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 2018  gennaio 15 Lunedì calendario

Xavi: «Io, Guardiola e il codice Barça. Così sviluppammo l’idea più imitata»

Convinti che Xavi sia stato l’indispensabile ideologo della nazionale spagnola e il promotore dell’ultima grande evoluzione nel mondo del calcio, gli sceicchi del Qatar lo hanno chiamato a lavorare per loro nel 2015. Da allora, il centrocampista catalano impartisce le sue ultime lezioni nell’Al-Sadd e fa da consulente. Allena, gioca, collabora con la Aspire Academy, partecipa all’organizzazione del Mondiale 2022 ed è vicino alla famiglia dell’emiro Al-Thani, cui presta la sua consulenza negli investimenti legati al calcio.
Andare da Xavi nel deserto di Doha è come presentarsi davanti all’oracolo.
Da dove veniamo e dove stiamo andando nel calcio?
«Penso che il ruolo degli allenatori sia a volte eccessivo. Siamo migliorati così tanto a livello fisico che oggi è molto difficile dribblare i difensori. A parte Messi o Neymar, a un Suarez di turno, ma anche a un Cristiano o a un Bale, riesce difficile dribblare l’avversario, perché fisicamente siamo a un livello imbattibile. Ci alleniamo con un chip sul torace, calcoliamo le distanze, i chilometri percorsi, la velocità massima... È impossibile essere più preparati».
Non crede che il Barça di Guardiola abbia aumentato questa difficoltà di attaccare? Gli spazi sono più compressi.
«È vero. Guardiola si concentrava su tutti i dettagli. Io non avevo mai lavorato su una rimessa laterale difensiva. Lui ti chiedeva anche questo: quando facevano una rimessa laterale contro di noi, eravamo tutti piazzati. A volte l’avversario diceva: “Cavolo, ma che succede? Non trovo lo spazio per fare la rimessa!”. Guardiola aveva tutto sotto controllo. Che cosa è successo? Che tutti hanno voluto un po’ copiare il suo stile, come Löw che ci ha osservato ed è arrivato dove è arrivato. Alcuni hanno copiato, e altri si sono orientati verso l’antitesi, che è Simeone. Il calcio ha sfruttato il fisico e le tattiche. Ora ciò che resta da sfruttare a fondo è la tecnica. Nel calcio ai massimi livelli ci sono più emuli di Simeone che di Guardiola.
Lo vedi in Premier: quante squadre giocano come Guardiola? Tre?
Quattro? E quante come Simeone?
Il 70%. Nella Liga è lo stesso. La loro scusa è: “Non posso competere con il City o il Barcellona”. Ma lo fanno anche contro il Leganés!».
Quanti sono in grado di giocare in spazi piccoli?
«Ci si può allenare a farlo! Ma cosa fanno? Il Mourinho del Real ci giocava direttamente alle spalle.
Diceva ai suoi di non fermare la palla. La giocavano veloci e facevano partire Di Maria, Cristiano o Benzema. Ora lo fanno Bale, etc...
Non volevano giocare a calcio!»
Parla di stimolare la creatività.
Come?
«Con i rondos! La gente pensa che servano a divertirsi. No! Il rondo è un esercizio incredibile: attiri il difensore e quando arriva, pum, fai il passaggio dall’altra parte... non si esaurisce mai. Consente uno sviluppo infinito: 7 contro 2, 5 contro 2, più difficile, 9 contro 2, più ludico. Oppure puoi fare un grande rondo con tre difensori in mezzo...
Ti costringe a guardare che cosa accade intorno a te, dov’è l’uomo libero. Al Barça intendiamo il calcio come spazio-tempo. Chi lo controlla? Busquets, Messi, Iniesta: sono maestri dello spazio-tempo.
Sanno sempre cosa fare, se sono soli o circondati. Questa cosa, centrocampisti come Casemiro non la capiscono. Ma, a sua volta, Busquets non potrebbe mai fare le coperture che fa Casemiro quando se la gioca a testa o croce».
A testa o croce?
«Sì: il Madrid si divide, sette vanno all’attacco e Casemiro rimane solo al centro a coprire. Questo è il testa o croce. Questo Busquets non lo può fare perché anch’io sono più veloce di lui. Casemiro è rapidissimo. Ma tutto il resto gli viene difficile perché non ci ha lavorato: ha altre caratteristiche, è più difensivo, ruba più palle, arriva, copre più campo.
Ma non domina lo spazio-tempo. Se lo avessero stimolato a 12, 13, 15 anni, lo farebbe. Perché Kroos ne è capace? Perché in Germania glielo hanno insegnato. Perché Thiago Alcántara lo sa fare? Perché è stato alla scuola del Barça. La cosa sorprendente è: perché Cazorla sa farlo? Io gliel’ho chiesto: “Ma da dove sei uscito?”. “No, no, io mi sono formato all’Avilés e all’Oviedo e poi sono andato al Recreativo Huelva...”. Sono talenti innati. Mi chiedo: perché il Barça non li ha comprati? Lahm... per esempio.
Vedeva tutto!».
I cambi di posizione dei giocatori significano una confusione totale per l’avversario ma anche un terribile sforzo fisico e mentale per la squadra stessa. Come si può evitare questo?
«Io non la vedo così. Più che di cambi di posizione dobbiamo parlare di intesa. Non dobbiamo insegnare al giocatore a cambiare posizione, ma a capire le cose. Il qatarino non capisce perché. Se io porto palla, lui viene verso di me: “Che fai? Così ci scontriamo!”. Viene a un metro e dico: “Non vedi che se Maradona e Pelè giocassero nella stessa squadra a un metro di distanza, io diventerei il miglior difensore del mondo?”. Metti Maradona e Pelè a 15 metri di distanza. Che fai? Dove vai?
