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 2018  gennaio 16 Martedì calendario

In città 60 mila appartamenti fantasma

Il dato è forte. E preoccupante. A Torino ci sono circa 60 mila case vuote. Ovvero: un alloggio ogni dieci ha la porta sbarrata. Non è occupato o non è affittato. E nessuno lo abita da mesi, se non addirittura da anni. Case di privati – e talvolta anche di enti pubblici – non appetibili per prezzo, location oppure chissà perché.

Il dato emerge dall’Osservatorio della Condizione abitativa della Città di Torino e combacia perfettamente con quello della Città metropolitana.
I numeri in questa vicenda sono importanti. A catasto in città ci sono 506 mila 262 «unità abitative». Vale a dire alloggi. Case. Ma le famiglie sono appena 447 mila 843. E quando si parla di famiglie si intendono persone residenti sotto lo stesso tetto. Nuclei con una sola persona o dieci o più: nulla cambia. A conti fatti a Torino – collina e periferie estreme comprese – ci sono 58 mila 419 case vuote. Più di una su dieci.
Va subito detto, però, che i numeri mentono. Perché in questo conteggio non sono inserite le abitazioni affittate in nero e quelle magari utilizzate da trasfertisti. Attenzione, però, non sono 60 mila. Sono una minoranza. Che sposta – percentualmente – il numero di alloggi vuoti appena di un punto o poco più. A questi numeri bisogna poi aggiungere gli immobili commerciali o quelli accatastati come servizi ed uffici. Se cambiasse la loro destinazione d’uso il numero delle case vuote in città schizzerebbe ancora più in alto. Ma la domanda delle cento pistole in questa storia è questa: perché Torino ha così tante migliaia di porte sbarrate nei suoi palazzi, dal centro alla periferia? Una delle spiegazioni possibili è il progressivo «smagrimento» della popolazione, che qualcuno già definisce «in caduta libera». Gli abitanti – a fine 2017 – erano 884 mila 773, cioè 4 mila 188 in meno rispetto ai già scarsi 888 mila 821 del 2016. Meno nascite. Più morti e residenti in picchiata. Ma non basta a giustificare un numero così alto di alloggi vuoti.
In questa storia c’è un solo dato positivo. Eccolo: le compravendite sono aumentate. «Le banche sono tornate a concedere mutui e la gente investe, ma serve il prezzo equo». Parola di Gian Carlo Martino socio di Chiusano immobiliare.
[l.pol.]

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Se qualcuno le avesse fatto un’offerta – come dice lei «seria» – avrebbe già veduto. «Invece la gente arriva, ti offre una miseria e ti guarda come una deficiente quando gli dici: “A quella cifra anche no, è stata la casa della mia infanzia, era dei miei genitori”».
La signora Valeria – erede di una famiglia di medici – è una dei proprietari delle 58 mila e rotte case vuote di Torino. La sua è in collina. Nove stanze. Parco. Vialone d’accesso. Sognava un milione 700 mila euro. Quello che gliene ha offerti di meno – e l’ha offesa – non è andato oltre i 500 mila: «E allora stia lì. Pagherò le tasse, ma me la tengo». E così si tengono la villa anche gli altri 230 proprietari della prima collina, che venderebbero, se trovassero un acquirente. «Abitazioni care e poco funzionali» dicono in tanti. «Case belle, in luoghi tranquilli, altro che i palazzi in centro» ribatte la signora Valeria.

Ma poi ascolti Gian Carlo Martino, che è socio di Chiusano immobiliare, la più grande agenzia di Torino (esclusi i gruppi o i franchising) e scopri che il problema sono i prezzi. «Perché fino al 2007 il mattone volava. Poi è arrivato lo stop. Oggi si vende soltanto se il prezzo è giusto. E se il venditore capisce che i tempi sono cambiati» dice. E voi lavorate con prezzi «moderni»? «Certo. E se è giusto, è fatta: la casa va via subito. Si potrebbe dire che, banalmente, è una questione di mercato. Noi ci siamo adeguati già tre anni fa, sennò a quest’ora sarebbe un disastro» dice Martino. Ma le 60 mila case vuote che ci sono in città come se le spiega? «Sono un problema. Una questione che sottintende scelte politico-economiche e lettura del mercato nel momento storico».
Insomma: il problema è reale. Così reale, per dire, che a Cavoretto – la collina vera di Torino – ci sono immobili rimasti vuoti e sul mercato anche per quattro anni. Oppure ci sono edifici nuovi che faticano a farsi apprezzare. Prendiamo l’area di corso Dante, angolo corso Massimo D’Azeglio: qui è stato realizzato uno dei più bei interventi edilizi degli ultimi anni in città. Ma molto discusso. Si chiama «Park view», vista parco. Oggi, il costruttore Stefano Ponchia, lo dice senza remore: «Abbiamo venduto meno del previsto». Su cento e rotti alloggi è finito in mano a privati appena il 40 per cento. Stessa società, ma altro intervento in corso Ferrucci angolo corso Peschiera: lì è stato piazzato quasi tutto. In pochissimi mesi. Perché? «Perché il mercato è cambiato. E il tipo di intervento è stato differente. Ma c’è anche dell’altro» sentenzia Ponchia. Tipo la questione redditometro: «Che ha convinto molti a comprare case da ristrutturare. Costano meno e la cifra da sborsare subito è minore, anche se alla fine, a ristrutturazione completata, la spesa è la stessa o superiore. Ma non appare nei documenti dell’Agenzia delle entrate». E il redditometro non intercetta l’acquirente.

Ma basta tutto questo a spiegare il boom di alloggi con la porta sbarrata che ci sono in città? In parte sì. Ma non del tutto. Perché Torino ha fame di case. Anche non nuovissime. Anche non in zone pregiate. Purché a costi bassi. Prendiamo le case popolari. Atc ne possiede 18 mila. A novembre – a bando di assegnazione scaduto – le richieste erano per 16 mila alloggi. In graduatoria sono finiti 2369 richiedenti. Persone che per il tipo di portafoglio che hanno in tasca non avrebbero mai potuto neppure avvicinarsi alla villa della signora Valeria. Ma che, forse, avrebbero potuto puntare ad un alloggio più modesto. «È il prezzo che conta» insiste Martino. O forse – per dirla con le parole di Giorgio Pedone, un altro nome noto tra gli agenti immobiliari: «In città, in certi periodo, si è costruito troppo». Quando? «In passato. Oggi non costruisce più nessuno». E allora che ne sarà delle case vuote. La signora Valeria posa la tazzina del caffè: «Io la mia spero di venderla. Se non va, vado ad abitarci io con la famiglia». E la casa dove sta oggi, la vende?