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 2018  gennaio 14 Domenica calendario

La Banca d’Italia che fa l’inchino all’Ing. insolvente

C’è il reato e c’è l’indecenza. Poniamo che non ci sia reato. L’ingegner Carlo De Benedetti va a parlare con la Banca d’Italia, poi va a palazzo Chigi “a fare breakfast” con Matteo Renzi, poi telefona al suo broker di fiducia Gianluca Bolengo e gli dice di comprare 5 milioni di euro di azioni delle Popolari per speculare sul decreto legge in arrivo. In poche ore guadagna 600 mila euro. È insider trading? No, ci garantiscono De Benedetti, Bolengo e Renzi, poi la Consob e il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone.
Allora parliamo dell’indecenza. De Benedetti la descrive alla Consob l’11 febbraio 2016, mentre il governo Renzi è nel suo massimo fulgore e lui, non ancora disarcionato dai figli, è l’editore di Repubblica che appoggia senza tentennamenti lo statista di Rignano. Dice di essere il suggeritore di Renzi (gli dà idee geniali come il Jobs Act e ne ricava idee geniali per le sue speculazioni); dice che i ministri Maria Elena Boschi e Pier Carlo Padoan vanno “sovente” a cena a casa sua; dice che non ha senso accusarlo di insider trading, visto che sulle Popolari ha giocato un’infima fiche da 6 milioni di euro su un totale di 620 milioni. Cioè, ricordate: all’epoca dei fatti aveva 620 milioni giocati in Borsa.
Allora parliamo dell’indecenza della Banca d’Italia, ché quella di Renzi è nota e noiosa come il bunga bunga. Racconta De Benedetti alla Consob: “Ero andato a trovare Panetta (Fabio, vice direttore generale Bankitalia, ndr), come faccio abbastanza abitualmente o con lui o con Visco (Ignazio, il governatore, ndr), una volta al mese, una volta ogni due mesi, non c’è una scadenza precisa ma, diciamo, una consuetudine precisa”. Panetta, dice l’Ingegnere, gli confida le sue trepidazioni: “Guardi, sono negativissimo, sono pessimista, solo lei si illude”. De Benedetti si illude? Ma ci sono o ci fanno? La vigilanza bancaria, a cui nulla sfugge, si sorprendeva del suo ottimismo? Panetta e Visco non sapevano che poco prima la società elettrica Sorgenia, controllata dalla Cir di De Benedetti, aveva dichiarato virtualmente fallimento, travolta da 2 miliardi di debiti con le banche? E che la Cir dei De Benedetti aveva detto alle banche di non avere un soldo da metterci e che erano cavoli loro? E che le banche, per non ammettere di aver perso 2 miliardi con De Benedetti, avevano convertito i crediti in azioni Sorgenia, liberando dal fastidio la specchiata famiglia torinese? Non sapevano, Visco e Panetta, che la banca più esposta, per circa 600 milioni di euro, era il Monte dei Paschi di Siena? Nel novembre 2011 Visco, come prima mossa da governatore, fece fuori da Mps il presidente Giuseppe Mussari. Strano: tra le tante nequizie che lo indussero a cacciare d’urgenza il banchiere calabrese, non aveva notato il perverso rapporto con De Benedetti e Sorgenia? Nel 2007 Mps aveva comprato per 33 milioni l’1,2 per cento di Sorgenia. Perché una banca compra l’1,2 per cento di una società che produce elettricità? Visco, sereno come sempre, non se l’è chiesto ma con quell’operazione fu fissato il valore della giovane società elettrica a 2,7 miliardi di euro quando gli analisti dicevano 1,5. Quel prezzo giustificò il volume dei prestiti, il cosiddetto merito di credito, e Mps arrivò a dare a Sorgenia 1,2 miliardi. Casualmente, in quelle settimane Repubblica salutò l’operazione Antonveneta (editoriale di Giuseppe Turani in prima pagina) come un “capolavoro”. Quindi: nella migliore delle ipotesi Visco riceve con tutti gli onori il primo insolvente di Mps. Nella peggiore sa che il suo amico diceva alle banche di non avere un euro per i debiti di Sorgenia per tenersi da parte i 620 milioni da giocare in Borsa. Complimenti a tutti per il bel quadretto: tutto legale, tutto indecente.