la Repubblica, 17 gennaio 2018
Tutti liberi i ragazzini delle baby gang. «Sono convinti di rimanere impuniti»
Napoli «Ogni volta rispondono sempre con la stessa frase: e vabbé, che mi fanno?», racconta don Tonino Palmese. Il responsabile di “Libera” a Napoli è un prete che ne ha visti tanti di ragazzi difficili. E dunque l’allarme sulla dilagante violenza giovanile nel cuore della città, dove ora il Viminale assicura l’invio di altri 100 appartenenti alle forze dell’ordine, rilancia anche il nodo sulla efficacia delle sanzioni previste dalla legislazione minorile.
L’ultima mossa ideata dalla procura minorile di Napoli è la scelta di configurare il «predominio di branco giovanile» quale futile motivo, contestandolo come aggravante del reato ai sedici indagati di una rissa con due accoltellati avvenuta a dicembre nel quartiere residenziale del Vomero. Restano tutti a piede libero, però. Così come sono sotto inchiesta, ma ancora liberi, i dieci sospettati per la gravissima aggressione subita da un quindicenne all’uscita di una stazione della metropolitana. È nel carcere minorile solo uno dei due indagati per il tentato omicidio del diciassettenne Arturo, accoltellato alla gola senza ragione nella centralissima via Foria, mentre il presunto complice per ora ha un alibi. «Non posso affermare che le baby gang siano terroristi, ma usano metodiche di carattere terroristico: quella di colpire perché si è casualmente in un posto», avverte il ministro dell’Interno Marco Minniti, ieri in prefettura per presenziare al vertice convocato dopo gli ultimi episodi. «Tornano i maestri di strada. Riporteremo questa esperienza con i fondi del Programma operativo sicurezza – spiega Minniti – e fin da subito scatta la tolleranza zero sui motorini da sequestrare, su quei giovanissimi che sfrecciano avendo disprezzo delle regole. La sfida qui è educativa e non meramente di ordine pubblico». Resta aperto però il tema delle sanzioni previste dal codice per i minori. Batte su questo tasto il centrodestra, con la deputata forzista Mara Carfagna che ripropone l’abbassamento dell’età imputabile, oggi ferma alla soglia dei 14 anni.
Ma anche un magistrato come l’ex pm Antonello Ardituro, oggi al Csm, invita a riflettere «da un lato – spiega – su un eventuale abbassamento, anche lieve, magari a 12 o 13 anni, ma soprattutto sulla possibilità di rivedere le sanzioni previste codice minorile. I diciassettenni di oggi non sono come i loro coetanei di 40 anni fa, perché non ragionare sull’applicazione del trattamento previsto per gli adulti ai ragazzi di età compresa fra i 16 e i 18 anni?», evidenzia Ardituro. La legislazione attuale garantisce al minore la pena ridotta di un terzo rispetto a quella prevista per l’adulto. Questo significa che è più difficile ottenere provvedimenti cautelari. Ad esempio, il minore che commette il reato di resistenza a pubblico ufficiale non può essere arrestato. Per i minori di 16 anni accusati di omicidio, i termini di custodia sono di quattro mesi, un periodo che raramente consente di completare le indagini per fatti così gravi. «I ragazzini avvertono questo senso di impunità – afferma don Tonino Palmese – sentono o credono di non rischiare nulla. Anche perché c’è un vuoto legislativo sulle responsabilità, che dovrebbero spettare alle famiglie nel caso di giovanissimi che trascorrono buona parte del loro tempo in strada, ai margini della legalità».
Gianfranco Wurzburger, che con la sua associazione “Assogioca” si occupa di oltre 200 bambini nel centro della città, evidenzia: «Un coltello si può comprare con 15 euro sulle bancarelle. Sono armi, non dovrebbero neppure essere vendute. Ma vedo giovanissimi, anche bambini di 8 o 9 anni, tenere in tasca quelle lame tranquillamente, senza temere alcuna conseguenza».
Ragiona la procuratrice per i minori di Salerno, Patrizia Imperato: «Il nostro codice minorile ha in sé gli strumenti per affrontare questa situazione. Però, ecco, dobbiamo forse arrenderci all’evidenza e prendere atto che il buonismo del passato, non solo da parte della magistratura, ma di tutta la società, non ci ha portato molto lontano. Le esigenze sono cambiate perché è cambiata la società e questa sensazione di impunità rappresenta anche una conseguenza di questo buonismo che, evidentemente, non ha dato buoni frutti. Il clima è cambiato già da un pezzo – assicura la magistrata – ma per voltare pagina definitivamente occorre tempo».