Libero, 16 gennaio 2018
Adesso crepano anche i casinò
«Siamo diventati poveri». E se non si procede con tagli dolorosi andrà pure peggio e in capo a 2 mesi si rischia «il fallimento». La sintesi impietosa dello stato di crisi in cui è precipitato il Casinò di Campione d’Italia è di Roberto Salmoiraghi, esuberante primo cittadino dell’enclave italiana in terra svizzera.
La sala giochi (al 100% di proprietà comunale), da anni galleggia tra una crisi finanziaria e l’altra. Come se non bastasse l’inesorabile spostamento della clientela verso il più rapido gioco on line, ora il casinò comunale dovrà fare i conti pure con la concorrenza all’uscio. Una cordata austriaca (con capitali cinesi, pare), sta tentando di fagocitare quel po’ di turisti che il gioco sul tavolo verde e le slot ancora attira sul lungo lago: 672mila nel 2017, 40mila in meno anno su anno.
Il Casinò da tempo non versa nelle casse comunali tutti i circa 70mila euro al giorno che dovrebbe, come quelli di Saint Vincent e di Venezia. E così i 92 milioni di giro d’affari dell’anno scorso complice uno sfavorevole cambio tra euro e franco svizzero non bastano per mantenere il tenore di vita (e gli stipendi) di questo spicchio d’Italia.
La crisi del tavolo verde non nasce oggi. Il casinò di Campione ha accumulato un debito verso l’amministrazione comunale di oltre 33 milioni di franchi svizzeri. Altri 39milioni di esposizione si sono affastellati verso il sistema bancario. E così mentre i sindacati temono licenziamenti, il primo cittadino medico di professione parla di tagli «dolorosi ma indispensabili» per tentare di far riprendere «un paziente in coma». Dal nono piano del palazzo del gioco, nel Salone delle feste, sono accorsi in massa: i dipendenti del Casinò e del Comune. Ma pure i pensionati che dovrebbero incassare un’integrazione grazie ai proventi del gioco, ma da tempo non vedo un quattrino in più. Tutti consapevoli che non saranno soltanto i 490 dipendenti della casa da gioco (in cassintegrazione al 25% da 5 anni), a dover tirare la cinghia.
Salmoiraghi avvisa chiaramente i tremila concittadini: è ora di rendersi conto che il casinò non è più l’eldorado che è stato per decenni. «Per quarant’anni la casa da gioco ci ha reso ricchi. Ora siamo ufficialmente poveri, e dobbiamo prenderne atto». L’incontro pubblico, dopo che era filtrata sulla stampa ticinese e comasca la notizia dell’istanza di fallimento richiesta per il casinò dalla Procura di Como, mette in luce il disastro dei conti. Su 100 dipendenti comunali 41 probabilmente finiranno in mobilità. Tralasciando il “dettaglio” che da circa 4 mesi non ricevono lo stipendio per mancanza di liquidità. E come se non bastasse dal 1 ̊ febbraio si vedranno ridurre del 20% la retribuzione “virtuale”. Del resto ridurre ulteriormente turni e stipendi dei croupier sarebbe autolesionistico. E il tempo è poco: il Comune ha ora 60 giorni per evitare il fallimento.
Proprio per fare cassa il Comune ha da poco deliberato la cessione dell’adiacente Villa Mimosa ad una società austriaca (Novomatic). Incasso previsto 5 milioni. Gli austriaci ne investiranno 6 e si sono impegnati ad assumere 74 addetti madrelingua cinesi. Nella palazzina rosa, abbandonata da anni, entro il 2019 dovrebbe sorgere il Dragon Casinò per soddisfare la voglia di azzardo della clientela asiatica. Ogni anno oltre 60mila cinesi si riversano da tutto il nord Italia per scommettere e giocare. E dal prossimo anno non lo faranno più nel casinò comunale.