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 2018  gennaio 15 Lunedì calendario

Caccia ai docenti col doppio lavoro. Le indagini che agitano gli atenei

MILANO Centinaia di controlli in tutta Italia, ordinati dalle procure regionali della Corte dei Conti.
Milioni di pagine acquisite dalla Guardia di finanza nelle segreterie delle università e nelle stanze dei professori: registri didattici, verbali dei consigli di facoltà, autorizzazioni a svolgere attività esterne. L’obiettivo della campagna nazionale di controlli, cominciata nel 2017, è accertare se i professori con incarico a tempo pieno abbiano rispettato le regole su consulenze e incarichi professionali esterni. O se invece abbiano arrotondato lo stipendio (a volte di molto) in modo irregolare.
Sotto torchio sono finiti soprattutto i docenti che dividono le proprie giornate fra cattedra e partita Iva. Professori di Ingegneria con incarichi di ricerca retribuiti nel settore privato. Geologi che, al di fuori dell’università, fanno consulenze per compagnie petrolifere. Professori di Chimica nominati periti di parte nei processi. Secondo una ricognizione del sindacato dei professori Uspur, i docenti sotto indagine sarebbero una ventina all’università di Padova, almeno trenta a Napoli, una decina a Bari. Quaranta solo al Politecnico di Milano, dieci in meno al Poli di Torino.
Diversi casi si hanno a Trento.
Sono pochi gli atenei che non hanno verifiche in corso. La procura lombarda della Corte dei Conti, presieduta da Salvatore Pilato, ha lavorato molto sui professori di Medicina.
«Siamo alla caccia alle streghe – lamenta Maurizio Masi, direttore del dipartimento di Chimica al Politecnico di Milano e segretario nazionale di Uspur -. È tale la preoccupazione dei colleghi, che a dicembre abbiamo dovuto convocare una riunione in università. Molti, per il solo fatto di avere ricevuto la verifica della Finanza, sono mortificati nel venire al lavoro.
Ed è paradossale, visto che la capacità di operare nel contesto produttivo è riconosciuta in tutto il mondo come plus nella valutazione dei docenti e degli atenei».
A spaventare i professori – oltre alle contestazioni ricevute, spesso per centinaia di migliaia di euro – sono le sentenze già pronunciate dalla Corte dei Conti. C’è il caso di un ricercatore confermato di Ingegneria industriale dell’università di Bologna, titolare di partita Iva dal 2005, condannato lo scorso 6 novembre a risarcire 39mila euro, pari al “totale netto dei redditi da lavoro autonomo percepiti”. E già nel 2015 la sezione campana della Corte aveva condannato dieci docenti dell’Università di Napoli “Parthenope” – divisi fra varie discipline, da Economia a Geotecnica – a pagare somme fra i 30mila e i 438mila euro perché avrebbero svolto attività incompatibili con la docenza a tempo pieno. Una sentenza poi riformata in appello, per avvenuta prescrizione.
A coordinare il programma di controlli in Guardia di finanza è il Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie. Le verifiche in corso riguardano la presunta violazione dei commi 10 e 12 dell’articolo 6 della legge 240 del 2010, la riforma Gelmini dell’Università. La norma regola le attività extra didattiche dei professori, consentendo di svolgere «attività libero professionali e di lavoro autonomo continuative» ai soli professori «a tempo definito». Quei docenti cioè che hanno accettato una riduzione di stipendio, e il divieto di ricoprire cariche accademiche, ottenendo in cambio ampie autorizzazioni a fatturare a clienti privati. È il caso tipico dei professori di Diritto che svolgono la professione di avvocato, o dei progettisti che insegnano ad Architettura.
Più complessa è la disciplina per quanto riguarda i professori a tempo pieno, a cui la riforma del 2010 consente attività di consulenza esterna, con alcuni limiti e secondo regole decise dai regolamenti dei singoli atenei. Una previsione che ha generato caos e disparità fra ateneo e ateneo su cosa sia consentito fare e cosa no. Si va dall’estremo della Bicocca a Milano, che vieta le attività esterne ai propri docenti a tempo pieno, fino all’università di Genova, che alle consulenze non pone restrizioni oltre a quelle di legge.
Di regola, le procure regionali della Corte dei Conti tendono a fare verifiche soprattutto sui docenti titolari di partita Iva. E non potendo agire “in via preliminare”, come sancito dalla Cassazione, lo fanno a seguito di segnalazioni e denunce. Per l’avvocato Francesco Arecco, che sta studiando per Uspur e per un corposo gruppo di docenti una proposta normativa sul tema, «sostenere che avere una partita Iva di per sé sia incompatibile con il tempo pieno, porterebbe alla condanna della maggior parte dei professori di area tecnica.
La 240/2010 è chiara nel liberalizzare la consulenza, e lo confermano i lavori parlamentari. Dato che la realtà evolve, la normativa è matura per l’introduzione di una disciplina di dettaglio di quanto sia permesso e quanto vietato a professori a tempo pieno o definito». Nello stesso senso si è espressa l’Autorità nazionale anticorruzione. Lo scorso 22 novembre, nella delibera numero 1208, Anac ha parlato di «incertezza interpretativa» e di «un alto livello di difformità applicativa», invocando un intervento del ministero dell’Istruzione e della Ricerca, nella convinzione che «lo svolgimento di consulenze, esercizio professionale, attività redazionali possa conciliarsi legittimamente e anche virtuosamente con l’autonomia di ricerca».