La Stampa, 16 gennaio 2018
Il dollaro in caduta libera. L’economia Usa piace meno
L’economia americana va bene, la disoccupazione scende, la Borsa corre, il Congresso ha appena approvato i tagli alle tasse, eppure il dollaro traballa. Perché?
Venerdì scorso l’Ice Dollar Index, che misura la moneta americana in base al confronto con altre sei divise, ha toccato il livello più basso degli ultimi tre anni. Prosegue così il declino del 10% registrato l’anno scorso, che aveva segnato il calo più significativo dal 2003. Gli analisti prevedono che la discesa continuerà nel 2018 e oltre, al punto che Commerzbank, prendendo in prestito una colorita espressione del presidente Trump, ha spiegato così la situazione con una nota invita ai propri clienti: «Shithole Dollar». Ma come mai la moneta americana sta finendo «nel cesso», se l’economia va bene e la Federal Reserve (cioè la Banca centrale) sta alzando il costo del denaro? È un effetto dei mercati, fuori dal controllo del governo, oppure una strategia premeditata da Washington, per favorire le proprie esportazioni e riequilibrare la bilancia commerciale?
Il primo punto fermo degli analisti è che gli operatori hanno già scontato il rialzo dei tassi da parte della Banca centrale americana, e quindi gli annunci della Federal Reserve non li colpiscono più. Anche se l’inflazione risalisse.
Il secondo è che gli Usa crescono, ma l’Europa, il Giappone, e altre aree del mondo promettono di farlo anche di più. Negli anni scorsi gli investitori hanno accettato di puntare sull’America, perché pur non andando velocissima, garantiva un ritorno fisso e sicuro. Il dollaro ne ha risentito in maniera positiva, e ha guadagnato il 25% rispetto ai minimi del 2011.
Ora questa fase è finita e neppure le notizie positive, come quella di venerdì sulla robustezza dei prezzi al consumo, riescono a cambiare la percezione. Qualcuno invece intravede anche segnali di una potenziale frenata negli Usa, uniti alle preoccupazioni per lo scoppio di una nuova bolla speculativa in borsa. Nonostante i tagli alle tasse di Trump, il margine di crescita nelle altre regioni è superiore, e quindi i soldi si spostano.
L’Europa sta ripartendo, e la probabile nascita del governo di coalizione in Germania ha dato una iniezione di fiducia, anche se restano incognite politiche pericolose come le prossime elezioni italiane. La Banca centrale europea si sta avviando verso la fine degli stimoli, e potrà seguire un rialzo nel costo del denaro.
Il terzo punto sta nella linea scelta da Trump. «America First» è un’idea che presuppone un certo grado di de-globalizzazione, anche se il presidente si prepara ad andare a Davos, e questo lascia presumere un ruolo minore per il dollaro sui mercati mondiali. I tagli alle tasse poi gonfiano il deficit, che secondo Goldman Sachs e J.P. Morgan nel 2019 arriverà a mille miliardi di dollari, ossia il 5% del Pil, contro il 3,4% del 2017. Il deficit in genere indebolisce il dollaro, aggiungendosi ai fattori che già fanno prevedere un calo della moneta, uniti agli allarmi ormai ricorrenti sul futuro della divisa virtuale Bitcoin.
L’unico dubbio degli analisti riguarda il fatto se questa negligenza nei confronti del dollaro è casuale, oppure incoraggiata dalla stessa amministrazione, per favorire le esportazioni americane e il riequilibrio della bilancia commerciale. Il risultato però è comunque l’indebolimento della moneta.