Libero, 15 gennaio 2018
Il tramonto di De Benedetti
Ha fatto più governi lui di qualsiasi presidente della Repubblica. Ne ha ricavato forse più di tutti dividendi personali e aziendali. A sentire lui ha mosso pure le fila di qualsiasi leader di sinistra nella seconda Repubblica. Da Romano Prodi, che in fondo si era inventato molti anni prima insieme ad Eugenio Scalfari e Ciriaco De Mita. A Francesco Rutelli e Walter Veltroni: fu lui a rivendicare l’idea stessa del Pd. Fino a Matteo Renzi a cui si sentiva libero (parole sue verbalizzate) di dare del «cazzone», e a quel governo guidato da Pd di cui si sentiva da vecchio il gran burattinaio. Un potere talvolta reale, altre volte forse millantato nella leggenda di se stesso che ha sempre cercato di creare. Sono proprio le vicende degli ultimi giorni però ad avere sbriciolato quel trono in parte immaginario su cui sedeva Carlo De Benedetti.
L’ingegnere che una ne faceva e mille disfaceva andando incontro anche a rovinose avventure imprenditoriali (dalla smargiassata della Sgb quando disse sarcastico ai belgi che la «ricreazione era finita» e dovette tornarsene con le pive nel sacco fino alla triste e ingloriosa fine dell’Olivetti), è davvero giunto a fine corsa. E nel modo peggiore: la pubblicazione di quei verbali di interrogatorio Consob sul caso delle banche popolari gli fanno terra bruciata intorno, lo espongono a brutte figure con tutti i protagonisti citati (da Renzi, a Pier Carlo Padoan, fino ai vertici della Banca d’Italia), gli fanno giungere sberleffi perfino dalle sue creature (Repubblica, i figli, Eugenio Scalfari) e nel momento della gran caduta lo costringono ad osservare con una bile grossa come un cocomero la fenice del gran nemico Silvio Berlusconi risorgere dalle ceneri relegando all’ospizio proprio lui che ancora pensava di muovere i burattini della politica.
Quei verbali sono la pietra tombale per De Benedetti. Non tanto per i guai giudiziari che con la vicenda della speculazione lampo sulle banche popolari avrebbe potuto rischiare e da cui per l’ennesima volta l’ingegnere sembra essersi salvato per il rotto della cuffia. Ma per quelle smargiassate offerte agli ispettori Consob su tutti i potenti, da Renzi stesso di cui si sentiva il primo consulente, rivelando di avere inventato e avergli imposto il job act, all’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro con cui era inutile parlare di economia, che tanto poco ne capiva.
Non ha gradito ovviamente nessuno dei personaggi citati, e la terra bruciata intorno a De Benedetti emerge anche plasticamente da quell’intervento televisivo di Scalfari davanti a Bianca Berlinguer in cui il fondatore di Repubblica mostra il sollievo di essersi finalmente liberato dell’ingegnere che alla sua età più nulla può fare contro di lui. Ma a bruciare più di tutto a De Benedetti è la sua pensione obbligata con il ritorno sullo scenario politico di quel Berlusconi di cui aveva provato da anni a celebrare il funerale.
La stagione che si aprirà con le prossime urne comunque vada il risultato ha una certezza: non avrà più spazio di manovra il gran burattinaio. Magari non vincerà il centrodestra, ma Berlusconi sarà in qualche modo azionista del sistema di governo che ci si inventerà, e lo sarà probabilmente anche quella parte di sinistra che l’ingegnere ridicolizzava apertamente davanti alla Consob. E c’è di peggio per uno come De Benedetti: il Berlusconi di oggi ha preso incredibilmente il suo posto nello scenario internazionale di oggi. Il Cavaliere non ha mai goduto di gran credito presso le cancellerie e i salotti che contano in Europa e negli Stati Uniti. È sempre stato ritenuto un inaffidabile Pierino da tenere in poco conto o fare sloggiare quando lo si riteneva di danno, come accadde nel 2011. La storia in questi anni si è ribaltata, e Berlusconi ora perfino agli occhi di Angela Merkel è seriamente ritenuto il perno della stabilità italiana, il politico di riferimento di ogni tipo di estabilishment nazionale e internazionale, il solo che in Italia sia in grado di mettere le briglie alle bizze populiste.
Povero ingegnere, chissà quanto gli si ingrosserà il fegato in tempi così. Ma prima o poi quel ritiro dalle scene del potere tocca a tutti, e anche chi come lui si definisce «Grande vecchio», deve rassegnarsi a quel destino...