il Giornale, 16 gennaio 2018
«I folli ’70, quando era maleducato essere ragazzi beneducati...»
Scrivere un «breviario» sugli anni ’70 è una provocazione, ma pubblicarlo nell’anniversario del cinquant’anni del ’68 somiglia addirittura a una dichiarazione di indipendenza. Bruno Osimo di operazioni così ne aveva già fatta una con il Dizionario affettivo della lingua ebraica (Marcos y Marcos, 2011), dove raccontava come il primo giorno di scuola gli avesse fatto scoprire di essere ebreo. Ora, in Breviario del rivoluzionario da giovane, in uscita dopodomani (Marcos y Marcos, pagg. 239, euro 18), Osimo, traduttore, scrittore ed ex militante di Lotta Continua, ha raccolto in 73 lemmi le gesta sue e dei compagni adolescenti nel Movimento Studentesco della Milano intorno al ’75. Autonomia, Ciclostile, Esproprio proletario, Katanga, Nemici del popolo, Riflusso, ma anche Campeggio, Canzonissima, Fi(si)ca, Spinello, Ti voglio bene ma non ti amo: un capitolo per ogni azione o pensiero, sprangate e sbandate comprese.
Anni ’70, seconda liceo, al Decimo di Milano: il suo «Breviario» è l’eredità ideologica di uno studente di sinistra?
«È un romanzo autobiografico: nel 1973, dopo quattro anni di assenza, tornavo a Milano, in seconda liceo. La prima l’avevo fatta a Padova, dove alle manifestazioni di sinistra c’erano fascisti autentici con le pistole, era quasi una guerra urbana. Milano sembrava un paradiso: erano tutti di sinistra (alle prime elezioni del consiglio di istituto le liste extraparlmanetari presero il 90%) e pure io lo ero, senza sapere bene che cosa volesse dire».
Poi è stato «rieducato».
«La buona educazione borghese che avevo ricevuto in famiglia non funzionava più: era maleducato essere beneducati. Dovevo dire le parolacce, fumare, avere i capelli lunghi, eventualmente bestemmiare e vestirsi in un certo modo per non sentirsi esclusi».
Perché un «breviario»?
«Per il dogmatismo di quegli anni: ci dicevamo marxisti-leninisti senza aver mai letto niente né di uno né dell’altro. Anche il fatto che ci fossero così tanti gruppi della sinistra extraparlamentare è paradigmatico: ognuno aveva i suoi dogmi senza avere nessun disegno. Gli unici che avevano studiato erano quelli della FGCI perché avevano la scuola di partito».
Come sta quel rivoluzionario «da vecchio»?
«Prova vergogna. Di essere stato un rivoluzionario. Ho sentito il bisogno di fare autocritica perché trovo volgare tutto quel periodo e tutto quello che facevo».
In che senso volgare?
«Come lo intende Cechov: come può essere volgare un movimento sindacale, la rivendicazione di un benessere personale o collettivo che vada al di là degli ideali. Ci dicevamo idealisti, ma nei fatti quello che riuscivamo a ottenere era non studiare il latino, non andare a scuola ma in manifestazione, voti garantiti. Eravamo contro la competitività e purtroppo ci siamo riusciti. Ora in Italia la competitività non c’è più e siamo allo sfascio».
Scrivendo ha pensato alle reazioni dei compagni di allora?
«Ho immaginato reazioni ostili da parte dei giovani di allora che tuttora si identificano molto con la sinistra. Spero non siano troppo nostalgici, che non mi aggrediscano verbalmente. Ho immaginato, nel mio delirio di grandezza, titoli sui giornali: Finalmente un pentito di sinistra che dice la verità. Ho cercato di dire quello che mi ricordo: il rischio è trovare qualcuno dei miei compagni di allora che mi aspetta sotto casa».
Non resiste niente di allora?
«Basta vedere le candidature in Lombardia per capirlo. Ci sono ancora persone che hanno il breviario e valutano il mondo come cosche. Questo tipo di persone potrebbe incazzarsi tantissimo per un libro come il mio, che mette a nudo la fede cieca. Un libro sputtanante, diciamo, alla Altiero Spinelli quando diceva che i comunisti erano persone che ragionavano in modo non dissimile da un cristiano credente. Il quale però ammette di essere dogmatico».
Oltre 70 parole... Ne ha lasciata fuori qualcuna?
«Mi sarebbe piaciuto dilungarmi di più sul femminismo e come l’ho vissuto da maschio: cercavo una identificazione culturale con le donne, rivendicavo i loro diritti. Ma le donne questo non lo apprezzavano: pensavano fosse una manovra ipocrita. Succedeva che facessero girotondi intorno a me in Piazza Castello: Maschietto galletto pappagallo, siamo stufe del vostro fallo».
Potesse fare rewind?
«Sarei contrario ad aprire la scuola a tutti, se significa abbassare il livello della scuola. Era tutto un fraintendimento: i figli degli operai sono più scemi degli altri, se non devono studiare il latino?».
Un ragazzo settantese catapultato nel futuro: da che cosa sarebbe scioccato?
«Intanto, che si studi. E che studino quelli impegnati, non quelli che allora erano etichettati come qualunquisti. Io ho preso la maturità e non ho mai studiato niente».
I ragazzi di sinistra di oggi come sono?
«C’è una piccola frangia molto minoritaria che si considera di sinistra, ma nemmeno loro sanno che cosa vuol dire. Quando vedo che adorano Erri de Luca penso inseguano dei fantasmi. Credo sia stato anche sotto processo per avere istigato a delinquere: non dovrebbe essere una persona di cultura che ha tradotto pezzi della bibbia dall’ebraico? Questo è essere di sinistra? Ma siccome de Luca è uno scrittore che a loro piace tantissimo e hanno deciso che è bravo, tutto quello che dice lui è giusto. Non importa se dice cose sensate o no. E poi Saviano: con tutto il rispetto, non è che sia una persona di grande spessore intellettuale. Però per loro un leader...».
Parole di sinistra, oggi?
«Se escludiamo no tav o no tap, direi di no. Alternativo si dice ancora? No, figuriamoci, siamo in pieno riflusso».
OMOLOGAZIONE
Una manifestazione
degli anni settanta a Milano