la Repubblica, 16 gennaio 2018
Congo, il conflitto senza fine che soffoca le tribù del Kasai
Come buona parte delle provincie del Congo, è malconcia anche quella del Kasai, sebbene qui, oltre alla miseria e a picchi di analfabetismo da primato, dall’estate 2016 si registri anche una rivolta contro lo Stato centrale che da allora le forze di sicurezza reprimono nel sangue.
Negli ultimi mesi, dalle due principali città della regione, Luebo e Tshikapa, l’insurrezione contro Kinshasa e il suo presidente, Joseph Kabila, s’è spostata verso le campagne e verso ciò che resta di una delle foreste equatoriali più impenetrabili del pianeta.
Il motivo che ha fatto scoppiare i tumulti è in realtà piuttosto banale nella Repubblica democratica del Congo, ossia il dissidio tra un leader tribale e il potere centrale che non gli riconosce il diritto di governare la sua gente.
Questo capotribù si chiamava Kamwina Nsapu ed è caduto sotto i colpi del regime: ai violenti disordini provocati dalla sua morte sono seguiti omicidi massa messi a segno dall’esercito, esodi biblici verso la capitale e una feroce carestia che hanno spinto questa regione verso un conflitto senza fine. Al momento, si contano già cinquemila morti.
Kamwina Nsapu, che all’anagrafe risultava Jean-Pierre Mpandi, nacque nel 1966. Dopo aver vissuto in Sudafrica, tornò in patria per esercitare la medicina tradizionale prima di succedere nel ruolo di “chef coutumier” a suo zio, ex generale dell’esercito congolese dei tempi di Mobutu. Ma una volta diventato il sesto capotribù dei Basjla Casanga con il regime di Kabila, Kamwina Nsapu si dimostrò meno conciliante del suo predecessore, attirandosi l’inimicizia del governatore della provincia che non gli ha mai riconosciuto il ruolo di capo del suo popolo.
Capita spesso in Congo che un capotribù non piaccia all’amministrazione centrale, la quale o lo destituisce o favorisce un suo rivale. Fatto sta che il 12 giugno 2016, Kamwina Nsapu rimane ucciso nel corso di un raid delle forze di sicurezza. Non solo, in quell’occasione sono anche profanati i suoi feticci e distrutte le sue pozioni di guaritore.
Come accade anche in altre regioni dell’Africa centrale, il potere locale è nelle mani dei rappresentanti dinastici. E a differenza dello Stato centrale, che la popolazione teme e insieme deride, anche qui i capitribù godono di grande prestigio.
Perciò l’omicidio di Kamwina Nsapu ha anche una valenza politica. Il leader locale attirava folle sempre più nutrite di contadini, maestri elementari e piccoli commercianti, davanti alle quali se la prendeva contro chi rimetteva in discussione la tradizionale autorità di un capo villaggio, ma anche contro gli infiniti taglieggiamenti che lo Stato infligge alla popolazione.
Kamwina Nsapu arringava i suoi davanti al fuoco, luogo deputato per sbrogliare i conflitti e le beghe di vicinato nel Kasai; adesso lo stesso fanno i suoi seguaci per esprimere la loro indipendenza da Kinshasa, assimilata ormai a una potenza straniera e alla quale hanno dichiarato guerra.
Non è un caso se è proprio in questa provincia che alle presidenziali del 2006 e poi a quelle del 2011, Joseph Kabila (al potere dal 2001, dopo l’assassinio di suo padre Laurent-Désiré Kabila) ha ottenuto il peggior risultato.
Probabilmente perché nel Kasai non sono mai arrivati i ricchi proventi dello sfruttamento delle miniere di diamanti, prima fonte di reddito del Paese.
Nel novembre 2016, una volta giunto al termine del suo ultimo mandato, Kabila ha preferito rimandare le elezioni, aggrappandosi alla sua poltrona almeno fino a dicembre 2018, data scelta dalla Commissione elettorale nazionale per il nuovo scrutinio presidenziale.
Ma, come dicono gli stessi congolesi, là dove finisce la logica comincia il Congo.
Il che vale a dire che questa data potrà essere tranquillamente procrastinata da un presidente che non ha nessuna fretta di lasciare il suo posto ad altri.
Quanto alle opposizioni, una delle sue principali figure, Moïse Katumbi, è costretto a far sentire la sua voce dall’esilio, perché se tornasse in patria sarebbe immediatamente arrestato. E comunque nessuna di esse ha il carisma di Etienne Tshisekedi, morto per cause naturali a Bruxelles lo scorso 18 febbraio, quando aveva 84 anni, e la cui salma non è ancora stata rimpatriata per paura delle manifestazioni che potrebbero accompagnare i suoi funerali.
Né le sanzioni internazionali contro la cerchia presidenziale, né il susseguirsi di rivelazioni sulla sua corruzione sembrano scalfire Kabila.
La scorsa estate, intanto, al posto di Kamwina Nsapu nel Kasai è stato nominato suo cugino. Il quale adesso si guarda bene dal criticare il regime.