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 2018  gennaio 16 Martedì calendario

Dolci eredità

Le mille cose che il miele e lo zucchero rendono gustose». Così lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes definisce la pasticceria nel ‘600. E in una frase raccoglie i due elementi che hanno scandito la storia dell’arte bianca italiana. In epoca romana non c’era una netta distinzione fra dolce e salato. Le preparazioni erano per lo più con uova, farina, latte e vino. Il miele era il dolcificante per eccellenza. Mandorle, datteri, fichi, noci e formaggi molli, farcivano prodotti da forno, per lo più pani lievitati, che venivano considerati tanto antipasto, quanto intermezzo e chiusura. Di questi sapori «ibridi» raccontano letterati come Petronio o il gastronomo Apicio. L’eredità latina è sopravvissuta all’anno Mille grazie alla Chiesa. Nel medioevo sono gli ordini monastici a occuparsi di creare dolci – per celebrare ricorrenze religiose – dai nomi caratteristici come «pazienze», «supplicazioni», e anche «favette» o «cialde». Preparazioni ancora in uso, come mostra la raccolta di ricette legate al culto dei santi Santa Pietanza (Guido Tommasi Editore) di Lydia Capasso e Giovanna Esposito. 
Il Rinascimento ha prodotto nella pasticceria effetti sorprendenti come nelle arti: architetture di zucchero celebrano i banchetti delle corti nobili insieme a virtuosismi di sapori realizzati con le spezie provenienti dai mercati arabi. Le ricette si riempiono di cannella, vaniglia, mandorle, pepe, zenzero e zafferano diffusi grazie alle repubbliche marinare, Venezia su tutte. Accanto alla pasticceria di corte si avvicendano dolci popolari. Gli amaretti, il panforte, erede delle focacce mielate. Ma anche le sfogliatelle, attribuite alle suore del monastero di Santa Rosa in Amalfi. Inoltre marzapane, mostaccioli, torroni, dolci fritti come i bignè di carnevale, nonché il gelato, arricchito dell’aroma degli agrumi in Sicilia, dove l’influenza araba porta alla nascita di cannoli e cassate.
L’arrivo del cacao segna un punto di svolta. Con la scoperta dell’America questo alimento arriva prima in Spagna e poi, nel 1559, a Torino grazie a Emanuele Filiberto di Savoia (da qui solo dopo 150 anni giungerà in Svizzera), diventando un ingrediente principe della pasticceria italiana. A Venezia, intanto, sbarca il caffè, prima come sostanza stimolante da farmacia e poi come bevanda da tavolino. E nascono così locali pubblici che diventano, con la complicità dell’arte bianca, il centro della mondanità. Tra il ‘600 e il ‘700 la diffusione dell’uso dello zucchero – grazie all’importazione dall’America e la diffusione della coltura della barbabietola —, così come quella della vaniglia, danno un grande impulso al lavoro dei pasticceri. Nascono torte soffici quali la pate génoise, antenata del pan di Spagna, da farcire con creme e cioccolato. Poi quelle coll’impasto di burro. E all’inizio dell’Ottocento si affermano in Italia, come nel resto d’Europa, le torte a base di uova e cioccolata. Nel Lombardo-Veneto degli Asburgo, Trieste diventa la capitale europea del caffè, nonché limite meridionale della torta Sacher, creata dall’omonimo pasticcere del cancelliere Metternich. Intanto, la rivoluzione industriale della metà del secolo porta allo sviluppo della produzione in serie. Tra le prime aziende la Lazzaroni degli amaretti di Saronno, con le sue scatole di latta con impressa l’immagine di un battello a vapore. Nel 1891 Pellegrino Artusi pubblica il manifesto della cucina borghese, La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, che raccoglie anche decine di ricette di budini, gelatine e charlotte. Sulle sua scia si muove Ada Boni con Il talismano della felicità nel 1929 e nel 1967 Anna Gosetti della Salda, con Le ricette regionali italiane – 400 preparazioni di pasticceria, dalla Lombardia alla Sicilia —, che avvia una riscoperta della tradizione che segnerà lo sviluppo dell’arte bianca nei laboratori e nelle cucine degli italiani.
In anni recenti, a conquistare il gusto nostrano sono stati i dolci francesi, come éclair e macarons, simbolo di un modello di «pasticceria-gioielleria» in cui le creazioni sono curate nel dettaglio sia nella preparazione che nell’aspetto, e presentati in vetrina come monili preziosi. Testimoni, questi ultimi, di una soggezione vissuta per anni dalla pasticceria italiana nei confronti di quella francese, che ha goduto di maggiore codificazione e promozione nel mondo. Che in Italia sono iniziate grazie, anche, alla creazione dell’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani nel 1993 da parte di Iginio Massari, dando l’avvio all’internazionalizzazione della nostra arte bianca. Come del resto ha contribuito a fare la diffusione globale del panettone nominato, al Sigep del 2016, ambasciatore dell’alta pasticceria italiana nel mondo.