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 2018  gennaio 17 Mercoledì calendario

L’amaca

Perché Nicola Zingaretti sì e Giorgio Gori no? È uno dei misteri (tanti) che rendono imperscrutabile il cammino presente e futuro della sinistra italiana. La Lombardia, per tradizione e composizione sociale, è una regione ricca e moderata, di forte tradizione cattolica, nella quale la sinistra – comunque intesa – ha sempre preso randellate alle elezioni: con qualche importante consolazione nella capitale Milano, che però non fa testo perché Milano sta al suo contado come Parigi sta alla Francia (a proposito, a quando il gemellaggio Varese-Vandea?).
Il candidato Gori, tra i tanti possibili, è sembrato fin dal primo momento una buona carta da giocare, perché risulta si sia portato bene come sindaco di Bergamo e perché il suo profilo personale, professionale e politico è decisamente “lombardo”, non tanto perché lo sia di nascita (i discorsi etnici è sempre meglio lasciarli da parte), quanto perché è compatibile con la psicologia politica di una regione che non è portata a radicalizzare il dibattito, né all’impuntatura ideologica. È abbastanza democratico da non dispiacere all’elettorato di centrosinistra, abbastanza pragmatico da poter scalfire la diffidenza di quello di centrodestra. Il sospetto più malevolo, dunque, è che Gori non sia gradito alla sinistra non-Pd perché rischierebbe perfino di vincere. E la vittoria sarebbe, per quel pezzo della sinistra, un irrimediabile trauma identitario.