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 2018  gennaio 15 Lunedì calendario

Eros, case, bolidi. Spiando (con arte) nelle camere oscure di Carlo Mollino

Torino Per capire appieno la «passione Mollino» che da oltre un decennio, finalmente, rende giustizia a una delle più complesse figure intellettuali del ’900 italiano, bisogna essere torinesi. O almeno un po’. Si, perché dietro il rigore dello stile sabaudo, voluto da Vittorio Amedeo II di Savoia quando chiamò Filippo Juvarra per ripensare la città settecentesca con un barocco mai esagerato, si nasconde a fatica quella dose incontrollata di follia, visibile nell’architettura di Antonelli, a cominciare dalla Mole, e poi nell’Art Nouveau studiata da Italo Cremona in un saggio memorabile, personaggio che, a sua volta, era sì scrittore ma anche pittore controcorrente, se è vero che i suoi quadri figurativi si distaccavano sia dal rigore di Casorati, sia dall’informale accademico. E piacevano tanto al critico Luigi Carluccio, un altro che andava per i fatti suoi, sostenendo la resistenza della pittura mentre si imponeva l’Arte Povera.
Non sono che esempi delle tante anomalie torinesi. Carlo Mollino (Torino, 1905-73) è la punta di diamante di questa categoria di irregolari nati a Torino, a partire dall’impossibilità di darne una definizione esatta: architetto sì certo, ma anche designer, fotografo, pilota e discesista. Prima di morire, nel 1973, Mollino fa in tempo a completare la ricostruzione del Teatro Regio, la sua opera più famosa, insieme all’Auditorium (1952) e alla Camera di Commercio (1964). Numerosi gli interventi da interior designer nelle case dell’alta borghesia. Poi ci sono i mobili e gli oggetti, spesso in pezzi unici o serie limitate in stile modernista, alcuni di questi battuti in asta a prezzi record. E c’è soprattutto la ricerca fotografica che gli esperti stanno studiando da tempo per la sua assoluta originalità. 
La mostra L’occhio magico di Carlo Mollino, aperta da Camera (Centro italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino) dal 18 gennaio al 13 maggio, si propone come l’esposizione più competa di fotografie, realizzate dal 1934 al 1973. Un’indagine, per la cura di Francesco Zanot, che parte dagli scatti in bianco e nero e incentrati sull’architettura e giunge alle polaroid degli ultimi anni, quando Mollino scopre questa nuova apparecchiatura istantanea nello stesso periodo in cui affascina artisti come Andy Warhol e professionisti quali Helmut Newton.
C’è una consapevolezza estetica in tutto ciò, un’ambizione artistica che lo spinge a usare la fotografia come un linguaggio espressivo? Forse non del tutto. Più appropriato parlare di passione, la stessa che, da dilettante, lo avvicina al volo, allo sci (nel 1951 pubblica il manuale Introduzione al discesismo) all’auto da corsa (nel 1955 partecipa alla 24 Ore di Le Mans). E come spesso gli è accaduto, Mollino non si limita a scattare: ci riflette su, teorizza, ipotizza, scrive. Il suo libro Il messaggio della camera oscura (1949), anch’esso oggetto di collezionismo, viene considerato un punto di riferimento per la diffusione di questo linguaggio tra le arti.
Le centinaia di foto raccolte per la mostra sono suddivise in sezioni proprio per evidenziare le differenze stilistiche. «Mille case» tratta il tema dell’abitare, non semplici foto di architettura ma vere e proprie reinterpretazioni degli spazi che Mollino allestiva in maniera scenografica, intervenendo sulla disposizione degli oggetti a formare Still Life di gusto surreale e metafisico. E il Surrealismo si evidenzia anche nella seconda sezione, «Fantasie di un quotidiano impossibile», un po’ Dalì un po’ De Chirico, mentre in «Mistica dell’acrobazia» troviamo il Mollino più spericolato e folle, attratto dalle velocità, dalle forme sperimentali che si evidenziano, nel design, nella progettazione di bolidi futuribili. Il nucleo principale e più ricco, «L’amante del duca», ha a che fare con il corpo femminile. A ciò non è estranea la biografia. Carlo Mollino amava le donne, provava attrazione e curiosità, ci giocava con malizia contando sulla complicità delle sue modelle, raramente professioniste, più spesso «madamine» della Torino bene che si prestavano volentieri a mostrarsi nude o seminude, giocando con abiti e trasparenze, dove il voyeurismo della macchina fotografica coincide con l’esibizionismo dell’oggetto rappresentato. Tende, mobili, panneggi, oggetti, vestiti sono i dettagli che trasformano una semplice foto di nudo nel racconto di un mondo venato di esotismo, traboccante di ironia e leggerezza.
È stato definito «architetto e puttaniere», ma non basta. Aggiungiamo dandy, eccentrico, solitario, conclamato solo dopo la morte. Un lavoro lungo e paziente quello che ne ha portato alla piena rivalutazione. Oggi Mollino è addirittura una figura di culto, stimatissimo all’estero, grazie a quello spirito irriverente che ne ha impedito ogni definitiva classificazione.