Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 15 Lunedì calendario

L’abitudine alla postverità. Per l’Oxford Dictionary dal 2016 siamo entrati nell’era del “post-truth”, la persuasione che a contare non siano più i fatti ma la loro narrazione

Nel 2016 siamo entrati ufficialmente (dichiaratamente) nell’era della “postverità”. A codificarlo è stato il prestigioso Oxford Dictionary, che ha inserito nel suo lemmario il termine post-truth (postverità) “come la parola internazionale dell’anno”, rilevando che il suo uso era aumentato del 2000% rispetto al 2015. La parola era stata usata per la prima volta nel 1992 dal commediografo serbo-americano Steve Tesich, ma intesa come “dopo che è emersa la verità”, non già nel senso attuale di “indifferenza alla verità” o “travisamento-negazione”.
Postverità, dunque: la persuasione che a contare non sono più i fatti né la coincidenza con la realtà, ma la loro narrazione che ne prescinde; la menzogna come sostitutiva del vero, come suo surrogato creduto autentico da molti perché collima con le loro aspettative infondate o con preconcetti consolidati; la tendenza al piacere di sentirci dire ciò che amiamo sentirci dire, purché sia verosimile, anche se non si fonda su dati reali; spesso: la fabbricazione del falso come attrattiva per allocchi e, come al solito, finalizzata al profitto – più clic, maggiori introiti pubblicitari. Post-truth/postverità: i tedeschi, notoriamente più precisi, rifiutano l’uso di questa parola. Preferiscono impiegare il termine postfaktisch (“postreale” e “postfattuale”), per indicare, opportunamente, la lontananza della verità dalla realtà effettuale delle cose.
L’invenzione del neologismo descrive, in effetti, qualcosa di antico. Abbiamo visto come la postverità sia una risorsa ricorrente usata dalla mondofiction. Per esempio: la guerra contro l’Iraq (2003) rimarrà un paradigma indelebile di impiego della postverità. L’Iraq non ebbe niente a che fare con gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001; inoltre, tutti sapevano che non aveva armi di distruzione di massa. Ma la bugia sulla loro esistenza è stata il pretesto ufficiale per l’invasione. Come dimenticare la clamorosa menzogna del segretario di stato americano Colin Powell che, parlando il 5 febbraio 2003 al Consiglio di sicurezza dell’Onu, mostrò in mondovisione una fiala di polvere bianca, sostenendo che era antrace e che l’Iraq ne possedeva grandi quantità, a riprova delle armi batteriologiche in suo possesso? In realtà, mentre gli ispettori dell’Onu setacciavano tutto l’Iraq senza trovare alcuna arma di distruzione di massa, George W. Bush e Tony Blair ammassavano da mesi ai suoi confini un’armata di 300.000 uomini, per una guerra evidentemente già decisa, a prescindere.
Realizzata l’invasione, non essendo stata trovata traccia delle famose armi, la motivazione fu cambiata a posteriori. La guerra era comunque giustificata: serviva per combattere il terrorismo internazionale ed esportare la democrazia! Fatte salve le grandi manifestazioni, svoltesi in ogni parte del mondo, nessuno dei governi – a partire da Francia, Germania, Russia, Cina – che pure si erano detti contrari all’intervento, mosse sul serio un dito per chiamare Usa e Gran Bretagna a rendere conto al mondo. I distinguo, beninteso, andarono avanti per mesi. Ma appena un anno dopo, mentre le truppe anglo-americane già occupavano l’Iraq, il 14 agosto (…) il Consiglio di sicurezza dell’Onu, compresi i paesi “dissenzienti” al momento dell’attacco, approvò all’unanimità il fatto compiuto, riconoscendo il governo provvisorio dell’Iraq e, quindi, il protettorato americano. Le conseguenze le soffriamo ancora. L’Iraq, dove il terrorismo era del tutto assente, ne è diventato il crocevia: da allora gli attentati si susseguono in ogni parte del mondo. Dei folli non sarebbero riusciti a produrre un risultato più efficace…
La guerra americana contro il Vietnam iniziò a sua volta con una menzogna: l’incidente del golfo del Tonchino (1964). Gli Usa sostennero, come un dato di fatto incontrovertibile, che una nave nordvietnamita aveva sparato su un loro incrociatore in acque internazionali: questo fu il pretesto dell’attacco. Nel 1967, con scandalo planetario, divennero di pubblico dominio le carte, fino allora segrete, che documentavano come l’incidente lamentato non si era mai verificato, ma era stato costruito a tavolino dalla Cia. Che a quarant’anni di distanza, e dopo una guerra catastrofica come quella contro il Vietnam, gli Usa ricorrano a un mendacio in tutto analogo per aggredire l’Iraq, è la riprova di quanto la postverità – la menzogna – sia organica allo Spettacolo della mondofiction. (…)
Nel 2016 viene reso pubblico il rapporto della commissione d’inchiesta del Parlamento britannico sull’attacco contro l’Iraq, la cui conclusione è che l’esistenza delle armi di distruzione di massa fu presentata come “una certezza in maniera ingiustificabile”, e che “la guerra non era necessaria”. Subito dopo, intervistato, Blair dichiarava: “Accetto la mia responsabilità per gli errori descritti dal rapporto, ma prenderei di nuovo la decisione di invadere l’Iraq”. Dato che né Bush né Blair né Powell (…) sono stati deferiti per crimini di guerra, è lecito chiedersi a che cosa serve la Corte penale internazionale. L’Occidente ha praticato il terrorismo di stato, ma Stati Uniti e Gran Bretagna rimangono i paesi… culla del diritto e della democrazia… Così la postverità diventa la “verità” della prepotenza dominante.
Con Internet, se non si sta bene attenti al suo uso, la postverità può trovare praterie da percorrere. Nella rete le fake news (“notizie false”) vengono sapientemente mescolate, sempre più, alle notizie vere, rendendole verosimili, in modo da favorirne la diffusione e, per così dire, oliarne la circolazione. I meccanismi della istantaneità telematica non agevolano l’approfondimento e rendono così più difficile discernere il vero dal falso. (…)
E Nicholas Carr, tra i maggiori studiosi della “stupidità” indotta dal multitasking digitale, raccomanda che “ognuno di noi dovrebbe trascorrere più tempo nella concentrazione, adottando un’abitudine mentale che favorisca la calma e la riflessione”. Ne conclude: “A livello individuale la terapia è ridurre l’uso di Internet”. (…)
La postverità, configurandosi come forma ulteriore dell’irrazionalità moderna, costituisce una difficoltà aggiuntiva alla comprensione della realtà. Ma, al tempo stesso, è una spinta in più per passare dal confine delle bugie all’orizzonte della coscienza globale, rafforzando il nostro autonomo pensiero critico. Proprio perché la verità si afferma in contrapposizione alla falsità, la lotta incessante tra vero e menzogna accompagnerà per sempre il futuro dell’uomo. Decisivo sarà l’aiuto che noi daremo all’uno o all’altra. In questo, essenzialmente, si gioca la prerogativa più alta, e più importante: quella di essere – di esseri – razionali.