La Stampa, 15 gennaio 2018
Le voci dei jihadisti in Siria: «I capi ci hanno venduti. Combattono solo per soldi»
«È il comandante Abou Motassam che vi parla, attenzione combattenti, non c’è più niente da fare, conviene andarsene. Siamo stati venduti, è finita». L’appello, drammatico, è di uno dei capi dei gruppi ancora presenti nella provincia di Idlib e chesono riconducibili al vecchio Jabhat al-Nusra, gravitante nella galassia qaedista. Voci intercettate nel corso di conversazioni telefoniche o via radio da servizi di intelligence e di supporto alla coalizione di forze che combattono contro gli jihadisti in Siria.
Sono cinque conversazioni che raccontano l’incubo vissuto nelle ultime settimane dai miliziani una volta al comando di Abu Mohammad al-Julani. Abbandonati a se stessi e intrappolati in una delle ultime sacche di «sopravvivenza» rivolgono invettive, accuse e anatemi alla cupola «Tahrir al-Sham», ovvero ai capi di Al Qaeda in Siria: «Non avete combattuto per Dio ma per il denaro».
«Le difese crollano e l’esercito (siriano) si espande a macchia d’olio», si sente in uno dei colloqui. A parlare è il responsabile di una postazione che addossa la colpa sulle perdite di vite a un comandante chiamato Abou Al Walid: «Oggi è stato ucciso un altro dei nostri, un altro martire se n’è andato». Si sente invece un boato in sottofondo quando a parlare è un altro «marconista» dei nuclei ribelli. «Cosa stiamo aspettando, i jet russi colpiscono, i jet siriani colpiscono, le forze di terra avanzano, colpiscono al Maarah, Sarakeb, Bab Al Hawa, al Khan colpiscono ponti, strade palazzi, vogliono spazzarci via». La conversazione è, secondo le ricostruzioni, relativa a una richiesta di aiuto per trovare una via di fuga. Aiuto che però non sembra arrivare, mentre l’avanzata delle forze pro-Damasco si fa sempre più incalzante su Idlib. Un altro capo pattuglia racconta come alcuni gruppi tentino di ricompattarsi o cerchino riparo nella stessa direzione: «Sono tutti da me», dice, e nomina le organizzazioni, almeno una decina tra cui Liwa Al Moatasim e Al Qadisiyat. «Ogni giorno abbiamo incontri, ma non si decide nulla, un giorno combattiamo gli uni contro gli altri, un altro no».
Erano circa 390, nuclei e sigle della galassia qaedista che operavano in tutta la Siria durante la guerra. Ora si trovano concentrate nella provincia di Idlib o bloccati a macchia di leopardo in altri territori, circa 6000 combattenti, 1400 combattenti dalla città di Daraya a 30 km da Damasco, 2 mila da Qudsaya, 1500 dal quartiere Waer nella periferia di Homs. Altre centinaia sono partiti dal Qalamoun in Libano. E si combattono tra loro per le rivalità create dalle onde d’urto dei dissidi tra Qatar, tra Arabia Saudita e Turchia. «Questo è il risultato ci hanno fatto inutili promesse, solo bugie e bugie».
Altri tentano di darsi una mano tra loro nella speranza di dar vita a un’altra offensiva anti-Damasco, con macchine bomba e attacchi kamikaze. «Ci chiedono rinforzi per gli uomini di Seif Al Haq, sono assediati. Che dio li aiuti e li liberi», dice una voce jihadista. «È possibile che l’esercito avanzi senza sosta? È possibile che nessuno riesca a fermarlo? È possibile tutto ciò?», grida un altro miliziano. Per lui i capi hanno tradito. «Voi dite che state combattendo per dio ma combattete per i dollari, per i vostri propri fini, per conquistare la salvezza e la felicità terrena, avete mentito. Avete venduto la vostra coscienza, avete venduto il vostro onore, avete tradito i combattenti, i martiri, i prigionieri, ci avete condannato alle sofferenze. Vigliacchi, complottisti, che cada la leadership, che cadano tutti i capi. Che dio si vendichi di voi tutti, ci liberi di voi. Che dio mi ascolti».
Ecco quindi Abou Motassam: «È il vostro comandante che vi parla, siamo alla fine, siamo stati venduti, è finita. Lasciate la zona Assekeh, salvate il vostro onore e le vostre famiglie e andate». Quindi un rumore stridulo... poi solo fruscii.