la Repubblica, 16 gennaio 2018
«Nostro figlio nella baby gang, così lo abbiamo scoperto»
NAPOLI Quando la professoressa ha affrontato l’argomento non ce l’ha fatta a rimanere in silenzio. «C’ero anche io», ha detto sotto gli occhi dei compagni, increduli. Poi ha raccontato tutto nel tema assegnato in classe. Scritto in terza persona, ma senza nascondere di essere uno dei protagonisti dell’aggressione ai danni di un quindicenne, Gaetano, ferito gravemente con calci e pugni da un branco di dieci coetanei all’uscita della stazione di Chiaiano della metropolitana di Napoli. «Mi sono sentito in colpa, mamma», dirà, una volta tornato a casa, questo ragazzino che ha compiuto 14 anni a settembre, frequenta il primo anno dell’istituto commerciale e per un paio d’anni ha fatto judo nella palestra di Scampia del maestro Gianni Maddaloni.
Sabato sera, i genitori hanno trovato la forza di accompagnarlo alla polizia quando si sono resi conto che era lui, e non il fratello maggiore, quello ritratto dalle telecamere, poco prima del pestaggio, insieme al resto della baby gang. «Mio figlio deve pagare per quello che ha fatto. Decideranno i magistrati in che modo. Ci siamo messi nei panni dei genitori della vittima e abbiamo fatto quello che ci sembrava giusto fare.
Abbiamo contattato il nostro legale che ci ha detto di andare alla polizia. Ora la cosa importante è che Gaetano guarisca. Se potessi, stringerei in un abbraccio fortissimo quella mamma. Deciderà lei se e quando, anche a processo finito. Ma anche noi abbiamo bisogno d’aiuto», dice la donna incontrando Repubblica nello studio del difensore di fiducia, l’avvocato Anita Salzano.
Accanto a lei il papà, che da oltre dieci anni ha saldato tutti i vecchi conti con la giustizia e ora lavora come ambulante, annuisce con convinzione. Ora Mario (non è il suo vero nome) «è pronto a intraprendere un percorso per affrontare le conseguenze di quanto accaduto», spiega l’avvocato Salzano.
In branco questi ragazzi si sentono forti, usano la forza senza valutarne le conseguenze e sembrano tutti uguali. Invece sono le storie che bisogna conoscere, per cercare capire cosa sta succedendo, oggi, nelle strade di Napoli, dove un’intera generazione di giovanissimi rischia di perdersi nella violenza. Gli aggressori di Gaetano si autodefiniscono «quelli della villetta di Chiaiano». Poco più di un giardinetto di periferia. «Ma a noi sembrava un posto più tranquillo del nostro quartiere, Piscinola», dicono i genitori di Mario.
Secondo quanto emerso dalle prime indagini, quello che ha detto al resto del gruppo di andare a menare le mani nella metro non ha ancora 14 anni. È piccolino, ma nel video della stazione si atteggia come un bullo. Poi c’è quello che in questura stava per rispondere alle domande, ma il padre ha fatto il duro e gli ha detto di stare zitto. Ma ci sono anche famiglie, in questo dramma, che non si sono mostrate indifferenti. Come la mamma di un altro quattordicenne che, quando si è rivisto nei video, ha accettato di rispondere alle domande degli investigatori.
Anche lui, come Mario, va a scuola. Frequenta la terza media perché ha perso un anno e sembra aver capito la gravità di quanto accaduto. Ruoli e responsabilità dovranno essere accertati dalle indagini della pm minorile Emilia Galante Sorrentino, che con il coordinamento della procuratrice Maria de Luzemberger ha ascoltato personalmente i sospettati insieme agli agenti dei commissariati Chiaiano e Scampia. «Quando ho capito che mio figlio era in qualche modo coinvolto, ho avuto un tuffo al cuore – racconta la mamma di Mario – l’ho rimproverato, mi sono messa a piangere. Gli ho detto di scordarsi la mia faccia. Poi ho avvisato il padre». Insieme, lo hanno convinto ad andare dalla polizia. «Come genitori, non potevamo fare diversamente», dicono.
Mario se lo ricorda bene Gianni Maddaloni, che nella palestra di Scampia cerca di tenere tanti ragazzi lontano dalla strada e adesso è pronto a fare ancora la sua parte: «È stato due anni con me. Era un ragazzino come ne ho visti tanti: insicuro, con una forte mancanza di autostima. È arrivato fino alla cintura gialla, poi non è venuto più. Ma sono pronto a fare ancora qualcosa per lui. Se c’è la possibilità, mi metto a disposizione per provare a recuperarlo».
Vedremo se “‘o maestro” riuscirà a vincere anche questa sfida. Ma intanto altre aggressioni si ripetono, nel centro di Napoli come in periferia. Oggi sarà in città il ministro dell’Interno, Marco Minniti. E un magistrato come l’ex pm anticamorra oggi consigliere del Csm Antonello Ardituro lancia un appello affinché Napoli diventi «priorità della politica e delle istituzioni, emergenza nazionale. Napoli capitale.
Aiutateci. Per favore».
Chiedono aiuto pure i genitori di Mario: «Anche mio figlio è stato aggredito – racconta la madre – è accaduto un anno fa, al Vomero. Non ho denunciato ed è stato il mio più grande errore. Quando era più piccolo mi diceva: “Mamma, ho paura di uscire perché fanno i bulli con me. Non conoscevo neppure quella parola, non sapevo come fare. Abbiamo cercato di controllarlo in ogni modo. Tutti dicono che è colpa delle famiglie. Ma da soli, non ce la possiamo fare».