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 2018  gennaio 15 Lunedì calendario

Il tormento delle baby gang

Oggi ci occupiamo delle baby gang soprattutto napoletane, anche se il fenomeno non è per niente solo napoletano. Ieri c’è stato un altro episodio, il decimo in due mesi. Vorremmo una parola dal ministro dell’Interno e da quello dell’Istruzione. E forse anche dal governatore campano De Luca e dal sindaco De Magistris che di solito, davanti a questi episodi, parla di «ragazzate». C’è il problema dei voti e il problema dei politici che, specie a Napoli, credono che discorsi di repressione o di rieducazione o di condanna intacchino il consenso.  

Sentiamo l’ultimo episodio.
Non troppo diverso dai precedenti. Nella tarda serata di sabato dieci ragazzini, roteando delle catene, hanno circondato due studenti di 14 e 15 anni, uno del posto, l’altro in visita all’amico da Mantova. I due poveretti stavano passeggiando nella Villa Comunale di Pomigliano d’Arco. Botte, finché quelli non hanno consegnato i telefonini. I due aggrediti, dopo essersi fatti medicare le ferite al volto e alla pancia all’ospedale di Nola, sono andati a denunciare il fatto ai carabinieri di Castello di Cisterna. I carabinieri, interrogata un po’ di gente e soprattutto i due studenti, hanno identificato due minorenni di 13 e 14 anni. Il tredicenne viene da Somma Vesuviana. Il quattordicenne aveva ancora la catena in pugno. I carabinieri sono convinti che la rapina sia stata un’idea del momento: la gang voleva soprattutto esibirsi in una prova di forza. L’episodio segue l’aggressione, con esiti più gravi, alla stazione della metropolitana di Chiaiano venerdì scorso. Quindici contro tre. Calci e pugni. A uno dei tre hanno dovuto asportare la milza.  

Perché si richiama l’intervento del ministro Minniti e del ministro Fedeli?
C’è un problema di repressione e c’è un problema di educazione. L’aggressione in gruppo e le vanterie che seguono sono un avvertimento al quartiere e in certi casi alle altre baby-gang. «Qui comandiamo noi». Come spiegano tutti, dietro ai protagonisti di questi episodi ci sono sempre famiglie disastrate. Nei bassi di Napoli o nelle periferie della città e dell’hinterland, il disastro delle famiglie è parente della miseria e dell’abitudine a una vita malavitosa. Ma si porre mente anche ai figli delle famiglie benestanti, talvolta altoborghesi, che spinti dalla noia e da una malintesa ricerca di supremazia tormentano le zone di pregio di Roma, Torino o Milano. I due disgraziati che hanno dato fuoco a un povero barbone a Santa Maria di Zevio (Verona) appartenevano a quel tipo di famiglie che noi definiamo senza pensarci «buone». Del resto i ricchi che per noia ammazzano o rapinano o stuprano sono sempre esistiti.  

Occupiamoci dei napoletani. Mi sembrano un caso nel caso.
Qui il problema viene complicato dall’esistenza della malavita organizzata e delle relative bande. I media, magari contro la loro volontà, trasmettono spesso immagini o trame che in qualche modo glorificano il malavitoso. Il delirio per il Ciro della serie Gomorra è significativo. Ma anche l’innamoramento dei boss per i film di Garrone, che s’è ispirato ai malavitosi della vita reale e allo stesso tempo ha offerto loro un modello di comportamento, di linguaggio e di pensiero. Quelli della criminalità organizzata non chiedono altro che di finire in qualche libro o in qualche film.  

Che dicono le istituzioni?
Il procuratore della Repubblica per i minorenni è, a Napoli, la signora Maria de Luzenberger. Intervistata parla di «recupero sociale» e di «assuefazione alla violenza». Denuncia che le famiglie in difficoltà sono abbandonate, specie al Conocal di Ponticelli, al Parco Verde di Caivano, al Rione Salicelle di Afragola. Prima frase allarmante: «La mia Procura rispetto a quella di Milano ha un bassissimo numero di segnalazioni sia penali che civili. Vuol dire che ci sarebbero meno reati denunciati». In realtà nessuno denuncia niente e il degrado generale comincia da qui. «Non riusciamo ad avere le segnalazioni di disagio sociale neanche dalle scuole. Interveniamo sempre tardi, su situazioni ormai gravissime». Se qualcuno parlasse si potrebbero evitare o contenere i problemi di tossicodipendenza o di alcolismo, che sono parte integrante del processo degenenativo. «Qualcuno dovrebbe indagare su chi vende l’alcol ai giovanissimi». La Luzenberger propone, come misura repressiva, «l’accompagnamento coatto, che consente di portare il ragazzo presso un nostro centro di prima accoglienza, Non è un arresto, ma è molto simile».  

Altre soluzioni possibili?
Sono un’infinità, tutte costose o poco remunerative elettoralmente. Ermanno Rea scrisse una volta che se le strisce pedonali di Napoli fossero tutte rifatte a regola d’arte, la camorra sarebbe sconfitta.