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 2018  gennaio 15 Lunedì calendario

La carica dei loghi con i nomi dentro

Dalla botanica alla toponomastica. Dopo l’epoca floreale di margherite, rose nel pugno, stelle alpine, più ovviamente ulivi e querce, viene il tempo dei partiti personali. La nuova legge elettorale assegna i due terzi dei seggi con il proporzionale, abolendo di fatto il maggioritario voluto dagli elettori a grande partecipazione e a grande maggioranza con il referendum del 1993. Ma paradossalmente il Rosatellum o come si chiama vede il massimo fulgore di capi e capetti. Il sistema non prevede il candidato premier; eppure gli aspiranti non si contano.
Berlusconi sarebbe incandidabile, ma «Berlusconi presidente» è il motto di Forza Italia, con un richiamo all’onestà che fa il verso al grillismo ma rischia di essere letto ironicamente; e a forza di tirar fuori nomi a sorpresa per Palazzo Chigi, Silvio suscita il sospetto che il coniglio nel cappello, se la Corte di Strasburgo si sbrigasse, sarebbe ancora lui. Pure Salvini punta alla presidenza del Consiglio, e nel simbolo della Lega alla ragione sociale «Nord» sostituisce un nome che assomigli un po’ più al suo. «MELONI» è scritto più grosso che non Fratelli d’Italia. Renzi il suo cognome non l’ha messo ma si sa bene chi comanda nel Pd e chi farà le liste, con qualche concessione a Orlando e a Franceschini. L’impressione è invece che il nome di Pietro Grasso sia il paravento che nasconde i veri capi e fondatori, Bersani e D’Alema.
Neppure Beatrice Lorenzin si nega lo sfizio del partito personale, che unifica una curiosa serie di listarelle, tra cui si segnala l’Italia dei Valori fondata da Di Pietro, finita nel contenitore che dovrebbe riportare al Senato Pier Ferdinando Casini. Un altro democristiano storico come Tabacci è invece accanto a Emma Bonino, che ostende pure lei il proprio nome nel logo.
Poi ci sono le operazioni di ceto politico. Come l’ormai leggendaria quarta gamba del centrodestra, l’unica (in attesa dell’edera del mitico Verdini) a riproporre un simbolo storico della Prima Repubblica, lo scudo crociato anticomunista, e non aggiunge nomi di leader anche perché non ci sarebbe spazio per tutti: Cesa, Tosi, Fitto, Enrico Costa, Saverio Romano… Una quarta gamba se la concede pure il centrosinistra: è la misteriosa lista Insieme, con il ramoscello d’ulivo che fa tanto vintage accanto a partiti di cui non si hanno notizie da tempo come verdi e socialisti.
Resta il movimento che secondo i sondaggi è di gran lunga il primo del Paese. Un movimento dichiaratamente antisistema, fondato da un «comico anziano» come da definizione di Berlusconi; eppure stavolta il nome di Grillo nel logo non c’è. Qualcosa farà, ma per ora Beppe assicura di volersi concentrare sull’intelligenza artificiale e altri temi epocali. Questo giro tocca a Di Maio, cui è affidata la campagna elettorale, con la dissidenza dichiarata di Fico e quella occulta di Di Battista. Poi, dopo il 4 marzo, si aprirà una nuova partita, quella delle trattative. E gli elettori, dopo aver tracciato la loro croce su uno di questi simboli, potrebbero avere la sensazione di non aver deciso molto più di nulla.