Corriere della Sera, 15 gennaio 2018
«Signor Schulz, disegni un nero». Così Franklin tese la mano a Linus
WASHINGTON Nell’aprile del 1968, l’America è scossa dallo choc, dalla violenza e dalla paura. La sera del 4 aprile, a Memphis, in Tennessee, il pastore Martin Luther King viene assassinato da un colpo di fucile, mentre prende una boccata d’aria sul balcone di un motel. Nei giorni successivi, in 120 città sfilano gli attivisti afroamericani. Scoppiano disordini, ci sono durissimi scontri con la polizia. Robert Kennedy sospende la campagna elettorale, si offre come sponda per mediare.
Il 15 aprile, una donna bianca, Harriet Glickman, sconosciuta insegnante di Burbank, un sobborgo di Los Angeles, scrive una lettera a Charles Monroe Schulz, uno dei più famosi cartoonist d’America e del mondo, il creatore dei Peanuts. «Dalla morte di Martin Luther King mi chiedo come io possa contribuire a cambiare le condizioni sociali che hanno portato all’assassinio. Ho tre figli, sono una cittadina attiva e profondamente preoccupata. In questo periodo sto riflettendo sull’enorme importanza dei mass media nella formazione degli atteggiamenti inconsci dei bambini». Poi la proposta, formulata con il linguaggio di allora: «Le chiedo di introdurre dei “Negro children”» nel gruppo di Charlie Brown, Snoopy, Lucy e tutti gli altri.
Schulz ci pensa sopra due settimane. Poi invia una breve risposta. Un rifiuto, motivato così: «Gentile signora, grazie per la sua bella lettera e il suo suggerimento. Mi piacerebbe farlo, ma io, come gli altri cartoonist ci troviamo di fronte allo stesso problema: questa cosa potrebbe sembrare un modo di trattare con condiscendenza i nostri amici “Negro”».
Harriet non si scoraggia e su un punto ha perfettamente ragione. La prima striscia dei Peanuts era comparsa il 2 ottobre del 1950 e nel 1968, le brevi storie composte da quattro o al massimo otto vignette essenziali, sono pubblicate da migliaia di giornali, con 100 milioni di lettori solo negli Stati Uniti. Charlie Brown è già una celebrità mondiale. L’insegnante di Los Angeles cerca e trova altre persone disposte a contattare Schulz. Un suo amico afroamericano, Kenneth Kelly, usa questo argomento: «Caro signor Schulz, l’accusa di voler essere condiscendente sarebbe un piccolo prezzo da pagare rispetto al risultato positivo che sarebbe raggiunto».
Il 31 luglio del 1968 Schulz fa debuttare Franklin: ragazzino nero riccioluto con una maglia a rombi rossi e arancioni. Le sue prime parole: «Ciao… Io sono Franklin», e tende la mano a Linus.
Sabato scorso nel Charles M. Schulz Museum di Santa Rosa, in California, si è aperta la mostra dedicata ai «50 anni di Franklin», in coincidenza con la ricorrenza annuale del compleanno di Martin Luther King.
Sul New York Times, lo scrittore David Kamp, che sta lavorando a un libro sulla cultura per l’infanzia negli anni 60 e 70, ricorda l’importanza di quello strappo. A lungo Schulz rimuginò su quell’idea, definendola «un errore». Di conseguenza, nota Kamp, confinò Franklin nella periferia della narrazione, costruendo una figura laterale, poco definita, quasi scialba. Non ha la coperta di Linus, la prepotenza di Lucy, le fantasie del cagnolino Snoopy, la stralunata cocciutaggine di Charlie Brown, con il suo guantone da baseball. Ma nonostante tutto ciò, l’arrivo di Franklin lasciò un segno nella cultura popolare del Paese. Alcuni giornali del Sud protestarono e si rifiutarono di pubblicare i fumetti con il nuovo personaggio. La comunità nera, e non solo, invece, adottò Franklin, che rimase con i Peanuts fino all’ultimo, fino alla morte di Schulz, il 12 febbraio del 2000 a Santa Rosa.
Bella una striscia del 1993. Piperita Patty, la capitana della squadra di baseball, l’avversaria numero uno di Charlie Brown, dice a Franklin: «Martin Luther King diceva di “avere un sogno”. Prima di ciò, noi due non saremmo stati seduti qui». La battuta passa a Franklin: «Già e io non avrei potuto proporti questo scambio commerciale: ti offro una carota per una patatina fritta». «Non ci provare, questo non si può nemmeno definire uno scambio, Franklin».