la Repubblica, 14 gennaio 2018
Martina Valcepina: «Sono madre e acrobata, volevo due medaglie così le gemelle non litigano»
Due ori proprio uguali spiccicati, come Camilla e Rebecca, le sue gemelle.
«Così non litigano: le ho chiamate subito dopo la gara, mi aspettano per vedere le medaglie». Martina Valcepina, 25 anni, è mamma short track.
Le sue bimbe hanno tre anni e mezzo e l’aspettano a casa, a Bormio. Dovrà raccontare loro di questa giornata particolare, quella in cui lasciate le pappe e i tormenti di madre, è diventata donna e padrona della pista agli Europei di Dresda, in Germania: campionessa nei 1500 e nei 500, battendo Arianna Fontana.
Tutto in un solo giorno.
«Davvero, non me l’aspettavo di vincere due ori. Soprattutto nei 1500. Il mio obiettivo era la finale dei 500. Mi sentivo affaticata in semifinale, poi ho risparmiato le energie e quando le altre si sono fatte la guerra io con un pizzico di fortuna mi sono trovata al posto giusto, veloce e resistente».
La maternità è stata un buon allenamento?
«Di più: è un’acrobazia. Difficile riuscire a gestire tutto, per fortuna ho una famiglia che fa rete. Mia madre Silvana, che lavora con i disabili, mio padre Renato elettricista e appassionato di sport, le mie sorelle, zii e cugini. Non saprei come fare senza il loro aiuto. Quando sono rimasta incinta fu una bellissima sorpresa, non l’avevamo programmato col mio compagno, Luigi, che fa il muratore in Svizzera e torna solo nel fine settimana. Pensai: non tornerò più sui pattini».
E invece?
«Invece li ho rimessi appena ho potuto. E anche senza allenamento non ero malaccio. Mi sono detta: e se ci provassi? La gravidanza mi ha tolto ansie, insicurezze, l’agitazione e la timidezza di un tempo. Controllo di più le emozioni. Mi sorprendo io stessa. In questi giorni ho sentito serenità e pace, e ho persino dormito».
E poi ha battuto Arianna.
«Non ho mai avuto la sua determinazione. È la più grande campionessa che abbiamo, la più forte, un’atleta completa. Non sono la sua erede, arriverà tra le più giovani, ma la sua compagna di squadra dagli inizi. Mia sorella più piccola, 23 anni, si chiama come lei e mio padre come il suo.
Che coincidenze. Ho sempre cercato di studiarla, copiarla, imparare segreti da lei. Il modo che ha di affrontare le gare: con testardaggine e convinzione. In confronto, io ero un po’ agitata e persa».
Cos’altro è stato il suo passato?
«Ho cominciato sui pattini a 5 anni per seguire mia sorella più grande, Alessia, che ha 28 anni e fa la massaggiatrice alle terme di Bormio. All’inizio era un gioco, facevo anche altri sport, dal nuoto all’atletica, poi ho scelto lo short track perché a Bormio c’è una scuola che mi avrebbe permesso di crescere. Non ho mai deciso davvero di farne una professione, è venuta da sé, e nel 2008 ho cominciato le mie prime gare in Coppa del mondo».
E già due Olimpiadi con il bronzo a Sochi 2014 nella staffetta 3000 metri con Arianna. Promesse per la terza?
«Nessuna, e a dir la verità non voglio pensarci. Anche per la logistica familiare: se allenandomi riesco spesso a portare le bambine con me lasciandole in due asili, a Bormio e Courmayeur, in Corea del sud dovrò rinunciare. Posso dire che saranno le Olimpiadi delle donne per l’Italia. Sono felice del successo di Brignone e di Wierer, e orgogliosa di fare parte di questo gruppo azzurro al femminile ai Giochi. Siamo forti, anzi dei simboli: perché nello sport c’è merito, e una parità vera».