Corriere della Sera, 16 gennaio 2018
Dioniso, indecifrabile e impetuoso. Il mito più moderno della Grecia
Affascinante, contraddittorio, ibrido, indecifrabile, ubiquo. Una sensuale divinità maschile ma di femminile indole, istintivo, misterico, ludico, irrazionale, con la doppia natura di demone crudele, spietato, selvaggio, e di dominatore salvifico, benevolo, dolcissimo come il miele. È l’eterno adolescente, l’androgino Dioniso, chiamato anche Bacco (l’epiteto Bàkchos significa «colui che lancia l’urlo»), a sovrintendere il rito collettivo del simposio, l’offerta del vino, la perdita della ragione, l’ebbrezza che libera da ogni senso etico, le orge sessuali promiscue.
Le rappresentazioni iniziatiche prevedevano che i suoi fedeli cacciassero a mani nude un animale, sbranandolo e ingoiandolo a brandelli sanguinante e caldo. Un dio che penetra nel corpo umano con il sangue dell’uva e tutto lo pervade, agitandolo attraverso il ritmo della danza, scandito dai tamburi e costellato dai gemiti di piacere senza limiti dei seguaci. Un corteo, soprattutto di donne, il tiaso delle menadi, raggiunge così l’esaltazione sacra collettiva con il rapimento della mente.
Nelle Baccanti di Euripide l’aspetto di un Dioniso vendicativo è trasferito alle sue invasate, mentre egli assume sembianze femminee, seguendo il senso della diversità ermafrodita. Le donne sono fondamentali per la ritualità dionisiaca, lo statuto femminile è dominante: sono loro a guidare il tiaso, a diffonderlo e a gestire le iniziazioni. Dioniso è il vero liberatore delle donne. Grazie a lui sono affrancate dal patriarcato, abbandonano spola e telaio per provare estasi di ogni tipo, avvicinandosi alla natura, correndo per i monti vestite di pelle di animali, nel trasgredire ogni norma e le differenze delle specie, raffigurate nell’atto di allattare cerbiatti, caprioli, lupacchiotti. Al contempo sanno uccidere e sbranare, ripercorrendo il destino mitico del loro signore.
Un dio universale ed egualitario, che annulla differenze sociali e fisiche. Dioniso crea una comunità di simili, liberi da vincoli di famiglia e di patria, in cui tutte le razze possono riconoscersi. È inoltre la divinità dello smembramento, del sentirsi lacerato in mille pezzi. La vitalità di colpo si interrompe con la sua morte. Fatto a pezzi, viene comunque ricomposto e ridestato. La tomba di Dioniso si trovava nel santuario di Apollo a Delfi, ove veniva adorato ogni anno come il fanciullo risvegliato ad altra vita: il dio della trasformazione, della finale rinascita e ascesa all’Olimpo per sedere alla destra del padre Zeus. Un tema che richiama l’egizio Osiride e sembra preludere alla figura di Cristo.
Dioniso è l’emblema della divinità in perenne movimento per reclutare nuovi adepti. Nel mito torna in Grecia dopo lunghi periodi passati in Oriente, e giunge a Tebe, sua città d’origine, per punire chi non credeva alla sua natura divina. Pur essendo considerato il dio del desiderio, è indicativo che le baccanti, officianti il suo culto, a volte rifiutino ogni rapporto sessuale, come testimoniano le arti figurative. Altre volte le menadi provano pulsioni sessuali incontenibili, come irrefrenabile è il loro dio, manifestazione di vitalità sessuale e generativa, che si evidenzia nell’esaltazione del fallo, elemento cerimoniale onnipresente.
Tra gli epiteti di Dioniso incontriamo Omestès, «colui che si ciba di carne cruda»; Orthòs, «dritto», che allude alla sua prorompente continua capacità di erezione, Dimètor, «colui che ha due madri», che rimanda alla sua nascita duplice, poiché nel momento stesso in cui Semele muore folgorata dall’epifania di Zeus, la suprema divinità estrae dal grembo della donna il feto di sei mesi e se lo cuce nella coscia, un’incubatrice, finché il piccolo non è pronto a nascere. Uno e molteplice, Dioniso incarna pure il simbolo di sofferenza, persecuzione, stato allucinatorio, follia e la genesi del teatro.
Ma perché Dioniso ritorna nella cultura moderna? Tutto sta nel suo potere destabilizzante, la capacità di oltrepassare qualsiasi confine, di suggerire nuove forme di relazione e offrire libertà assoluta. Ricordando Dante e il celebre sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io dedicato all’amico Cavalcanti, oppure Leopardi ne Il sabato del villaggio o seguendo Nietzsche e la sua rivisitazione mistica e sensuale del mito e della nascita della tragedia, occorre sottolineare i numerosi poeti del Novecento che convivono con Dioniso: Dino Campana e i suoi Canti orfici, Mario Luzi in A l fuoco della controversia, Gabriella Cinti, performer che modula in greco antico il coro delle Baccanti, autrice di Madre del respiro e di un saggio dal titolo I l dio del labirinto sulla presenza dionisiaca a Creta e l’inedita commistione con Shiva, la divinità principale dell’induismo. E ancora il primo Ungaretti de L’allegria, Vittorio Sereni in Diario d’Algeria e ne Gli strumenti umani, Pasolini con il suo romanzo e film Teorema, dove Dioniso incarna la figura de L’Ospite, che si congiunge carnalmente con tutti i membri di una famiglia borghese fino a farla implodere con la sua scomparsa. La sola che si salverà sarà Emilia, la domestica, donna dei campi che, cibandosi solo di ortiche, si farà alla fine seppellire viva per poter ritornare alla Madre Terra da cui è venuta.