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 2018  gennaio 16 Martedì calendario

L’ultimo ostacolo per le auto-robot: il timore che si trasformino in armi

NEW YORK Le promesse dell’auto che si guida da sola sono allettanti: drastica riduzione degli incidenti (più di un milione di morti ogni anno sulle strade del mondo) grazie all’eliminazione di errori e distrazioni; traffico più fluido e veicoli che in città passano da un servizio all’altro senza occupare spazi di parcheggio; disabili e anziani a cui è stata ritirata la patente capaci di spostarsi in modo autonomo.
Ma ci sono ancora grossi problemi irrisolti e incognite di vario tipo: sistemi di guida poco affidabili con pioggia forte che acceca i laser o con la neve che cancella la segnaletica, costi ancora alti (100 mila dollari di tecnologia self driving su ogni veicolo), questioni giuridiche irrisolte sulle responsabilità in caso di incidenti, regole diverse da Paese a Paese e, a volte, anche da città a città. Così nessuno sa davvero quando l’auto robot comincerà a circolare liberamente sulle nostre strade. Sono già diffusi i veicoli semiautomatici, capaci di parcheggiare da soli o di fermarsi davanti ad un ostacolo grazie ai sensori, ma per un’auto totalmente senza pilota dovremo attendere almeno il 2020 (forse il 2022). E la diffusione sarà progressiva: si stima che nel 2040 il 95 per cento dei veicoli venduti saranno automatici.
Scenari che affascinano (più libertà, più sicurezza a bordo, possibilità di usare in modo più produttivo il tempo ora passato al volante) e spaventano per la prospettiva di una disoccupazione di massa tra i camionisti e i tassisti (più di tre milioni di posti in pericolo nei soli Stati Uniti).
Ma tutti questi scenari non tengono conto del rischio più grosso: quelli degli hacker che prendono il controllo di un veicolo e lo dirottano o provocano un incidente con un obiettivo criminale (un ricatto) o per terrorismo. Le società che stanno sviluppando l’intelligenza artificiale del pilota automatico ovviamente cercano anche il modo di schermarla dagli attacchi degli hacker, ma i continui furti di dati sensibili negli archivi informatici anche di grandi gruppi che hanno investito massicciamente in sicurezza informatica dimostrano che l’invulnerabilità in questo campo non esiste.
Il pericolo principale è il terrorismo: qui l’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi da un gigante dell’high tech cinese, Baidu, secondo il quale il rischio che le auto robot vengano usate per compiere attentati spingerà prima o poi i governi a introdurre regole severe. Rilanciato dal Financial Times, il monito di Apollo, il programma di self driving di Baidu, ha già fatto il giro del mondo: parlando al Consumer Electronics Show, a Las Vegas, il capo di questo programma, Qi Lu, ha detto che «un oggetto che si muove da solo è per definizione un’arma» potenziale. Cosa che spingerà i governi, se non a proibirne la diffusione, a regolamentarla. È quindi prevedibile che, per ridurre il proprio livello di vulnerabilità, ogni Paese (o, almeno, quelli principali) vieti la vendita di auto senza pilota gestite da operatori stranieri.
Un intervento per certi versi sorprendente, quello di questo ex manager di Microsoft, visto che Baidu, che si sta lanciando nel mondo dell’intelligenza artificiale avendo giudicato ormai «maturo» il business della pubblicità online, ha messo in piedi uno sforzo multinazionale alleandosi per lo sviluppo delle apparecchiature elettroniche con due giganti americani dei microchip, Intel e Nvidia, mentre per la costruzione delle auto robot ha scelto partner in Cina ma anche in Europa (Daimler) e America (Ford). Il monito di Qi Lu, però, riflette una realtà indiscutibile: la tecnologia sta avanzando più velocemente della capacità dei politici di metabolizzarla e delle authority di varare regolamenti che, senza arrestare l’innovazione, garantiscano comunque ai cittadini un accettabile livello di sicurezza.