Avvenire, 17 gennaio 2018
Operazioni di pace e addestramento: truppe italiane in 35 missioni internazionali
Il 2017 è stato un anno fitto di impegni per i militari italiani: 37 missioni, di cui 35 all’estero e due in patria. Un mosaico di interventi a tutto campo, dagli Emirati Arabi Uniti all’Antartide, per un totale di 24 Paesi e 6.698 uomini. Dati che confermano la tendenza dell’ultimo ventennio. Dagli anni ’90, le missioni oltreconfine sono diventate lo strumento numero uno della politica estera e di sicurezza dell’Italia. Vengono inviati contingenti ovunque, nei Balcani, in Africa, nelVicino Oriente, in Asia centrale, nell’Oceano Indiano e nel Pacifico, mostrando una smania di partecipazione non sempre giustificata dal ruolo dell’Italia nello scenario geopolitico internazionale, nonostante la vicinanza alle aree di crisi mondiale, dai Balcani, al Nord-Africa al Medio Oriente. Le missioni costano care. L’anno scorso si sono spesi più di 1,4 miliardi di euro, sostenendo lo sforzo più intenso in Iraq, nell’ambito della Coalizione dei volenterosi contro il Daesh, che ha drenato il 26,5% del budget totale. Insieme agli alleati della Nato l’Italia partecipa a nove missioni, la principale delle quali in Afghanistan, dove sono schierati 900 uomini, 148 mezzi terrestri, 8 aerei e un’unità navale, per una spesa di 174 e passa milioni di euro. I 900 militari in teatro includono anche personale del Corpo Militare Volontario della Croce Rossa. Tutti operano ormai in una missione “non combat”: la Resolute Support, subentrata a Isaf nel gennaio 2015. Rimodulando proprio queste due grosse missioni, ne verranno aperte due nuove in Niger e in Tunisia, e rafforzata quella esistente in Libia. La sconfitta del sedicente “Stato islamico” consentirà di dimezzare i 1.500 militari schierati tra l’Iraq e il Kuwait. Rimarrà a Baghdad e a Erbil un contingente di istruttori, e saranno 200 i fanti a presidiare la Diga di Mosul, supportati da elicotteri e droni. Il ritiro riguarderà buona parte della quindicina di velivoli e la chiusura della base aerea in Kuwait, senz’altro gli elementi più costosi della missione. Si ridurrà anche l’impronta in Afghanistan occidentale, da 900 a 700 uomini, che saranno compensati dall’arrivo a Herat di altri contingenti della Nato. Ovunque l’Onu chiami, l’Italia risponde sempre, con finanziamenti, caschi blu e basi logistiche.
Il nostro Paese è sesto fra i “mecenati” del Dpko (Department of Peacekeeping Operations), il Dipartimento dell’Onu per le operazioni di peacekeeping. Brindisi sta riscoprendo i fasti geo-strategici dell’era imperiale romana: un tempo scalo principale verso il Levante, è oggi base logistica imprescindibile per interventi repentini nei Balcani, in Asia e in Africa. A Torino, la Scuola per Quadri dell’Onu è un altro punto di riferimento per molti ufficiali africani, accolti come corsisti di peacekeeping, diritti umani e prevenzione dei conflitti. Con i caschi blu dell’Onu, l’Italia collabora attualmente a quattro missioni, nelle zone calde di confini contesi e conflitti non del tutto sopiti, come in Mali, a Cipro, in India e Pakistan e, soprattutto, in Libano, dove abbiamo 1.100 uomini, lungo il confine problematico con Israele. Missioni che confermano l’area di gravitazione per antonomasia dell’Italia, fra il Mediterraneo, il Nordafrica e il Sahel.