la Repubblica, 14 gennaio 2018
Feste da ballo, vandali e furti nel caffè caro a Stendhal. «Basta, quello è un museo»
Padova Da “Caffè senza porte” a locale storico senza rispetto. Da punto d’incontro per intellettuali, politici, studenti e accademici a discoteca dove rimbomba la musica “unz unz” e la gente si scatena sui tavoli. Quasi un contrappasso per il Caffè Pedrocchi di Padova, locale di fama internazionale realizzato dallo Jappelli, inaugurato nel 1831 e donato con un lascito testamentario da Antonio Pedrocchi ( figlio di un caffettiere bergamasco) ai padovani. Il proprietario oggi è il Comune di Padova che, attraverso un bando pubblico, ne affida la gestione. L’edificio monumentale, che con le sue sale doveva rappresentare il meglio dell’umanità, da gennaio 2014 è affidato alla società milanese F& de Group, che gestisce una trentina tra ristoranti e locali in tutta Italia. Certo, il Pedrocchi non è un locale qualsiasi. Tra gli obblighi imposti nel contratto c’è anche la tutela degli spazi di cui parla anche Stendhal in un brano de La certosa di Parma, frequentato com’era da letterati italiani ed europei tra cui Eleonora Duse, il futurista Marinetti, D’Annunzio e Balzac.
Negli ultimi anni la musica è cambiata parecchio. Poco pianoforte e tanti dj. Come a dicembre 2016, quando una segretaria è stata ripresa durante la festa di compleanno a ballare sul bancone scanalato in marmo. O nell’ultimo Capodanno, con le fontanelle luminose accese nonostante il pavimento in legno, i bicchieri sui marmi, i panettoni tagliati sui tavoli antichi, i balli e le luci da discoteca. «Sono incazzato nero», sbotta l’assessore alla Cultura Andrea Colasio. Come dargli torto, visto che qualche giorno dopo il festone di fine anno si è scoperto anche il furto di una zampa leonina in ottone dal bancone centrale. «Stiamo decidendo le sanzioni. Questo non è un ultimatum ma un allarme rosso sì. O si rendono conto che è un bene culturale o se ne devono andare» continua l’amministratore.
Le cronache del tempo parlano di questo caffettiere, Antonio Pedrocchi, uomo ambizioso e visionario che a Padova voleva realizzare il caffè più bello del mondo. Si affidò allo Jappelli che diede forma al suo sogno, sintetizzando in una decina di sale il meglio della storia fino a quel momento. C’è il pianterreno con un susseguirsi di stanze denominate in base al colore della tappezzeria ( sala rossa, sala gialla, sala verde e sala bianca). Lì c’è il buco sul muro provocato da un colpo di fucile esploso l’ 8 febbraio 1848, nel corso del moto risorgimentale contro l’esercito dell’Impero austriaco. Poi c’è il piano superiore con la sala etrusca, quella greca, quella romana, quella rinascimentale e anche una dedicata a Gioacchino Rossini. Viene chiamato “Caffè senza porte” perché chiunque poteva sedere ai tavoli anche senza ordinare e trattenersi a leggere libri e giornali. Tuttavia, con la nuova gestione si è aperto in città il dibattito sul futuro del Pedrocchi e sul difficile equilibrio tra tutela e sostentamento economico. «Parliamoci chiaro» dice Ermes Fornasier, manager della società milanese. «Questo locale senza eventi non si sostiene. Pago 20 mila euro al mese di affitto e ho 50 dipendenti. Se il Comune vuole un museo me lo deve dire, così chiudo tutto». Sul furto della zampa leonina è intervenuto anche il critico d’arte Philippe Daverio: «I luoghi vanno vissuti e non trasformati in un cadavere. Purtroppo l’idiozia umana non è prevedibile».