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 2018  gennaio 16 Martedì calendario

Assalto al carcere, strage a Tripoli

A Tripoli ieri, per diverse ore, è tornato a trionfare il caos violento dei momenti peggiori della guerra civile. Carri armati e gruppi di guerriglieri per le strade, posti di blocco improvvisati da gruppi rivali, battaglie a colpi di mortaio, mitragliatrici e granate nella zona dell’aeroporto di Mitiga, che era rimasto l’unico funzionante nella regione della capitale. Quindi i decolli impazziti degli aerei vuoti per evitare le esplosioni sulle piste, almeno tre danneggiati a terra, lo scalo bloccato già dalle quattro di mattina. Infine, la fuga disordinata del personale dello scalo e dei passeggeri: pare che proprio in questo frangente ci sia stato un alto numero di vittime, con le auto colpite in corsa mentre cercavano di raggiungere la litoranea. In serata i primi bilanci provvisori dagli ospedali parlano di una ventina di morti e oltre sessanta feriti. La maggioranza delle vittime sono miliziani, non mancano i civili. Il governo di unità nazionale sostenuto dall’Onu e diretto dal premier Fayez Sarraj dichiara lo stato di emergenza, conferma che le sue forze hanno ripreso il controllo dello scalo, ma per ora Mitiga resta chiuso. Tutti i voli per Tripoli sono deviati su Misurata, 200 chilometri a Est.
«La città è sotto assedio, uno dei momenti più difficili degli ultimi anni. Nessuno esce di casa, anche se con l’arrivo del buio la situazione sembra calmarsi», spiegano fonti giornalistiche locali. L’ambasciata italiana tiene pronti i piani di evacuazione per il centinaio di connazionali nella capitale. «Ma per ora non è stato fatto alcun passo particolare. Siamo nella routine. Certo il livello dei combattimenti oggi è stato molto grave. Pure, Mitiga è stato chiuso molte volte anche nel 2016 e 2017. L’estate scorsa in poche ore ci furono una sessantina di morti. La Libia paga il prezzo per non aver ancora creato un esercito nazionale e neppure imposto lo smantellamento delle milizie», dichiara al Corriere per telefono da Tripoli l’ambasciatore Giuseppe Perrone.
La tensione era esplosa nella notte tra domenica e lunedì, quando centinaia di guerriglieri armati della «qatiba 33», meglio nota come milizia Al-Bugra (la mucca) e legata al fronte islamico (anche se in passato pare sostenuta dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Bengasi), hanno attaccato il carcere posto a poche centinaia di metri da Mitiga, controllato dalla più importante milizia pro Sarraj, la «Rada». «Al-Bugra voleva liberare un paio di suoi alti ufficiali arrestati negli ultimi mesi con l’accusa di essere legati ad Al Qaeda e Isis», spiegano ancora i media libici. È ben noto che tra i circa 2.500 detenuti da Rada un buon numero sono jihadisti. Ma nel braccio di ferro c’è anche una dimensione fortemente localistica, dove gli uomini della Al-Bugra sono in grande maggioranza vecchi militanti della rivoluzione anti Gheddafi del 2011 provenienti dai quartieri di Shuk al Juma e Tajura oggi legati al mufti di Tripoli, la massima autorità islamica del Paese critica del filo-occidentalismo di Sarraj.