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 2018  gennaio 13 Sabato calendario

A Rimini riapre il cinema Fulgor la sala che stregò il piccolo Fellini

«Sotto lo schermo c’erano le pancacce. Poi uno steccato, come nelle stalle, divideva i “popolari” dai “distinti”. Noi pagavamo undici soldi; dietro si pagava una lira e dieci». Così Federico Fellini parlava del cinema Fulgor, dov’era entrato la prima volta da bambino a vedere “Maciste all’inferno”, un film muto che lo avrebbe segnato per sempre con la forza dei potenti primi piani e del trucco pesante sul volto delle attrici. Fellini ci sarebbe tornato molte volte, da solo e con gli amici, poi, una volta diventato il maestro che conosciamo, ritrasse il cinema della sua infanzia in Amarcord, trasformandolo in uno dei luoghi simbolo della sua Rimini immaginaria, lui che ha ricostruito la città romagnola nel mitico studio 5 di Cinecittà.
Il prossimo 20 gennaio il Fulgor sarà riaperto dopo un lavoro di restauro diretto da un altro maestro, lo scenografo Dante Ferretti, che lo ha ricostruito secondo uno stile «romagnol-hollywoodiano Anni 30», per usare la sua espressione: un omaggio al cinema come grande macchina di sogni dominata dal color rosso che ricorda un po’ i vecchi “peplum”, i film sull’antica Roma che si giravano in gran quantità a Cinecittà negli Anni 50.
Il direttore della Cineteca di Rimini, Marco Leonetti, racconta che Fellini, per pagare i biglietti del cinema, «in accordo col proprietario del Fulgor faceva le caricature degli attori dei film in programmazione, che venivano affisse all’interno della sala. Ad affascinarlo non erano soltanto le pellicole, ma il rito di andare al cinema, coi suoi grandi manifesti e con gli incontri che ci si potevano fare: il Fulgor rappresentava sì la scoperta del cinema da parte di un futuro grande regista, ma anche i primi turbamenti di adolescente, come racconta nel maldestro tentativo di seduzione della Gradisca da parte di Titta. In Amarcord ci sono tre luoghi riminesi, il Fulgor, il Grand Hotel e il mare, e tutti e tre innescano il sogno e la fantasia, quando non la fuga vera e propria».
Inaugurato nel 1914, danneggiato dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale e rimesso a nuovo dopo il conflitto, il cinema è rimasto in funzione fino al 2008, poi sono cominciati gli interventi di ristrutturazione. Dopo la riapertura la sala sarà gestita da un privato alla stregua di un cinema normale, ma ai piani superiori dello stesso stabile sarà ospitata una parte del museo Fellini, completata dalla sede di Castel Sismondo e dal percorso felliniano che sorgerà nell’area pedonalizzata fra i due palazzi: «Il progetto, di cui è appena uscito il bando, dovrebbe essere completato per il 20 gennaio del 2020, cioè per il centenario della nascita del regista», dice Leonetti.
Tornando al Fulgor, della struttura originaria sono stati mantenute unicamente le dimensioni, per il resto, di quella sala fumosa e ultrapopolare con le pancacce e lo steccato non resterà che il nome, perché l’arredo scenografico disegnato da Ferretti sembra tutto ispirato al concetto americano classico del cinema “bigger than life”, più grande della vita. Il cinemino felliniano degli Anni 20 e 30 invece, prima cioè che il futuro regista se ne scappasse a Roma, ricorre non solo in “Amarcord”, ma anche in “Roma”, nella scena del bambino al cinema sulle ginocchia del padre, e poi ne “La città delle donne”, nel riferimento onirico dei quattro angoli del letto ribattezzati coi nomi dei cinema Fulgor, Savoia, Sultano e dell’ Opera Nazionale Balilla: «Nell’opera di Fellini è continuo questo affondare nella memoria per poi stravolgerla».