La Stampa, 17 gennaio 2018
Carlo Mollino. La felice ossessione per le forme
Una fotografia che sia documento nel senso letterale poco c’importa, o più precisamente e nel senso traslato del termine, comincerà a interessarci quando non sarà più un documento, ma ne avrà tutte le apparenze»: questa frase di Carlo Mollino, tratta dal suo saggio
Il messaggio dalla camera oscura
del 1949 riassume l’idea che il geniale architetto, designer, pilota, sciatore aveva della fotografia. Ed è la chiave per capire la bella mostra che si apre oggi a Camera e che raccoglie oltre 500 scatti molti dei quali inediti provenienti dall’Archivio Gabetti dei Politecnico di Torino.
Mollino, nato nel 1905 e figlio di un ingegnere e progettista della buona borghesia torinese, si può dire che sia cresciuto a pane e fotografia. Il padre, nella villa di famiglia a Rivoli, aveva costruito negli Anni 10 una camera oscura e utilizzava la fotografia sia per diletto sia per documentare i lavori del proprio studio. Così per Mollino sarà naturale ritrovarsi tra negativi e provini a contatto, macchine fotografiche e pellicole da sviluppare. Ma una grande e precoce passione, come testimonia una maestra delle elementari, nutre anche per il disegno. E le due passioni si congiungono, perché non c’è nulla di più distante nei suoi scatti, della poetica dell’immediatezza, che pure tanto successo ha avuto tra i fotografi del dopoguerra. Si potrebbe dire che Mollino «disegna» e progetta le sue fotografie in maniera non molto diversa da come disegna e inventa mobili e interni, palazzi e teatri (il suo canto del cigno sarà il Nuovo Regio di Torino, che si inaugura nel 1973, pochi mesi prima della sua morte).
Per lui una fotografia, quale che sia il soggetto ritratto, da una bella donna a uno sciatore, da un aeroplano a un’auto da corsa (Bisiluro si chiama l’avveniristica automobile che progetta e con cui correrà una 24 ore di Le Mans) deve rispondere al «progetto» che lui ha in testa, deve riprodurre certe forme e fin che ciò non avviene si continua a provare.
Di fronte al magma visivo di 500 immagini la scelta del curatore Francesco Zanot è stata di non tentare un percorso cronologico, ma seguire una suddivisione per temi e assonanze, che l’ha portato a scandire la mostra in quattro sezioni. Le mille stanze è la prima sezione, che ci riporta al tema dell’abitare lo spazio, fondamentale per un architetto ma anche per un fotografo. Ci sono qui le immagini del primo edificio progettato da Mollino negli Anni 30 a Cuneo, la «Casa degli agricoltori», dove le curve sinuose si sposano con le linee rigide dell’architettura razionalista.
Un mix che ritroveremo sovente nelle creazioni di Mollino, come ad esempio nella «mitica»«sede della Società Ippica Torinese, che è uno dei suoi capolavori. Lui lo realizza nel 1940 e con grande lungimiranza l’amministrazione torinese demolisce quello che oggi sarebbe sicuramente uno dei gioielli architettonici cittadini nel 1960, perché è scaduta la concessione e su quel terreno vuol costruire una scuola che sarà l’attuale liceo Alfieri.
La seconda sezione Fantasie di un quotidiano impossibile rimanda a quello che potremmo definire l’immaginario tra il dadaista e il surrealista, che costella la produzione fotografica (e non solo) di Mollino, con la presenza di specchi, ombre, manichini e teste di cavallo. Nella sua biblioteca troviamo non a caso i tredici i numeri della rivista Minotaure ideata da André Breton e pubblicata tra il 1933 e il 1939 come sintesi della poetica surrealista. Occhio magico è invece una pubblicazione (da cui il titolo della mostra), di formato minuscolo, voluta da Mollino e di cui escono solo quattro numeri, tra il 1944 e il ’45, ma importante sia perché su queste pagine fa il punto sulla fotografia italiana, sia perché le circa 40 immagini che ha scelto per la rivista sono le uniche da lui firmate e quindi oggi di grande valore sul mercato.
Qui troviamo in bella vista anche uno dei suoi Draghi da passeggio, ossia creature di carta che regalava agli amici (quello realizzato per Carol Rama dialogherà con le tele dell’artista nella mostra Animali e segni dal 22 febbraio alla Galleria Sabauda).
Mollino amava la velocità in tutte le sue declinazioni, che si trattasse di auto, aereo o sci e Mistica dell’acrobazia si chiama la quarta sezione in cui lo vediamo (curiosa in certe foto la sua rassomiglianza con Eduardo de Filippo) ora a bordo di un velivolo, ora guidare un automobile da corsa, ora creare strani ghirigori sulle piste da sci.
L’Amante del Duca, dal titolo di un suo racconto giovanile, è il titolo della quarta sezione dedicata alla figura umana e alle sue forme. Qui non potevano mancare le polaroid delle «donnine nude» che sono forse le fotografie più conosciute di Mollino. Personaggio eclettico e trasgressivo lui amava fotografare in case e ville che usava solo come set ragazze nude o vestite degli abiti che lui stesso si procurava a Parigi. Ma in queste fotografie c’è qualcosa di più che la semplice trasgressione c’è quell’attenzione alla forma che ritroviamo in tutta l’opera di Mollino. E lo dimostra il dialogo che i curatori delle mostra hanno creato tra alcune di queste polaroid e le foto di sciatori, le forme sorprendentemente si ripetono e sono simili, sia che si tratti di una ragazza in déshabillé sia di uno sciatore che disegna curve sulla neve. Ne esce fuori il ritratto di un intellettuale eclettico e in avanti con i tempi ma forse ancora oggi più apprezzato dalla cultura internazionale che nel suo Paese.