L’Osservatore Romano, 17 gennaio 2018
Quelle donne che fecero l’impresa, Il ruolo femminile nella costruzione della basilica di San Pietro attraverso i secoli
La basilica di San Pietro, la cui maestosa bellezza lascia sempre senza fiato i milioni di fedeli e visitatori provenienti da tutti i continenti che ogni anno vi entrano, fu costruita alla maggior gloria di Dio, come un prezioso mosaico, da una moltitudine di artisti e artigiani che, nel corso dei secoli, l’adornarono di quanto di più bello al mondo: dipinti, sculture, marmi, bronzi, vetri, stucchi. Bertolt Brecht in una sua poesia si domandava: «Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì?». Appunto. Chi edificò questo tempio della fede e della bellezza? E dove abitavano i costruttori, i muratori?
Nessuno o pochi pensano che l’anima di questa chiesa magnifica fatta di solidissima pietra e di perfetti mattoni, travature, catene, costò infinite fatiche e affanni e che insieme fu anche nel tempo una fonte di reddito sicura per chi vi lavorò.
La Fabbrica di San Pietro vegliò da subito sulla costruzione della nuova basilica vaticana, avviata nel 1505. L’archivio della Fabbrica, splendidamente conservato, contiene una enorme quantità di documenti su San Pietro che comprendono tutti i registri di pagamento per la costruzione e i verbali con cui un gruppo di cardinali veramente “illuminati” sovrintendeva ai complessi aspetti economici che la costruzione di un edificio di tali proporzioni comportava. Dagli architetti, ai sovrintendenti, ai capomastri, fino ai più umili gradi del lavoro tutto era vagliato, controllato e, in un certo senso “certificato” con collaudi e controlli di qualità molto severi. Un fiume di soldi affluiva alle casse della basilica grazie alle offerte che comprendevano grandi donazioni regie, ma anche la più piccola elemosina.
La basilica fu innalzata sommando la creatività di artisti e artigiani eccezionali al dato dottrinale e alla spiritualità, che da ogni sua pietra ancor oggi trasuda. Nessuno però può sospettare nemmeno lontanamente che alla sua costruzione abbiano anche partecipato molte donne con ruoli assolutamente primari. È fresco di stampa il libro Le donne nel cantiere di San Pietro in Vaticano. Artiste, artigiane e imprenditrici dal XVI al XIX secolo (Foligno, Il Formichiere, 2017, pagine 267, euro 20) curato da Simona Turriziani e Assunta Di Sante, rispettivamente responsabile e viceresponsabile dell’archivio storico della Fabbrica di San Pietro, non nuove a imprese culturali di alto livello dedicate allo studio dei tesori di questo ente vaticano, che documenta con chiarezza e profondità di ricerche questo aspetto specifico della immane impresa.
Alla costruzione di San Pietro lavorarono molte “carrettiere”, fornitrici di materiali edilizi e “mastre muratori”, operaie fisicamente forti e ben organizzate, che erano in grado di trasportare carri pesanti di mattoni sabbia e calcine. E poi molte “capatrici” di smalti destinati ai mosaici che ricoprono la chiesa: una attività questa oltremodo faticosa perché queste donne restavano ore e ore chinate a cercare e raccogliere, fra i resti dell’antica basilica dell’imperatore Costantino che si andava progressivamente smontando, le tessere musive dei mosaici antichi da riutilizzare.
Accanto a queste donne vi erano le “fornaciare”, che avevano il compito di preparare gli smalti da utilizzare nei nuovi mosaici: la fabbrica aveva infatti bisogno di quantità enormi di questi materiali di delicata lavorazione, vetri che venivano formati in “pizze” poi lavorate fino a ricavarne le minute tessere colorate.
Fra queste donne, nel corso del tempo risalta la figura di Vittoria Pericoli, pittrice «cristallara e fabbricatrice di smalti», attiva nel primo Ottocento con una propria fabbrica di vetri e cristalli che forniva lo studio del mosaico vaticano con prodotti di qualità definita «perfetta». Una donna molto moderna, autonoma, indipendente, che fornirà anche le tessere dei mosaici per la ricostruzione di San Paolo fuori le Mura nel 1847 e per i restauri della basilica di Sant’Apollinare a Ravenna, ma anche artista di livello, allieva della miniaturista Theresa Mengs.
Donne incredibili come la colta Paola Baldo, stampatrice, nata verso il 1520, moglie di un famoso tipografo romano, Antonio Baldo. Rimasta vedova, non resta certo chiusa ripiegata in casa, ma si dedica a continuare l’attività del marito con ottimi risultati ed edita per la Fabbrica di San Pietro raffinatissime bolle, brevi, dispense, confessionali con il sigillo di San Pietro.
La storia che forse più colpisce fra tutte quelle fatte rivivere, per il suo alto valore simbolico, è quella di Francesca Bresciani tagliatrice di lapislazzuli. A lei viene affidata, fra 1672 e 1675, la decorazione in purissimo lapislazzulo del tabernacolo del Santissimo Sacramento dell’omonima cappella vaticana, una delle ultime opere di Gian Lorenzo Bernini.
Un oggetto iconico al quale il Papa Clemente x Altieri tiene particolarmente e per il quale vengono impiegati molti chili di lapislazzuli acquistati sul mercato napoletano dopo intense ricerche. Bernini, come al solito, si informa e nella gara per l’appalto del lavoro alla fine decide che fra tutti i maschi che si sono presentati la migliore «è la donna»: Francesca Bresciani. Un lavoro difficilissimo che comporta il taglio delle pietre grezze secondo i disegni dei profili di ogni singola lastra, con una ricerca assoluta sulla qualità, l’omogeneità del colore, la capacità di unire le lastrine per ottenere un effetto compatto senza che vi siano spezzature fra una vena e l’altra della pietra. L’archivio della Fabbrica di San Pietro conserva ancora le “mascherine” in carta per le specchiature polilobate della cupola del ciborio: fragili, uniche e preziose testimonianze di una altissima idea del lavoro. Francesca operò a questa impresa per due anni, a scapito anche della famiglia, della casa e soprattutto della «propria sanità», vegliando fino alle tre di notte e contestando con ragione anche Bernini, di cui ricusò le conoscenze, affermando che lavorare la pietra e lavorare le “gioie” erano cose ben diverse e che Bernini non sapeva distinguerle.
Tanto brava saggia e professionale che a lei verrà ancora affidato nel 1678 il lavoro di intaglio e “commettitura” del fondo di lapislazzulo della croce fusa da Domenico Lucenti su disegno dell’ottantenne Bernini: un altro lavoro perfetto, dove il corpo di Cristo dorato di squisita cesellatura pare proprio librarsi sopra l’azzurro del cielo di cui è Signore. Una donna dunque ha realizzato uno degli oggetti più sacri della basilica, destinato a ospitare l’Eucaristia: un fatto che ci commuove ancor oggi in tempi in cui alle donne non dovrebbe essere negato alcun luogo e alcun lavoro, ma che invece vede ancora scenari assai oscuri.
Duecentocinquanta anni fa, in una ben diversa temperie culturale e storica, in Vaticano nessuno ebbe paura di affidare a una donna un lavoro così importante. Ci auguriamo che unite alle mani di Francesca siano sempre attorno al quel tabernacolo le preghiere di tutte le donne del mondo. Papa Wojtyła ricordava nella lettera apostolica Mulieris dignitatem che «persino nei periodi più oscuri della storia si trova il genio delle donne che è la leva del progresso umano e della storia». Questo nuovo libro ne costituisce una nuova e preziosa testimonianza.