la Repubblica, 14 gennaio 2018
Una gobba ci piegherà
Si può abolire la riforma Fornero? Tutto si può fare, ma occorre capirne le conseguenze. Andiamo allora a vedere, usando qualche numero invece che affermazioni generiche, cosa ha fatto la riforma Fornero e se ci sono margini di manovra.
La riforma delle pensioni contenuta nel decreto legge 201/2011 (lo chiamerò così d’ora innanzi perché si è personalizzato anche troppo) fa seguito a diversi altri interventi che, a partire dalla metà degli anni ’ 90, cercarono di contenere l’aumento della spesa per pensioni che le tendenze demografiche e la passata generosità del sistema stavano causando. Un aumento della spesa pensionistica rispetto alla dimensione dell’economia ( il Pil) deve essere finanziato comprimendo altre spese, aumentando la pressione fiscale o accumulando debito, quanto in effetti era già successo nel corso degli anni ’70 e ’80. Le riforme, tra cui l’agganciamento dell’età di pensionamento alle aspettative di vita ( pre- esistente il dl 201/ 2011), erano proprio volte a evitare un ulteriore aumento del peso delle pensioni sul resto dell’economia.
Prima del dl 201/2011 si prevedeva che, grazie alle riforme già attuate, la spesa per pensioni sarebbe stata nel 2045 più o meno al livello del 2011 ( circa il 15 per cento del Pil), riducendosi successivamente. Tra il 2011 e il 2045, però, la spesa avrebbe continuato a crescere per diversi anni prima di cominciare a scendere: c’era quella che si chiamava una “gobba” nel grafico della spesa per pensioni in rapporto al Pil. Il dl 201/ 2011 accelerò l’aumento dell’età di pensionamento e il passaggio al contributivo, eliminando quella gobba. Insomma, grazie alla riforma, la spesa sarebbe rimasta più o meno costante rispetto al Pil, dopo una piccola discesa iniziale, per circa trent’anni. Il risparmio totale ( cioè cumulato negli anni fino al 2060) rispetto alla situazione precedente veniva quantificato in circa 20 punti percentuali di Pil dalla Ragioneria Generale dello Stato, una cifra ragguardevole per un paese il cui debito pubblico è già così alto. Già di per sé, questo ci dice che un’abolizione completa degli effetti del dl 201/2011 avrebbe pesanti conseguenze per il debito pubblico nei prossimi decenni. Ci sono però due altri problemi.
Primo, in una pubblicazione intitolata “Il futuro demografico del paese” dell’aprile 2017, l’Istat ha rivisto le proiezioni demografiche: l’Italia invecchia più rapidamente del previsto, sicché, anche dopo il dl 201/ 2011 il rapporto tra spesa per pensioni e Pil, costante sui livelli attuali fino al 2030, è ora previsto crescere di un punto di Pil tra tale data e il 2045. Insomma, si è creata una nuova, seppur più piccola, gobba. Secondo, quanto detto finora riflette le previsioni ufficiali sul rapporto tra spesa per pensioni e Pil. Queste previsioni però sono basate su ipotesi piuttosto ottimistiche sull’andamento del Pil, il denominatore del rapporto: le previsioni ufficiali ipotizzano che la crescita del Pil sia sostenuta da un continuo flusso di immigrati che si stabilizzino in Italia ( 150- 160.000 all’anno nei prossimi decenni), un aumento del tasso di attività (il rapporto tra partecipanti al mercato del lavoro rispetto alla popolazione in età lavorativa crescerebbe dall’attuale 57 per cento al 67 per cento nel giro di 20-25 anni), un aumento delle nascite e quindi della forza lavoro (il numero di figli per donna salirebbe dall’attuale 1,35 a 1,55 entro il 2045) e, soprattutto, un aumento del tasso di crescita della produttività ( che dallo zero che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni salirebbe all’uno e mezzo per cento). Sono ipotesi realizzabili, con le giuste riforme, ma ci sono rischi. Quindi, anche dopo il dl 201/2011 la spesa per pensioni rispetto al Pil potrebbe continuare a crescere. I margini di manovra sembrano quindi limitati.
L’abolizione o l’annacquamento del dl 201/ 2011 causerebbe una maggiore spesa per pensioni per l’abbassamento dell’età di pensionamento e, forse, per un aumento del livello delle pensioni. I sostenitori della controriforma sperano però in un deus ex machina: una maggiore crescita del Pil, che conterrebbe la crescita delle pensioni rispetto alle dimensioni dell’economia. Ma abbiamo già visto che le previsioni ufficiali già ipotizzano una dinamica piuttosto favorevole di occupazione, produttività e, quindi, Pil. Andare oltre sembra proprio difficile.
Quindi, un annacquamento del dl 201/ 2011 porterebbe a una maggior pressione sulla spesa per pensioni rispetto al Pil e, in generale, sui conti pubblici. Questa pressione dovrebbe essere compensata da maggiori tasse o tagli ad altri tipi di spesa (che già sono stati compressi negli ultimi anni visto che la spesa per pensioni è stata la parte di gran lunga più dinamica della spesa pubblica, incluso negli ultimi 10 anni). A meno di voler scaricare tutto sul debito pubblico, ancora una volta.
Certo, c’è chi pensa che il debito pubblico sia irrilevante perché, se uscissimo dall’euro, potremmo avere a disposizione risorse infinite stampando nuove lire, anche per pagare le pensioni. Magari i pensionati preferirebbero essere pagati in valuta pesante, ma non si può avere tutto. In ogni caso, se questa è l’intenzione, allora diciamolo chiaramente (a dire il vero qualcuno dei controriformisti lo dice, dimostrando almeno una certa coerenza …).