La Stampa, 14 gennaio 2018
Cinesi in fuga dal Sudafrica: «Strozzati dai debiti e discriminati da tutti»
Gli oltre 500 negozi del centro commerciale «China Mall» di Amalgam, Sud di Johannesburg, a pochi giorni dalle celebrazioni del Capodanno cinese sono quasi vuoti. L’immagine del Dragone conquistatore capace di imporre i suoi prodotti sul mercato africano sembra sbiadita, come l’insegna «Forever Helen», il negozio di casalinghi messo su da Zhu Jianying, arrivata in Sudafrica nel 2000 e parte dei 500 mila cinesi presenti nella «Nazione Arcobaleno», la più grande comunità di tutta l’Africa.
«Vendiamo meno della metà dei prodotti rispetto al 2015 – racconta Helen, il suo nuovo nome di battesimo da quando è approdata in Sudafrica -, la crisi e l’aumento degli attacchi xenofobici mi fa sentire in trappola, non è più conveniente stare qui, sto cercando di tornare in Cina». Se Pechino continua ad investire miliardi di dollari in progetti di estrazione mineraria, infrastrutture ed istruzione, i commercianti cinesi di prima generazione, arrivati subito dopo la fine dell’Apartheid hanno le valigie pronte per tornare a casa. Burocrazia più complessa, protezionismo e la crescita esponenziale di imprenditori locali capaci di stabilire relazioni commerciali dirette con «Il Gigante asiatico» stanno costringendo migliaia di commercianti cinesi a migrare nei Paesi africani limitrofi. Non tutti se lo possono permettere, dato che molti di loro prima di lasciare il Sudafrica devono saldare debiti contratti per avviare le proprie attività.
La crescita della classe media sudafricana ha messo in crisi il sistema di importazione di merci a basso costo da rivendere sul mercato locale. «Quando siamo arrivati nel 1995 la gente non aveva neanche le scarpe – racconta Qian, una negoziante della prima generazione proveniente dalla provincia di Zhejiang -, non c’erano negozi per gli africani e noi gli vendevamo di tutto a basso prezzo». Tessuti, «fong kong» (termine dispregiativo sudafricano per prodotti tecnologici di basso livello) e medicina cinese non sembrano più appetibili, inoltre la decisione del governo di inserire i cinesi nati prima del 1994 tra i fruitori degli incentivi delle politiche a supporto della classe nera (Bbe) non è bastata a generare uno sviluppo duraturo.
La manodopera cinese arrivata in Sudafrica negli ultimi dieci anni proviene principalmente dalle aree rurali più povere della Cina e al contrario della prima generazione ha una conoscenza scarsa dell’inglese e ridotte capacità imprenditoriali. A differenza dei loro predecessori hanno trovato condizioni economiche non più favorevoli e l’enorme concorrenza combinata ad una scarsa capacità di adattamento hanno portato alla crisi del florido commercio della Chinatown di Johannesburg.
Il boom dei primi Anni 2000 aveva portato alla costruzione di almeno 18 enormi centri commerciali cinesi tra Johannesburg, Durban e Città del Capo, senza contare i piccoli negozi sorti anche nelle township e nelle città di frontiera. Oggi molte di queste strutture si sono trasformate in elefanti bianchi con insegne all’esterno sbiadite dal tempo e pochi camion varcano ancora i cancelli corredati da fili spinati ed elettricità per evitare i furti delle merci. «Per anni i piccoli commercianti cinesi sono stati l’avamposto delle strategie geopolitiche dell’establishment, mentre oggi sono stati sostituiti dalle circa 300 imprese presenti in Sudafrica che operano nella finanza, nelle miniere, nella logistica e nelle telecomunicazioni», spiega Mingwei Huang, ricercatrice dell’Università del Minnesota. «Fino a pochi anni fa, all’ingresso del centro commerciale si vedevano solo cinesi – racconta Qian, una negoziante della prima generazione proveniente dalla provincia di Zhejiang – adesso, invece, molti negozi sono vuoti e negli altri ci sono africani che vanno direttamente in Cina a comprare le merci». Tra i pochi felici della situazione Mathew Thyah, 26enne commesso del Malawi, che lavora per un imprenditore senegalese che ha comprato l’attività di uno dei commercianti cinesi tornato in Cina. «Finalmente le cose stanno cambiando, non è giusto che il business sia sempre nelle mani dei bianchi (riferendosi ai cinesi)». Secondo Erwin Pon, il direttore dell’Associazione dei Cinesi del Gauteng, la regione di Johannesburg, l’aumento dei centri commerciali e la svalutazione del rand (moneta sudafricana) hanno pesato fortemente sui fatturati dei negozianti asiatici. «Sono aumentati furti ed assalti nei confronti della comunità che al contrario del passato è sempre più disunita» ha detto Pon.