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 2018  gennaio 16 Martedì calendario

E il caso creò il cervello

Un’italiana a Yale segue le mutazioni che danno vita ai neuroni. In bilico tra genoma, ambiente e buona sorte S i inizia presto ad andare alla deriva. Eravamo abituati a pensare al Dna come all’àncora della nostra identità, a qualcosa che resta costante nella vita e porta la nostra impronta nel futuro. E invece no, anche la doppia elica fluttua in continuazione. «La cosa sorprendente è che inizia a farlo fin da subito. Già le primissime divisioni cellulari portano con sé molte più mutazioni di quanto pensassimo». Un bambino, al momento della nascita, ha un Dna già in parte diverso da quello dei genitori. La pelle del braccio potrebbe avere un genoma che non combacia con quello della mano. «È impossibile non pensarci, anche nella vita di tutti i giorni», sorride Flora Vaccarino, neurologa e psichiatra, una passione per i segreti del cervello, l’infanzia a Messina, una carriera costruita ( a malincuore) negli Stati Uniti, due «splendide figlie» e almeno un viaggio all’anno in Sicilia, «dal quale riporto sempre i capperi delle Eolie». A Yale da vent’anni, all’indomani di un’importante pubblicazione su Science che ricostruisce le prime divisioni dei neuroni, la ricercatrice divide le sue parole fra i segreti del cervello e la lucida malinconia di chi riconosce che no, risultati simili nel nostro paese non li avrebbe ottenuti. E che, nonostante il dispiacere, la scelta di partire subito dopo la specializzazione, nel 1982, è stata proprio quella giusta. «Tornando a casa mi sarei sentita frustrata perché l’Italia non riconosce la figura del medico ricercatore. Il medico lavora in ospedale. Il ricercatore in laboratorio. Peccato, perché agli Usa mettere insieme le due competenze ha dato una spinta enorme».
Prima delle ricerche di Vaccarino consideravamo il genoma come il punto di equilibrio fra due forze impegnate l’una contro l’altra: natura e ambiente. «No, le mutazioni che abbiamo visto nelle prime fasi di vita dei neuroni hanno un’impronta diversa», spiega la titolare della prestigiosa cattedra di Psichiatria a Yale. «Sono distribuite abbastanza uniformemente sulla doppia elica. Possiamo dire che hanno natura casuale».
Accanto alla diade natura- ambiente, il caso occupa un posto scomodo. La medicina ancora fatica a ben collocarlo. Prova ne sono gli studi pubblicati nel 2015 e nel 2017 da Bert Vogelstein e Cristian Tomasetti della Johns Hopkins University sulle mutazioni random alla base di alcuni tumori. “Il cancro è questione di sfortuna” fu la traduzione maldestra di quei risultati. Apriti cielo. È sempre imbarazzante, per la scienza, cavarsela dando la colpa al caso. «Ogni doppia elica che si separa per replicarsi è esposta alle mutazioni – spiega Vaccarino – ma questo non va visto in modo negativo. Accanto a mutazioni svantaggiose ce sono altre che migliorano le chance di sopravvivenza. L’evoluzione è avvenuta così». Osservato dal punto di vista del cervello, il triangolo natura- ambiente- caso assume un’architettura ancor più interessante. Le variazioni nel Dna – dice l’ultimo studio di Vaccarino – cominciano nei primi giorni dell’embrione. E poi accelerano quando la crescita diventa tumultuosa, verso il sesto mese, e accumulandosi a centinaia per cellula. A differenza degli altri tessuti che si consumano rapidamente, i neuroni ci accompagnano nel corso di tutta la vita, o quasi. Il laboratorio di Yale ha osservato che da alcune di queste variazioni si potrebbe partire per decifrare quella malattia ancora per noi così oscura che è l’autismo. Ogni mutazione, in questa sindrome, è ritenuta responsabile dell’ 1- 2% dei casi. «Ripercorrere a ritroso la storia di un gruppo di cellule del cervello, anche usando le staminali e ricreando minuscoli cervelli in laboratorio, detti organoidi, può gettare luce sulle mutazioni responsabili della malattia», spiega Vaccarino. Che ammette: «È vero, nel mio laboratorio oltre la metà dei ricercatori è donna. E molti sono italiani». Come mai? «Non so – ride – io non ho fatto nulla. Scelgo semplicemente i più bravi».