Possono passarsi la palla senza sbagliare per tre giorni di seguito.
Cruyff parlava della fisarmonica: di aprire il campo, di capire dov’è lo spazio libero. Se qui c’è Iniesta, io non posso più stare nello stesso posto. Se è sotto pressione, gli do una via d’uscita. Il vantaggio del Barça rispetto alle altre squadre è che ci ha lavorato per molti anni».
L’idea coltivata nel Barça è l’ultima grande idea che ha trasformato il calcio. Quale sarà il prossimo paradigma?
«Il talento vince sempre il fisico. Il giorno in cui questo non succederà più sarà finita perché il gioco diventerà molto noioso. Ciò che bisogna sviluppare è questo: che il giocatore pensi al perché. Perché ti piazzi qui? Perché ti muovi nel momento giusto?».
È inevitabile, vista una tale complessità, che i tecnici siano sempre più importanti?
«Sì, il calcio è sempre più simile al football americano. E nulla è affidato al caso. Ma è anche arrivato un momento in cui, se Guardiola se ne andava in vacanza, la squadra sapeva già cosa doveva fare. L’unica cosa che non fai da solo è analizzare l’avversario. Insomma, io lo facevo».
Come legge le partite Messi?
«Tatticamente capisce tutto. È una vergogna che lo paragonino a qualcun altro. Domina tutto. Lo spazio, il tempo, dov’è il compagno di squadra e l’avversario. Prima squilibrava soltanto per la sua abilità e la sua forza. Adesso ti dribbla per divertimento: ti attira.
Vede uno che lo marca ma siccome sa che ha paura di lui, aspetta che ne venga un altro, e quando ne ha tre addosso al momento giusto la passa. L’ho visto fare a LeBron James, nella finale Cavaliers-Miami del 2014: quando ne aveva due su di lui, passava la palla e il compagno era libero di fare un tiro da tre».
Ci sono più giocatori disposti a fare quello che vuole lei o quello che vuole Simeone?
«Dipende. Io credo che la maggior parte dei giocatori, quando va in campo, non si metta a fare degli scatti, ma dei passaggi. Il pallone è un vizio. Giochiamo a calcio perché abbiamo il vizio del pallone».
Come s’immagina il Mondiale?
«Il Brasile si è ripreso. Ha talento e fisico. È difficile. Per questo la Spagna ha tanto merito. Perché ha vinto praticamente senza fisico. A parte Ramos, guardi cosa eravamo: Arbeloa, Puyol e poco più. Anche adesso ha soprattutto talento. Non esiste un centrocampo come quello della Spagna: non esiste un Silva.
C’è uno più bravo di Silva? Non c’è.
C’è uno migliore di Iniesta? Non c’è. C’è uno migliore di Busquets? Ecco! Questi portano il peso della squadra. Più dietro, la vecchia guardia: Alba, Piqué, Ramos e Carvajal. La Spagna ha guadagnato in fisico, ma non può competere con la Germania su questo: deve giocare sul suo talento».
Quali giocatori metterebbe in evidenza tra i nuovi?
«Vitolo mi piace molto. Può capire molto meglio il gioco, ma mi sembra spettacolare. Saúl è un altro giocatore spettacolare: ed è un altro da far crescere. Carvajal mi sembra un difensore eccellente e se supera gli infortuni Thiago è formidabile».
Isco e Asensio?
«Devono sapere quello che mi diceva Aragonés: “A lei, cosa piace?
Il bel calcio o il buon calcio?”. Io non capivo: “Che significa?”. “Lei mi dia del buon calcio. Anche quello bello, sì, ma per imbrogliare quattro ingenui”. Non voglio fare nomi, ma nella Liga ci siamo fatti impressionare da giocatori che sono scomparsi senza lasciare traccia. Sì, bei preziosismi, ma a cosa servono? Quali preziosismi fa Messi? Messi non fa preziosismi. Va al sodo. Messi è il calcio buono, tanto buono che diventa bello».
La Francia ha la squadra migliore?
«Sì. A livello del Brasile e della Germania. E non ci scordiamo l’Argentina: è al livello della Spagna. Il fatto è che gioca con una tensione tale che non ce la fa. Non è vero che non abbia centrocampisti. Banega potrebbe stare nel Barcellona. E Mascherano non può giocare da regista? Quando venne al Barça, faceva fatica a distinguersi perché al Liverpool non ne aveva bisogno.
Faceva dei lunghi passaggi o bastava che la desse a Gerard. Ma nel Barcellona deve fare più cose. È l’esame di laurea per un calciatore.
È la società più difficile e più esigente del mondo. Il Real non fa un gioco così pulito. Al Bernabéu se un difensore tira il pallone in tribuna va bene. Sono abituati. La gente applaude. Al Camp Nou se tiri il pallone in tribuna si sente un mormorio di protesta. Dall’epoca di Cruyff».
Il Psg è un punto di riferimento obbligatorio nel calcio mondiale, ma ha una storia recente. Come si fa una squadra quando i giocatori sono più importanti della società?
«Il giocatore ha ancora molto rispetto per l’allenatore. È un fatto interiorizzato che, anche se guadagna 20 milioni e l’allenatore cinque, ascolta il suo allenatore.
L’allenatore deve sapere come prendere chi fa la differenza.
L’intelligenza emotiva per un allenatore è fondamentale. Non puoi litigare con i giocatori. Devi sedurli».
Traduzione di Luis E. Moriones