La Stampa, 15 gennaio 2018
Cosa c’è sotto unombrello. Nato nell’Antico Egitto, magico per Mary Poppins
L’ombrello potrebbe sembrare un banale oggetto di tutti i giorni, ma è molto di più. Pensate che serva solo a ripararsi dalla pioggia o dal sole? Sbagliate di grosso, come dimostrano Mary Poppins e un saggio divertente e interessante che riempie le librerie di Londra. Si intitola Brolliology: A History of the Umbrella in Life and Literature. «Brolly» è il nomignolo dell’ombrello nello slang inglese di Marion Rankine, l’autrice di questo strano libro, corredato di belle foto e magnifiche illustrazioni, che inizia la sua indagine con una accurata storia dell’ombrello ed è pieno di aneddoti, curiosità, riferimenti letterari e sociali.
Un ombrello insomma, non è mai solo un ombrello. O almeno non lo è stato fino all’avvento degli ombrelli usa e getta, quelli venduti dagli ambulanti agli angoli delle strade. Anche questo fa parte della storia dell’ombrello, che rispecchia l’evolversi delle interazioni umane nell’epoca della sharing economy, dove diventa qualcosa da prendere e dimenticare, un oggetto condiviso cui non si bada più di tanto, come una penna a sfera sul bancone della posta: sono circa 35 mila infatti quelli che giacciono senza che nessuno li reclami nell’Ufficio Oggetti Smarriti della Transport of London, la società che gestisce la fitta rete dei trasporti della capitale inglese.
La storia
Ma non è sempre stato così. Nel passato l’ombrello era un oggetto prezioso e segno di distinzione sociale. Nell’antico Egitto e presso gli Assiri era appannaggio dei re, che lo usavano per ripararsi dal sole. In India un esemplare rosso e oro, ornato con fili di perle e con l’impugnatura di rubini e diamanti era riservato ai reali in occasioni speciali. E in Cina se ne hanno tracce fin dal 25 avanti Cristo ed è appannaggio degli aristocratici durante la dinastia Ming (1368-1644). Nel passato però, si usava solo per farsi ombra.
Anche in Occidente l’ombrello si diffonde all’inizio come parasole. Poi diventa parapioggia, come utensile riservato alle donne. Mai un uomo avrebbe osato mettere in pericolo la propria virilità riparandosi dall’acqua sotto un ombrello. Almeno fino al 1710, quando Jonathan Shift ne parla per la prima volta nella descrizione di un temporale. È poi nell’Ottocento, con la rivoluzione industriale, che il parapioggia diventa di uso comune, tanto che nel 1855 William Sangster, proprietario della Sangester’s Umbrella di Londra, pubblicherà il primo saggio sulla storia degli ombrelli e tre anni dopo Charles Dickens scriverà una ricerca sulle condizioni degli operai nelle fabbriche di ombrelli.
Simbolo british
Agli inizi del secolo ogni rispettabile banchiere delle City era munito di un esemplare in seta nera, accessorio indispensabile come la bombetta e le scarpe allacciate nere. Il libro della Rankine inizia con la descrizione di James Smith & Sons, negozio simbolo degli ombrelli in New Oxford Street, fondato nel 1830 e ancora lì a rappresentare la quintessenza dell’eleganza Old England, che piace tanto ai turisti e ai gentlemen di campagna di una certa età. Sono l’altra faccia della medaglia degli ombrelli pieghevoli di plastica nera dei cinesi. Cinque sterline contro le duecentocinquanta di esclusivi legni e canne con pomelli lavorati a mano e tele pregiate. Oggetti da dimenticare in metropolitana contro oggetti da conservare con cura.
E comunque non solo «tetti portabili», ma anche bastoni da passeggio o armi da difesa: la regina Vittoria aveva una piccola collezione di ombrelli in cotta di maglia che potevano essere usati per proteggerla da assalti di malintenzionati e più di recente, nel 2011, il presidente francese Nicolas Sarkozy per la modica cifra di 10mila euro si è fatto rivestire in kevlar un ombrello da aprirsi in caso di attentato.
I fantasmi
Ben prima di Mary Poppins anche Joseph-Michael Mongolfier ha dimostrato che si può volare con un ombrello. Nel 1779 ha messo una pecora in un cestino attaccato a un grande telone dalla forma di ombrello e l’ha lanciata dalla torre del Palazzo dei Papi di Avignone. La bestia è arrivata sana e salva a terra ed era nato il paracadute.
Alla fine rimane insoluta la domanda: perché un oggetto così banale emana tanta fascinazione? Non si sa, e questo è a sua volta parte della fascinazione. Forse perché cambia forma quando si apre e si chiude. Forse perché gli ombrelli nascondono ombre e fantasmi, come nella tradizione giapponese del «kasaobake», uno spirito mostruoso che prende vita nelle sembianze di un ombrello vecchio e rotto, con la tela bucata e le stecche rotte e il cui manico di legno diventa una gamba umana. Gli ombrelli, secondo queste credenze, sono fantasmi maligni. E comunque, voi lo aprite un ombrello in casa? Io no, non si sa mai.