Corriere della Sera, 16 gennaio 2018
Arbitro Chapron
Ragazzini che picchiano genitori, genitori che picchiano professori. Da quando l’autorevolezza è morta, e anche il principio di autorità non si sente tanto bene, credevamo di avere visto di tutto, ma questa chicca ci mancava: l’arbitro che sgambetta il calciatore. Succede in Francia, durante una partita che il Nantes sta cercando di rimontare contro il Paris St. Germain. Nella concitazione della corsa, il giocatore Diego Carlos travolge l’arbitro Chapron. Il quale, prima di rialzarsi, fa una mezza capriola sull’erba e incredibilmente si vendica, tirando un calcio alla caviglia del suo investitore. Poi gli sventola in faccia il cartellino giallo. Trattandosi della seconda ammonizione, il povero Carlos si ritrova menato ed espulso per avere avuto l’ardire di toccare il corpo del giudice, il Sacro Chapron.
Le successive dichiarazioni dell’arbitro sono il selfie della peste contemporanea: il narcisismo. Non si era accorto che il calciatore lo aveva spinto senza volerlo (davvero pensava lo avesse fatto apposta?) e il dolore era stato così forte da suscitargli l’impulso della vendetta riparatrice. Un bambino di cinque anni non avrebbe saputo dirlo meglio. Ma Chapron non è un bambino di cinque anni: è il signor arbitro, l’incarnazione del giudice imparziale che fa rispettare le regole, sottraendosi alla dittatura delle emozioni. Forse nessuno crede più all’autorità perché è l’autorità per prima a non credere più in se stessa.