Il Messaggero, 15 gennaio 2018
John Grisham, quando il buono é un truffatore
«Un uomo con un’idea è un matto finché quell’idea non ha successo», diceva Mark Twain. E anche l’idea di commettere un crimine può sembrare folle, finché non diventa l’unico modo per trovare salvezza. Nel suo ultimo romanzo (da domani nelle librerie), La grande truffa, il mago dei legal thriller, John Grisham, prende di petto il lato più oscuro d’America (e non solo). Quello delle multinazionali con miriadi di ramificazioni – tra prestanomi, paradisi fiscali e scatole cinesi – capaci di estorcere denaro pubblico con una mano, (legalmente), e di farsi pagare profumatamente per il servizio con l’altra (in maniera altrettanto, apparentemente, lecita). Nella narrazione emerge un Paese fondato sul debito; sullo sfondo di un Sogno Americano pieno di crepe e di istanze illusorie.
Mark, Todd e Zola sono tre studenti di una Law School privata di Washington. Hanno contratto, in tre, un debito equivalente a un milione di dollari per pagarsi gli studi. Stanno per sostenere l’ultimo obiettivo: l’esame per diventare avvocato. Ma si accorgono che qualcosa non funziona.
L’ALLARME
Un loro compagno di studi, Gordon, li mette in allerta: sono stati attratti da un marketing invasivo, e da vane promesse di un rapido impiego (e da una altrettanto veloce estinzione del debito). Invece, il mercato del lavoro non offre per loro, studenti di una scuola di secondo piano come la (fittizia ma dal nome allusivo) Foggy Bottom Law School, nient’altro che stage non retribuiti, promesse di lavoro che poi svaniscono, impieghi sottopagati. Gordy soffre di disturbo bipolare e, in una delle sue crisi maniacali, riesce a ricostruire tutto lo schema truffaldino: il proprietario della scuola che frequentano possiede altri istituti del genere e, attraverso una serie di partecipazioni in altre società, incassa direttamente anche i proventi dei mutui che hanno contratto per accedere agli studi. Si tratta di fondi federali, agevolati, che finiscono direttamente nelle sue casse. «Se non si riesce a ottenere abbastanza dal governo – spiega il giovane ai suoi amici – interviene la compagnia privata, a tassi molto più alti». Ed è evidente che anche quest’ultima appartiene allo stesso magnate in questione, Hinds Rackley.
Gordon, atletico ma altamente instabile, finisce in un gorgo che sembra affondarlo sempre più; gli amici, che avvertono il pericolo, cercano di proteggerlo. Ma lui, sopraffatto dalle manie di persecuzione, si sottrae alla loro sorveglianza, e finisce per buttarsi da un ponte nel Potomac gelato. Giorni dopo, il suo corpo viene ritrovato a un tiro di schioppo dal memoriale di Thomas Jefferson. Il presidente che propugnava l’uguaglianza per tutti i cittadini degli Stati Uniti.
La morte di Gordon spinge i tre studenti a un gesto folle: lasciare la scuola per fondare una compagnia legale fittizia, ed esercitare la professione senza alcuna abilitazione. Il terzetto elegge a propria dimora (e sede legale) il Rooster Bar (titolo originale del libro), dove trovano riparo e temporaneo impiego. «Lo scorso anno un milione di studenti è andato in default», notano. Meglio agire d’anticipo, dunque, prima di venire travolti da un’inevitabile bancarotta.
CLANDESTINI
Alla truffa del sistema scolastico si aggiunge un altro sopruso. Zola, nata in America da genitori giunti clandestinamente dal Senegal (e quindi cittadina statunitense) non riesce ad evitare l’arresto, e quindi il rimpatrio, della sua famiglia. I loro posti di lavoro provvisori, e al nero, sarebbero stati assegnati ad altri, e il ciclo sarebbe continuato per sempre. Inevitabile che la giovane cerchi di salvarli. Così come diventa naturale la ricerca di una vendetta, o di un riscatto, nel classico schema di Davide che sfida Golia.
La grande truffa è un romanzo insolito per il suo genere. Grisham strizza l’occhio alla classe media americana, nell’epoca di Occupy Wall Street e del crollo dei mutui subprime. Il risultato è un giallo dal ritmo incalzante, che costringe alla lettura. Con una morale tutt’altro che scontata, e un finale al fulmicotone.
Lo stesso Jefferson, che sosteneva il diritto di tutti gli uomini alla felicità, si scagliava contro «il principio di spendere denaro che dovrà essere ripagato dalla posteriorità», ovvero di «truffare il futuro su larga scala». Se la frode è parte del sistema, sembra dire Grisham, l’unica reazione possibile è imbrogliare il sistema.