il Giornale, 15 gennaio 2018
Rinunce e grandi esclusioni: da Alfano alla Bindi ecco chi perderà il seggio
Se non è un addio, è un arrivederci. A mai più, a tra cinque anni o chissà, anche meno se il rischio stallo nella complicata formazione di una maggioranza sfocerà in nuove elezioni. Chi per la famiglia, chi per anzianità di mandati, chi per evitare la debacle in un selettivo round elettorale e conservare, così, un jolly: a un mese e mezzo dal voto si allunga la lista dei protagonisti della Seconda Repubblica che lasciano lo scranno senza riprovarci. Almeno per ora. Con una sola granitica, certezza, che diventa il refrain di queste ore: «La politica si fa anche da fuori». Fuori dai palazzi. A dare il via alle defezioni è stato il recordman di incarichi e ministeri accumulati in un quinquennio, resistendo alle turbolenze del parlamento in equilibrio precario tra scissioni e cambi di maggioranza. Angelino Alfano, quattro legislature alle spalle, annunciando la fine della maratona che lo ha visto passare dalla Giustizia, al Viminale fino alla Farnesina ha precisato che no, «non farò nemmeno il ministro». Sia chiaro, però, «lascio il Parlamento ma non la politica».
Appunto. Come il mattatore di piazza del movimento cinque stelle, Alessandro Di Battista già in campagna elettorale per soffiare sul consenso del «fratello», il candidato premier Luigi Di Maio. Prima di buttarsi tra la folla ha fatto digerire alla base il passo indietro annunciato per dedicarsi alla vita di neo papà: «In questo momento ho altre aspirazioni, ma si può fare politica lo stesso. Prima scrivevo e mi occupavo di cooperazione internazionale, tornerò a fare quello». La scrittura, ma anche una cartuccia da giocarsi in futuro, magari con un altro mandato a disposizione senza venir meno ai principi del M5s. C’è chi, nonostante in Parlamento non vi si sia mai nemmeno seduto, non ambisce nemmeno a farlo ora. Non dopo essersi accomodato sulla poltrona del ministro.
Come il corteggiatissimo Carlo Calenda, candidato nel 2013 con scelta civica, ma non eletto. Il titolare dello Sviluppo economico nel governo Pd ma senza la tessera del Pd, da mesi viene tirato per la giacchetta da destra e sinistra negandosi a entrambe le parti. Per il ruolo da deputato o senatore, s’intende: «Il lavoro di parlamentare non lo sento un lavoro vicino a me». La fibrillazione tra i dem a caccia di deroghe ai tre mandati non tocca chi, come Rosy Bindi, dopo sei legislature e due ministeri, si chiama fuori dalla corsa. Una vita in parlamento, ora la «madre nobile» del Pd ammette di «non riconoscere più» suo «figlio». E poi «ho lavorato in questo palazzo per 23 anni, vorrei tornare agli studi, al mio vecchio amore per la teologia. Ma non mi ritirerò a vita privata». Anche l’ex «madrina», invece, dell’ex ministra per le riforme Maria Elena Boschi, Anna Finocchiaro, terminerà qui, a differenza della giovane predecessora, una parabola politica lunga tre legislature vissute dagli scranni del Senato e cinque da quelli della Camera. Quella che si è conclusa ora è «l’ultima» anche per Vannino Chiti, ancora «amareggiato» dal suo Pd per com’è andata con la legge elettorale. Lascia anche la vicepresidente del Senato Linda Lanzillotta, eletta con Scelta Civica. Ininterrottamente in Parlamento dal 1992, Carlo Giovanardi dice no all’accanimento: «Ho 68 anni. Bisogna sapere quando dire basta».