La Stampa, 17 gennaio 2018
E Washington schiera le atomiche in mare contro Pechino e Mosca
Il Pentagono vuole costruire due nuove armi atomiche, basate in mare, per contrastare le capacità militari crescenti di Cina e Russia. Un preoccupante abbassamento della soglia per l’uso del nucleare, ma soprattutto un segno della nuova linea del contenimento di Pechino e Mosca scelta da Washington, che va anche oltre le sfide belliche.
La strategia per la sicurezza nazionale, pubblicata dall’amministrazione Trump alla fine dell’anno scorso, individuava nella Cina e nella Russia le due potenze «revisioniste», che intendono rivoluzionare gli equilibri geopolitici globali per minare il predominio americano. La Repubblica popolare lo fa potenziando le forze armate, espandendo la sua sfera di influenza geografica, e accelerando la crescita economica e i commerci. Mosca lo fa con l’arsenale ereditato dall’Urss, il sogno di ricostruire la propria proiezione imperiale, ma soprattutto usando l’energia come un’arma e interferendo con i processi politici delle democrazie occidentali.
Dopo la nuova strategia per la sicurezza nazionale, il Pentagono sta per pubblicare la Nuclear Posture Review, cioè la revisione della dottrina sulle armi atomiche, che deve necessariamente andare al passo con le linee generali indicate dalla Casa Bianca. Secondo il Wall Street Journal, che ha anticipato il documento, il dipartimento alla Difesa è arrivato alla conclusione che gli Usa devono rafforzare il loro arsenale. La Cina, infatti, non fa mistero delle sue ambizioni militari, mentre la Corea del Nord è diventata di fatto una potenza nucleare ostile. La Russia, invece, ha violato l’accordo firmato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov, sviluppando una nuova generazione di missili terra-aria capaci di trasportare piccole testate atomiche, allo scopo di cambiare l’esito di eventuali guerre convenzionali. L’arsenale di Washington conserva la supremazia: 400 missili balistici intercontinentali contro i 302 di Mosca; 240 missili lanciabili dai sottomarini contro 160; 60 bombardieri contro 55. I progressi di Pechino e Mosca però sono preoccupanti, perché consentono un uso limitato delle armi nucleari che potrebbe cogliere gli Usa di sorpresa. Perciò il Pentagono vuole rispondere sviluppando nel giro di un paio di anni due nuovi sistemi «low yield», ossia a bassa intensità. Il primo è una testata di potenza ridotta, circa un kilotone o due, da montare sui Trident trasportati dai sottomarini; il secondo è un cruise lanciabile dal mare, sempre «low yield», che era stato ritirato nel 2010 dall’arsenale. Lo scopo è avere la capacità di condurre attacchi atomici limitati, rispondendo agli avversari senza scatenare la fine del mondo.
I critici dell’amministrazione Trump sostengono che si tratta di una scelta irresponsabile, perché abbassa la soglia per l’uso delle armi nucleari e quindi lo rende più facile, mentre invece Washington dovrebbe spingere nella direzione opposta. L’idea del Pentagono, però, va inquadrata nella strategia generale di contenimento delle due potenze, soprattutto nel Pacifico.
La Russia preoccupa meno, perché è un Paese in declino demografico che non produce più nulla: ha solo petrolio e gas, che usa come armi. Putin ha scelto una linea aggressiva, ma non ha molti strumenti per sostenerla a lungo. La Repubblica popolare invece è un po’ indietro sul terreno militare, ma ha potenzialità enormi di crescita sul piano bellico, industriale e tecnologico. Gli ultimi dati pubblicati venerdì hanno rivelato che nel 2017, nonostante la retorica di Trump, il surplus commerciale cinese con gli Usa è salito del 10%, toccando la quota record di 275,8 miliardi. Quindi Washington, secondo il Wall Street Journal, si sta preparando a rispondere con una guerra economica. Trump ne ha parlato lunedì al telefono con Xi, toccando due temi: la necessità di fermare la Corea del Nord, e l’insostenibilità della relazione commerciale. Se l’esigenza di contrastare Kim, e quindi non alienare Pechino, non resterà prevalente nell’interesse nazionale americano, il prossimo scontro potrebbe esplodere con la Cina sul terreno degli scambi economici.