado, cit.].
Fake news
Fake news era già quella della “Great moon hoax” nel 1835, quando il New York Times diffuse la notizia della scoperta della vita sulla luna (da Parole e potere di Giovanni Pitruzzella, Oreste Pollicino e Stefano Quintarelli, Egea editore) [Il Foglio 26/11].
Tale e quale
«“Adesso non esco soprattutto per guardare Tale e quale Show” dice Vezzoli, noto guardatore ingordo di televisione. Ha studiato Gianni Boncompagni e Andy Warhol. “Lo guardo tutti i venerdì”. Ma fai finta, dai. “Scherzi? Fammi delle domande. La Goggi dice sempre chapeau, De Sica dice la parolaccia, Montesano fa la macchietta, so tutto”. “Tale e quale Show offre un’analisi sociologica geniale: una nazione senza celebrity costruisce attorno all’assenza di celebrity uno show dove vengono invitate delle celebrity sfigatissime, che fare venire quelle vere costerebbe certo meno”. L’arena di Giletti ti piace? “Troppo fighetto. Io voglio Tale e Quale, oppure Gore Vidal. O il nulla o il tutto”. E i talk? Si indigna molto. “Ma sei pazzo? Come faccio a guardare Cuperlo? Cuperlo, D’Alema. Stanno sempre in tv. Il tema non è dire qualcosa di sinistra. Il tema è dire qualcosa di memorabile. Diaghilev diceva Etonnez-moi, stupitemi. Come si permettono questi di annoiarci così?”. E che devono fare? “Io ho chiesto a Annie Leibovitz di fotografarmi con mia madre su Vogue America, e l’ho ottenuto”. Eh, ma che deve fare Cuperlo. Su Vogue pare difficile. “Si inventi qualcosa” (si inalbera). “Prenda-no la Bonino, una bella figura, una donna. O Renzo Piano. Conosce tutti i più ricchi della terra, i ricchi veri. Lui dovrebbe fare il mega consulente alla sinistra italiana”» [l’artista Francesco Vezzoli a Michele Masneri, Il Foglio 26/11].
Foto
All’ingresso della sua casa di Los Angeles, dove viveva con il domestico Fernando, Gore Vidal aveva le foto di lui con: Hillary, la principessa Margaret, Paul Newman [Michele Masneri, Il Foglio 26/11].
Premi
Nella sua casa romana Valter Veltroni ha il leone d’argento che Gillo Pontecorvo vinse per La battaglia di Algeri. «È la copia che gli regalò Steven Spielberg, perché l’originale gli era stato rubato» [Salvatore Merlo, Il Foglio 26/11].