La Stampa, 16 gennaio 2018
Giochi online e slot condannano il casinò di Campione
Il piatto piange disperato e il casinò di Campione d’Italia, uno tra i più grandi d’Europa, rischia di avere le settimane contate. Il 12 marzo davanti al tribunale di Como verrà discussa l’istanza di fallimento. La casa da gioco è esposta per oltre 29 milioni di euro con il Comune, azionista unico di questa struttura disegnata da Mario Botta, un cubo di lastre di pietra dorata mai del tutto amato dai quasi 2000 abitanti della riva italiana del Ceresio. Comune e casinò insieme sono esposti per altri 33 milioni di euro con la Banca Popolare di Sondrio che negli anni ha sostenuto la casa, raddrizzando i conti e pagando gli stipendi che ai quasi 600 dipendenti continuano ad arrivare col contagocce.
Dal sindaco di Campione d’Italia Roberto Salmoiraghi, che con il suo esposto di febbraio in Procura a Como ha dato via all’iter fallimentare, arrivano soluzioni draconiane: «Non vogliamo che il casinò fallisca ma per questo occorre passare attraverso un piano di lacrime e sangue».
L’annuncio viene fatto alle 13 nel salone delle feste al nono piano del casinò. La sala è affollata, non c’è niente da festeggiare. I 600 dipendenti negli ultimi anni hanno già rinunciato al 30% del loro stipendio ma adesso gli si chiede di più. Molto di più. Nel piano del casinò ci sono 160 esuberi e i 100 dipendenti comunali impiegati nella casa da gioco, metà solo nella ristorazione, dal primo febbraio avranno il 20% in meno dello stipendio. «Se non ci state parte la mobilità», minaccia questo sindaco di centrodestra eletto con una lista civica dopo essere stato in Forza Italia. Ma ancora non basta. Il comune di Campione, un’enclave in territorio svizzero ma in provincia di Como, per la sua posizione gode di alcune facilitazioni. I pensionati hanno un adeguamento delle loro entrate per il cambio sfavorevole. Il sindaco promette di mettere mano anche a quello: «Oggi siamo poveri. Interverremo pesantemente».
In sala non fiata nessuno. Non c’è aria di festa nel salone delle feste. Croupier in smoking pronti ad iniziare il loro turno rendono l’aria desolata. Manca solo un’orchestra e sarebbe il Titanic. Qualcuno in sala per appartenenza di partito approva. «Siamo stati bene per 40 anni. Adesso se vogliamo salvare la baracca dobbiamo tirare la cinghia», è pronta ai sacrifici una signora in prima fila a gambe accavallate. Dai sindacati arrivano i primo no. Giovanni Fagone della Cgil è lapidario: «Pensare di salvare il casinò senza un piano industriale è una follia. Chiedere solo tagli non ha senso. Vogliamo vedere i progetti poi ne discutiamo coi lavoratori. Ci vuole un commissario che metta mano ai conti». Nicola Ranieri, delegato sindacale dei croupier e segretario generale della Cisl è ancora più duro: «Va cambiato il sistema casinò. Ci sono 3 piani interi che non sono ancora utilizzati. Se qualcuno pensa che tocchi come sempre ai lavoratori farsi carico degli errori di questi anni si sbaglia di grosso. E siamo contrari a ogni ipotesi di privatizzazione».
La vita della casa da gioco è difficile. C’è la concorrenza di Lugano e Mendrisio; i giochi on line e le macchinette sotto casa. I frequentatori calano anno dopo anno e gli introiti si riducono. Nel 2016 nelle casse del casinò non sono nemmeno entrati 80 milioni di euro. Meno dei costi di gestione più gli stipendi. Il sindaco insiste: «Il fallimento è un rimedio sbagliato perché dopo non c’è più niente. Non possiamo essere il primo casinò al mondo a fallire. Ma non possiamo non intervenire in modo chirurgico in un paese oramai in coma». Roberto Salmoiraghi promette solo di non dare seguito all’operazione villa Mimosa, la cessione di una struttura davanti al casinò per aprire una casa da gioco solo per i cinesi, forti scommettitori in grande crescita come presenza.
Un piano sempre contestato da sindacati e lavoratori che temono la concorrenza sleale addirittura dall’altra parte della strada. E più di uno teme che la cura dimagrante imposta al personale sia solo l’inizio per vendere la struttura. Giuseppe Cianti, croupier da 30 anni, teme che il peggio debba ancora venire: «Siamo in solidarietà da 5 anni. Qui dentro non ci sono negozi nè attrazioni. Senza un commissario e un piano non andiamo da nessuna parte». Il gigantismo della struttura, che avrebbe più dipendenti del necessario, fa dire al sindaco che non ci sono altre vie se non tagliare. Romina Zambieri abitante a Campione lo boccia: «Le assunzioni sono state fatte dal Comune in maniera indiscriminata. Questa non è Campione, è Corleone d’Italia».