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 2018  gennaio 13 Sabato calendario

Morte del sindacato non solo in Italia: in Europa

Requiem per quel grande strumento di promozione non solo economica e sociale, ma politica, culturale, democratica che è stato il sindacato nel secolo scorso. Qui, non è in discussione il ruolo nella difesa e nella valorizzazione economica del lavoro, con i meriti e i demeriti delle battaglie per i contratti. Si tratta, piuttosto, del sindacato come luogo e veicolo di intesa e solidarietà degli strati sociali meno ricchi e più svantaggiati e come laboratorio di massa per la definizione e la diffusione di modelli di comportamento sociale ispirati ai valori democratici. Per il progressivo svanire sui luoghi di lavoro, per quel che riguarda i sindacati storici italiani, come Cgil, Cisl e Uil, o per omissione, più o meno deliberata – si può sospettare – altrove, oggi, invece, uno sguardo di insieme sull’Europa sembra indicare la sindacalizzazione come via più breve all’intolleranza e al populismo.

I segnali sono sparsi, ma insistenti. Il sistematico successo di Forza Italia nella classe operaia, il radicamento della Lega nelle aree più sindacalizzate, le conquiste di Marine Le Pen, di Donald Trump, dei sostenitori della Brexit, dell’Afd tedesca nel mondo del lavoro indicano che il populismo più che farsi largo nel sottoproletariato, attecchisce soprattutto dal rancore della povertà relativa, come la chiamano gli statistici, quella che emerge dalla sensazione di veder cadere il proprio status sociale. Su questo punto, i sondaggi sono pochi, ma è inquietante che il più
penetrante venga dalla Germania, forse l’ultimo paese occidentale in cui il sindacato sia una forza sociale potente e temuta. Ma i dati raccolti da Richard Stoess (“Trade Unions and Right-Wing Extremism in Europe”) dicono che i lavoratori vicini al sindacato non sono più lontani dall’estremismo della media degli elettori. Al contrario, c’è più populismo in fabbrica che nella società in generale.

I numeri sono ancora quelli delle elezioni del 2014, ma, visto che, nel voto dello scorso settembre, l’Afd ha raddoppiato i consensi, è difficile che siano mutate le tendenze. Nella Sassonia-Anhalt (ex Ddr, ma cuore dell’industria chimica tedesca e una regione che beneficia di imponenti investimenti dall’estero) la Merkel ha avuto il 27 per cento dei voti operai, i radicali di sinistra della Linke il 17 per cento, la Spd il 12 per cento. I populisti dell’Afd hanno rastrellato il 30 per cento. In generale, in Germania, secondo Stoess, il 20 per cento dei lavoratori si dichiara in sintonia con l’estrema destra: poco gli impiegati, più spesso i lavoratori a bassa qualifica. Se, tuttavia, i lavoratori non qualificati sono iscritti al sindacato, la sintonia schizza al 34 per cento. È il punto su cui insiste Stoess: non stupisce che il rancore che alimenta populismo e intolleranza sia più forte fra i lavoratori a minor reddito e a minor educazione. È quanto sostengono da anni studiosi e osservatori, più un numero imprecisato di inchieste giornalistiche, moltiplicate dal recente successo di Donald Trump. Ma, come non è vero che Trump abbia raccolto il voto dei poveri (in media, il reddito di chi, nel 2016, ha votato per il candidato repubblicano era di 50 mila dollari l’anno), non è neanche vero che i solidi rappresentanti della classe media – anche dove questa classe media è serena e fiorente come in Germania – siano insensibili alle campagne populiste. Tanto più – lamenta Stoess – quanto più dimostrano di non essere indifferenti, isolati, individualisti, ma, al contrario, socialmente attivi e presenti, come dimostra la tessera del sindacato in tasca.

In quello  che la ricerca definisce “il segmento di mezzo”, ovvero i diplomati con un reddito medio, un lavoratore ha una volta e mezza più probabilità di simpatizzare con i radicali di destra se è iscritto al sindacato, piuttosto che se non lo è. Il 13 per cento dei lavoratori di questo segmento mostra, infatti, un’anima populista. Ma la percentuale sale al 19 per cento se quello stesso lavoratore sta nel sindacato. Buon reddito, buona cultura, l’impegno sociale testimoniato dalla tessera sindacale non sono dunque un vaccino contro il virus populista, neanche dove il sindacato conta e pesa. Come se il sindacato stesso avesse perso di vista la propria natura non solo di sportello di interessi, ma di comunità di valori.